Bollettino ADAPT 2 dicembre 2019, n. 43
L’Istat ha diffuso nei giorni scorsi, nella assuefazione generale alle cattive notizie, le stime semestrali sulla produttività. La produttività viene considerata dall’istituto come il rapporto tra il valore aggiunto in volume e uno o più dei fattori produttivi impiegati per realizzarlo. Nel 2018, se il valore aggiunto dei beni e servizi market ha registrato una crescita in volume dell’1% rispetto al 2017, la produttività del lavoro, calcolata come valore aggiunto per ora lavorata, è diminuita dello 0,3%.
Nel più ampio periodo 1995-2018 la produttività del lavoro è invece aumentata ad un tasso medio annuo del solo 0,4%, quale risultante di una crescita media dello 0,7% del valore aggiunto e dello 0,4% delle ore lavorate. Significativo è però il confronto con gli altri Paesi europei nello stesso arco temporale. Essa è risultata decisamente inferiore alla media dell’Unione a 28 (1,6%), mentre i tassi di crescita in Germania (1,3%), Francia (1,4%) e Regno Unito (1,5%) sono risultati in linea con il dato europeo. La Spagna ha registrato un tasso di crescita più basso (0,6%) rispetto alla media europea ma più alto di quello dell’Italia.
Questo indicatore è naturalmente il risultato di una economia complessa nella quale coesistono territori con livelli di efficienza profondamente diversi e una moltitudine di piccole e piccolissime attività accanto ad un importante tessuto di medie e medio-grandi imprese. Le grandi imprese sono sostanzialmente venute meno con il trauma di tangentopoli e quel po’ che le assomiglia è tutt’ora messo in discussione più da vicende giudiziarie che dal mercato.
Nella dimensione più strutturata il limite evidente è consistito nello scarsissimo collegamento tra salari e produttività indotto da contratti nazionali pesanti e invasivi, come hanno ripetutamente affermato le istituzioni europee e internazionali. È evidente poi la difficoltà delle piccole imprese di investire nella innovazione tecnologica per la quale tuttavia occorrono contesti idonei ad accoglierla, a partire dalle risorse umane. È quindi necessario verificare se i vigenti strumenti della politica del lavoro siano sufficientemente tarati sulle piccole attività produttive e sul grande bacino del Mezzogiorno. Riflessione ancor più necessaria nel momento in cui si vorrebbe affiancare ad una legislazione già rigida e omologa anche una contrattazione collettiva nazionale cristallizzata erga omnes attraverso la ipotizzata legge sulla rappresentanza.
Piccole imprese e Sud richiedono flessibilità contrattate in prossimità ed ecosistemi educativi territoriali frutto della collaborazione tra imprese, università, scuole, enti di formazione. La cultura sindacale che ha principi ma è libera dall’astrazione ideologica, che muove dalla osservazione delle realtà e mette al centro della sua azione la persona, ha il compito di rifiutare ogni antistorico processo di centralizzazione per privilegiare la duttilità del negoziato e dell’iniziativa nei tanti diversi luoghi dell’economia italiana. Mai come ora questa cultura è stata in sintonia con il tempo in cui vive.
Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSacconi