Tra le molte problematiche che il cambio di appalto porta con sé c’è senza dubbio anche il preavviso, prescritto dall’art. 2118 c.c., e disciplinato nello specifico dai diversi Ccnl.
Tale norma nasce giustamente dalla necessità di garantire alla parte che subisce il recesso un tempo sufficiente a riorganizzarsi e, qualora invece manchi il preavviso, fattispecie prevista nello stesso articolo del codice civile, venga allo stesso modo riconosciuta un’indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso, la c.d. indennità di preavviso.
La prassi in caso di cambio d’appalto, soprattutto se di notevole entità, vede ormai intercorrere un lasso di tempo variabile tra l’aggiudicazione di una gara, l’esame della situazione da parte dell’impresa subentrante e delle organizzazioni sindacali per valutare gli eventuali mutamenti delle esigenze tecnico-organizzative, ricorsi amministrativi, ed il reale subentro. L’impresa cessante si trova quindi in una specie di “limbo” nel quale non si sa per quanto tempo rimarrà e ciò si ripercuote chiaramente sui lavoratori che, per quanto i Ccnl garantiscano loro l’assunzione da parte dell’impresa subentrante, sono coinvolti in questa situazione di incertezza.
Le parti firmatarie di Ccnl di settori nei quali i cambi di appalto sono la regolarità, come nel caso di quello per il personale dipendente da imprese esercenti servizi di pulizia e servizi integrati/multi servizi oppure quello per i dipendenti da aziende della ristorazione collettiva, hanno con lungimiranza affrontato la questione del preavviso specificando in modo esplicito che per il personale coinvolto nel passaggio di appalto, qualora non vi sia soluzione di continuità, l’azienda è esonerata dalla corresponsione dell’indennità sostitutiva del preavviso. Ciò ha chiaramente logica, sia poiché il lavoratore non subisce alcun danno economico, sia poiché l’erogazione dell’indennità sostitutiva del preavviso da parte delle imprese cessanti sembrerebbe una beffa per queste ultime, che non solo si vedrebbero privare degli introiti derivanti dal mantenimento dell’appalto, ma sarebbero inoltre tenute all’esborso di rilevanti somme a favore di lavoratori ai quali muterebbe solamente il proprio datore di lavoro.
Altri Ccnl, di settori in cui vige il cambio di appalto, non prevedono nulla riguardo il preavviso e ciò rappresenta allo stato attuale un problema di notevole entità. Un caso su tutti il Ccnl Mobilità, area attività ferroviarie, che vuole regolamentare il rapporto di lavoro per il personale, viaggiante e non, tradizionalmente dipendente da Trenitalia. Le Parti sembrano aver compreso la necessità delle aziende a ricorrere all’appalto, soprattutto per accompagnamento treni notte e servizi connessi, assistenza e/o ristorazione a bordo treno, pulizia sul treno o negli impianti e relativi servizi ausiliari nell’ambito delle attività di trasporto ferroviario, come ben specifica l’art. 16 bis, tuttavia tali ambiti, abbastanza limitati in passato, si sono sviluppati sensibilmente dall’entrata in funzione dell’Alta Velocità-Alta Capacità e meriterebbero di essere disciplinati più in dettaglio così come richiesto, ormai da molto, dalle associazioni datoriali dei vari settori di riferimento.
Questo vuoto normativo nell’ambito della Mobilità non è passato inosservato e numerosi lavoratori che hanno cessato il loro rapporto di lavoro con le imprese uscenti, attraverso licenziamento per giustificato motivo oggettivo, astrattamente inquadrabile nell’alveo dell’art. 2118 c.c., hanno proposto ricorso per l’accertamento ed il riconoscimento del diritto all’indennità di preavviso, così come previsto dall’art. 53 Ccnl Mobilità, area attività ferroviarie, nonostante fossero passati presso il nuovo datore di lavoro senza alcuna soluzione di continuità.
Le diverse sezioni del lavoro che si sono trovate a dover giudicare si sono orientate, in assenza di un intervento correttivo del legislatore o della contrattazione collettiva che regolamenti la fattispecie, a dare ragione ai ricorrenti, ma sempre con maggiore frequenza hanno rilevato, la Sezione del Lavoro del Tribunale di Milano in primis, che nonostante i giudici non abbiano altre possibilità tale valutazione è discorde rispetto alle finalità sottese alla disposizione di cui all’art. 2118 c.c., così come interpretato dalla Corte di Cassazione in Cass. 21 gennaio 2014, n. 1148, che sarebbero individuate “nell’esigenza di impedire che il lavoratore si trovi all’improvviso e contro la sua volontà di fronte alla rottura del contratto ed in conseguenza di ciò versi in una imprevista situazione di disagio economico e, dall’altra, in quella di consentire che il lavoratore stesso possa usufruire di un tempo minimo per trovarsi una nuova occupazione o di organizzare la propria esistenza nell’imminenza della cessazione del rapporto di lavoro”. I criteri appaiono quindi il disagio economico imprevisto, che in caso di cambio di appalto il lavoratore non subisce, oltre al tempo necessario per trovare una nuova occupazione, che risulta manifestamente inutile avendo il lavoratore instaurato un nuovo rapporto di lavoro contestualmente alla cessazione del precedente.
La Suprema Corte, nella medesima sentenza, sembra quindi contraddirsi riconoscendo l’indennità di preavviso.
D’altro canto è possibile riflettere verso quale altra soluzione potrebbe propendere la parte datoriale cessante per rispettare correttamente la normativa. Premettendo che un preavviso generico di cambio di appalto senza conoscere la data esatta di cessazione del rapporto potrebbe apparire poco valida, sia giuridicamente sia concettualmente, si può riflettere sull’eventualità che l’impresa, anche in rispetto delle sentenze, comunichi il preavviso solo dopo aver conosciuto il giorno esatto di cessazione. In tal caso il lavoratore si troverebbe costretto, per assumere servizio presso l’azienda subentrante, a presentare dimissioni e, trasponendo analogamente il ragionamento della giurisprudenza, a dover corrispondere l’indennità di preavviso all’impresa cessante. Tale situazione sarebbe vessatoria nei confronti del lavoratore dal quale ne deriverebbe per lui un danno sensibile. La soluzione migliore sarebbe dunque una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, ma proprio perché consensuale essa dovrebbe derivare dalla comune volontà delle parti, e chiaramente non imponibile.
Appare quindi evidente, alla luce di tali ragionamenti, la falla dell’impianto normativo nei Ccnl che non contemplino tale fattispecie, ed in assenza di un cambio di orientamento della giurisprudenza esistente, che appare quanto meno improbabile, spetta alla contrattazione collettiva agire quanto prima per evitare che si sviluppino danni a carico dei lavoratori o delle imprese.
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@PietroRizzi85