Bollettino ADAPT 10 luglio 2023, n. 26
Strana storia quella del salario minimo per legge. Antico cavallo di battaglia dei liberal per superare la contrattazione collettiva e affermare al di sopra di esso i liberi accordi individuali, diventa obiettivo delle sinistre politiche e sociali. Ma, nei recenti anni in cui queste hanno avuto la maggiore influenza sui governi, non se ne è fatto nulla. Draghi aveva tentato la strada dell’applicazione erga omnes dei minimi dei “contratti collettivi più applicati” nel perimetro più prossimo, in modo da evitare il nodo controverso della rappresentatività e ogni irrigidimento legislativo in un numero o in una categoria. La rappresentatività poi, se ha da essere, secondo molti dovrebbe misurarsi sul totale dei lavoratori (o delle imprese) e non sui soli soggetti sindacalizzati perché il “mercato” delle relazioni di lavoro conosca i pesi assoluti degli attori. Insomma, è materia divisiva ove sembrano prevalere i calcoli di parte sull’ effettiva risposta ai bisogni dei lavoratori poveri. Questi sono peraltro tali o per la persistente natura sommersa della loro prestazione, o per i bassi livelli retributivi concordati tra le parti con lo scopo di evitare la concorrenza delle prestazioni irregolari, o per il basso numero di ore lavorate, o perché autonomi privi di tutele da leggi e contratti. Quanto ai contratti “pirata”, sono molti ma applicati a pochissimi e quindi non tali da giustificare una pezza peggiore del buco.
Rimane invece in tutta evidenza il problema di una grande platea di lavoratori mal retribuiti perché hanno salari mediani “schiacciati” sui minimi. La fonte della loro dinamica reddituale è spesso il solo contratto nazionale e questo si rivela sempre più incapace di decidere aumenti significativi perché ogni insieme di imprese è troppo vario. Far crescere i salari dovunque è possibile significa quindi uscire di corsa dall’omologazione e sostituire i perimetri di categoria con quelli di territorio ugualmente decisi dalle parti con geometrie variabili. Un contratto per la città metropolitana di Milano, uno per il Molise, due o più per il Veneto, uno per la Calabria e così via. Questi accordi sarebbero ovviamente cedevoli di fronte a contratti aziendali perché la maggiore prossimità garantisce migliore adattività. Come arrivarci? Con la riforma fiscale che stabilisca una tassa piatta e agevolata per premi legati a produttività, professionalità, scomodità.
Concludendo, esiste eccome una questione salariale. La soluzione è nei contratti collettivi ma non nazionali, bensì di prossimità. La legge che fissa una cifra è solo una illusione ottica perché’ incoraggia lo schiacciamento e fa qualche lavoratore sommerso in più.
Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSacconi