Bollettino ADAPT 22 gennaio 2024, n. 3
Cresce con progressione geometrica l’attenzione da parte delle istituzioni interne e internazionali nei confronti dell’impatto sociale della Intelligenza Artificiale. Nei giorni scorsi il World Economic Forum e il Fondo Monetario Internazionale hanno prodotto interessanti documenti al riguardo. Lo stesso governo italiano è apparso intenzionato ad approfondire la comprensione dei grandi cambiamenti che questa tecnologia può generare per individuare le regole e le politiche pubbliche che la dovrebbero orientare verso obiettivi di crescita non solo economica ma anche sociale. Più distratte sembrano le grandi organizzazioni della rappresentanza, quei corpi intermedi che pure hanno costituito nella seconda rivoluzione industriale le fondamentali infrastrutture della coesione sociale. È infatti evidente da un lato il bisogno di risposte innovative e, dall’altro, la propensione a conservare gli strumenti tradizionali. Anzi, il manifestarsi di fenomeni di sottoremunerazione nei servizi più poveri o di prime sostituzioni tecnologiche dei lavori qualificati determina, come da tempo accade in Italia, la tentazione di risposte meramente difensive, affidate all’illusoria forza della legge o al non meno illusorio ruolo del bilancio dello Stato.
Eppure è evidente che siamo solo agli inizi di una ulteriore accelerazione della grande trasformazione dei modi di produrre e lavorare per la quale occorrono decisi cambiamenti nei modi di governarla. Sappiamo che l’intelligenza artificiale sarà sostitutiva del lavoro umano in molti ambiti della produzione di beni e servizi ma che accrescerà diffusamente l’efficienza e la produttività consentendo ai lavoratori di concentrarsi su attività a maggior valore aggiunto o comunque di svolgere anche prestazioni tradizionali con migliore capacità. Come sempre è accaduto, si pone il problema di massimizzare gli effetti positivi e minimizzare quelli negativi.
Possiamo continuare ad avere uno Stato estraneo alla rivoluzione tecnologica, guidato solo da impiegati amministrativi, incapace di connettere, raccogliere, elaborare i big data che ha nel suo seno? Possiamo accettare ancora che scuola e università procedano con vecchi metodi pedagogici rifiutando la valutazione dei docenti? Ha ancora senso l’antico impianto di qualifiche e inquadramenti di matrice fordista che i contratti collettivi del settore privato ripetono stancamente (al più riunendoli in aree)? Possiamo riconoscere che la prestazione lavorativa tende a superare la dicotomia tra autonomia e subordinazione perché ovunque si orienta a obiettivi e risultati? Come remunerare dinamicamente il lavoro in relazione a produttività e professionalità? Hanno ancora senso le tutele difensive del lavoro di fronte alle nuove sfide dell’occupabilita? La stessa sicurezza di lavori non più confinati nella sede aziendale potrebbe più ampiamente orientarsi alla prevenzione olistica della salute dei lavoratori? E in questo mercato del lavoro così dinamico possiamo ancora affidare funzioni esclusive (e soldi pubblici) ai centri per l’impiego?
Più in generale, avremo coesione sociale se investiremo nella piena espressione delle capacità delle persone, dalle esperienze dei più vecchi alle innovazioni dei più giovani, tornando ad essere quella start up nation che fummo dopo la guerra.
Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSacconi