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L’ipotesi annunciata dal governo di ricalcolare retroattivamente le prestazioni previdenziali erogate anche da decenni merita una attenta considerazione. Gli effetti indotti potrebbero essere ben più diffusi rispetto alla platea dei diretti interessati. Già questa, peraltro, potrebbe allargarsi in misura significativa oltre le stime iniziali. Il primo annuncio fu riferito alle pensioni di importo superiore ai cinquemila euro netti. Con i successivi si è passati allo stesso importo ma “lordo” per poi giungere (per ora) ai quattromila euro lordi.
Siamo insomma già arrivati a comprendere in questa operazione le pensioni al di sotto dei tremila euro netti ed è nondimeno evidente che l’assunzione di principi equitativi non potrà che essere riferita a tutte le gestioni, a prescindere dalla loro sostenibilità. Se anche non lo proponesse il governo lo farebbe il Parlamento in una probabilissima rincorsa. Vi parteciperanno quindi tanto il pubblico impiego in tutte le sue articolazioni quanto le Casse Previdenziali private e privatizzate perché gestiscono previdenza primaria sostenuta da prelievi obbligatori.
Le indiscrezioni ipotizzano l’applicazione del metodo di calcolo contributivo all’intero arco di vita con una ulteriore penalizzazione proporzionale agli anni di anticipo dell’erogazione rispetto all’età di vecchiaia. Si è più volte segnalata la inconciliabilità di questo disegno “riformatore” con la costante giurisprudenza della nostra Consulta che ha (sin qui) limitato la possibilità di una riduzione delle prestazioni a modalità di prelievo temporaneo e ragionevole, giustificate da straordinarie esigenze di finanza pubblica, finalizzate a ragioni solidali nell’ambito delle gestioni previdenziali. Ma è doveroso ancor più sollecitare i decisori pubblici ad interrogarsi sui cambiamenti più profondi che potrebbero intervenire nei comportamenti sociali.
Nel tempo che viviamo la crisi di fiducia nei confronti delle istituzioni è già ragione di diffidenze che arrivano a mettere in discussione le stesse autorità scientifiche. Ancor più sotto accusa sarebbe un intero ceto che ha avuto responsabilità nella dimensione privata come in quella pubblica, fatto di dirigenti d’azienda, di quadri e di magistrati, di medici e di giornalisti, di docenti e di tecnici, di molti altri ancora. Il taglio pesante di pensioni percepite anche da lunghissimo tempo genererebbe peraltro un allarme sociale anche nei pensionati sotto la soglia prescelta perché ne percepirebbero tutta l’opinabilità e la possibile estensione. Gli stessi percettori colpiti segnalerebbero le “ingiustizie” che viziano le prestazioni minori come quelle “baby” nel pubblico impiego o quelle “integrate al minimo” tra gli autonomi. È insomma facile prevedere dinamiche che esalterebbero le ragioni di sfiducia e di disgregazione sociale. Proprio nel momento in cui la dimensione globale genera insicurezze che dovremmo assorbire con una nazione coesa.
Maurizio Sacconi
Presidente Associazione Amici di Marco Biagi
@MaurizioSacconi