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Il mio canto libero – I salari di prossimità non fanno inflazione

Bollettino ADAPT 6 giugno 2022, n. 22
 

Il confronto sulle politiche del lavoro si è concentrato nei giorni scorsi sulla tutela dei salari dall’inflazione, sui conseguenti rischi di alimentarla e sul ricorrente tema del salario minimo. Con la polemica complementare sulla carenza di lavoratori nell’economia turistica e la possibile concorrenza del reddito di cittadinanza con il lavoro stagionale. Come spesso accade, tutti hanno un pezzo di ragione ma pochi fanno lo sforzo di identificare un ragionevole percorso di soluzione. Eppure dovrebbe soccorrere la memoria delle esperienze trascorse. Ci insegnano che la rincorsa indiscriminata tra prezzi e salari penalizza quest’ultimi.

 

Vi è tuttavia il modo di evitare la spirale inflazionistica agganciando le retribuzioni a indicatori come produttività, professionalità, scomodità. A questo scopo, l’esperienza ci dice avere funzionato la detassazione “secca” di tutti gli incrementi salariali deliberati nella dimensione aziendale o territoriale senza la pretesa costruttivista di indicare con la norma come la produttività debba essere misurata. Nei fatti la disciplina vigente non ha funzionato perché complicata dal vincolo della predeterminazione degli obiettivi. Al contrario, l’incentivo fiscale deve essere semplice e strutturale in modo che i premi conseguenti ai risultati, le indennità per lavoro notturno o festivo, le maggiorazioni a seguito di nuove competenze e responsabilità incoraggino i comportamenti virtuosi e non li penalizzino. Le stesse prestazioni neo-servili, spesso rifiutate, possono invece essere più adeguatamente remunerate quando comportano una fatica aggiuntiva per la loro collocazione temporale. In attesa di una generalizzata riduzione del cuneo fiscale sul lavoro, che comporta ingenti oneri di finanza pubblica, perché non percorrere questa strada con una tassazione definitiva al 5% di queste componenti retributive?

 

Quanto al salario minimo, l’autorità più idonea a definirlo rimane la contrattazione perché duttile e adattiva ai diversi contesti. Il fenomeno dei contratti “pirata” è residuale e facilmente superabile riconoscendo efficacia erga omnes ai TEC (trattamenti economici complessivi) stabiliti per i livelli minimi dai contratti maggiormente applicati nel settore di riferimento (o in quello più prossimo). In questo modo la legge non viola il principio della libertà (e del pluralismo) sindacale, non irrigidisce i perimetri di applicazione dei contratti che sono necessariamente mutevoli, non regola la rappresentatività, non ripropone il centralismo contrattuale, non consente fenomeni di concorrenza sleale.

 

Infine, il reddito di cittadinanza può essere corretto alla luce della osservazione della realtà separando le situazioni di disagio sociale, per le quali il lavoro non può essere la risposta immediata, da quelle di impoverimento causato dalla disoccupazione. Per queste ultime si tratta sempre di premiare il lavoro e non la inattività. La condizionalità del sussidio è impossibile. Meglio incentivi e disincentivi. Quindi la misura del reddito garantito deve variare nei territori in base al parametro ISTAT sul costo della vita (come la soglia di povertà) e mai avvicinarsi al salario. Come, per periodi limitati, il lavoro può essere incentivato attraverso il rabbocco della retribuzione fino al reddito di cittadinanza.

 

Le vie dell’equità e della prevenzione del bisogno devono essere sempre compatibili con il fondamentale criterio (insieme economico e sociale) della vita attiva di ciascuna persona, di tutte le persone.

 

Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSacconi

Il mio canto libero – I salari di prossimità non fanno inflazione