Bollettino ADAPT 11 settembre 2023, n. 30
La trasparenza dell’informazione sui salari e la neutralità, dal punto di vista di genere, degli inquadramenti professionali sono gli strumenti adottati dall’Unione europea per combattere il Gender Pay Gap attraverso la Direttiva 2023/970, pubblicata il 10 maggio sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione. La direttiva individua un periodo di tre anni, fino al 7 giugno del 2026, perchéé gli Stati membri adeguino le proprie disposizioni legislative e regolatorie che riguardano il lavoro pubblico e quello privato in relazione all’obiettivo della parità di retribuzione tra uomini e donne che svolgono lo stesso lavoro.
Lo scopo di prevenire e contrastare le discriminazioni di genere, dirette e indirette, è ovviamente condivisibile. Come al solito tuttavia, quando si utilizzano disposizioni rigide per situazioni nazionali diverse, il pericolo di una eterogenesi dei fini è immanente. E molti potrebbero ritenere in questo modo risolto un problema che invece è ben più complesso.
In Italia, secondo Eurostat, il dato medio delle retribuzioni orarie lorde presenta un divario retributivo di genere del “solo” 4,2%, rispetto a una media dell’UE del 13%. Ma questo indicatore non ci dice nulla delle componenti premiali del salario (in Italia invero modeste) e soprattutto delle discriminazioni di carriera e dei percorsi lavorativi discontinui a causa della maternità. Per non dire delle conseguenze sulla prestazione previdenziale cui possono concorrere, negativamente, i periodi dedicati al lavoro (gratuito) di cura dei familiari.
Quindi, posto che in Italia le retribuzioni di base sono fissate dai contratti collettivi nazionali a livello settoriale senza, ovviamente, distinzione tra uomini e donne, sarà ancor più utile che i decisori nazionali non recepiscano in modo rigido la direttiva facendone strumento, per alcuni attori sociali, di egualitarismo retributivo verso il basso.
Non si può infatti dedurre dal nobile obiettivo del contrasto alla discriminazione di genere una vigilanza occhiuta sulla negoziazione individuale dei superminimi, il consolidamento dei vecchi inquadramenti elaborati nella stagione fordista, un ulteriore freno alla contrattazione di prossimità.
Al contrario, la consapevolezza del persistere di inaccettabili motivi di discriminazione, soprattutto nei confronti delle madri, nel rapporto di lavoro come nel mercato, deve condurre a politiche aziendali di autodisciplina in favore della continuità di carriera anche dopo una gravidanza, a forme trasparenti di periodica valutazione degli incrementi di responsabilità e professionalità superando le tradizionali mansioni, a politiche proattive per la continuità e qualità del lavoro delle donne, alla concessione di contributi figurativi per i periodi di care giving.
Come al solito, l’interpretazione soft delle regolazioni europee può determinare più agevolmente iniziative sostanziali per il miglioramento del mercato del lavoro di ciascun Paese membro.
Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSacconi