Il luogo è a suo modo simbolico, un cilindro di vetro e acciaio che appare avulso e chiuso in se stesso tra le brume, i cipressi e i villaggi di tetti spioventi della campagna alsaziana. «È giunto il momento di abbandonare l’idea di una Europa impaurita e piegata su se stessa», dice Francesco. L’ultimo pontefice a passare di qui era stato Wojtyla ne 1988, c’era ancora il Muro di Berlino e nel frattempo è cambiato il mondo, «sempre più interconnesso e globale, sempre meno eurocentrico».
Dai banchi piovono applausi, quando il Papa dice che «è necessario favorire le politiche di occupazione e ridare dignità al lavoro» o parla dei migranti ed esclama: «Non si può tollerare che il Mediterraneo diventi un grande cimitero!». Ma le parole di Francesco al Parlamento europeo suonano la sveglia alla «Europa nonna, non più fertile e vivace», danno voce «alla sfiducia dei cittadini nei confronti di istituzioni ritenute distanti, impegnate a stabilire regole percepite come lontane dalla sensibilità dei singoli popoli, se non addirittura dannose» e alla «impressione generale di stanchezza e di invecchiamento», tanto che «i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva, in favore di tecnicismi burocratici delle sue istituzioni».
A tutto questo si aggiungono «stili di vita egoisti», una «opulenza ormai insostenibile e spesso indifferente, soprattutto verso i più poveri», l’essere umano che rischia d’essere ridotto a «bene di consumo da utilizzare», finché «la vita ritenuta non funzionale viene scartata, come nel caso dei malati terminali, gli anziani abbandonati, i bambini uccisi prima di nascere». Di contro al «prevalere delle questioni tecniche ed economiche» si tratta di porre al centro «l’uomo in quanto persona dotata di dignità trascendente». Francesco sceglie come immagine della storia europea la «Scuola di Atene» di Raffaello, il dito di Platone a indicare il cielo, la mano di Aristotele rivolta a terra: «Un’Europa non più capace di aprirsi alla dimensione trascendente, lentamente rischia di perdere la propria anima».
Così dice che «il patrimonio del cristianesimo» è un «arricchimento» e non un «pericolo» per la laicità: proprio le «radici religiose» sono un antidoto «ai tanti estremismi» perché il fondamentalismo «è soprattutto nemico di Dio». E chiede di «mantenere viva la democrazia» evitando che una «concezione omologante della globalità» e «la pressione di interessi multinazionali» arrivino a «rimuovere» le democrazie, trasformandole in «sistemi uniformanti di poteri finanziari al servizio di imperi sconosciuti». E quando si rivolge al vicino Consiglio d’Europa, che comprende anche Russia e Turchia, Francesco parla della «pace troppo spesso ferita», della necessità di cercare «soluzioni politiche» e delle «sfide» di un Continente chiamato ad essere «multipolare» e accettare la «trasversalità». Il Papa elogia per questo i «politici giovani» e ne parla nel volo di ritorno: «Sono coraggiosi, non hanno paura di uscire dalla loro appartenenza, senza negarla, per dialogare: l’Europa ha bisogno di questo, oggi».
A Strasburgo ha denunciato le «barbare violenze» contro i cristiani e le minoranze, nel «silenzio vergognoso e complice di tanti». Gli si chiede dell’Isis: si potrebbe dialogare anche con i terroristi? «Io mai chiudo una porta. È difficile, puoi dire quasi impossibile, ma la porta è sempre aperta, no?». Del resto, aggiunge, esiste un’altra minaccia: «Il terrorismo di Stato: quando uno Stato, da sé, si sente in diritto di massacrare i terroristi, e con loro cadono tanti che sono innocenti. Questa è un’anarchia di livello molto alto e molto pericolosa. Contro il terrorismo si deve lottare, ma ripeto: l’aggressore ingiusto va fermato con il consenso internazionale. Nessun Paese ha diritto di agire per conto suo».
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Il Papa sferza l'Europa: «Basta paure»