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Bollettino ADAPT 19 febbraio 2024 n. 7
Il tema dell’immigrazione e quello del mercato del lavoro sono fortemente connessi da molteplici punti di vista. Non soltanto perché la quota di lavoratori stranieri nei paesi occidentali, Italia inclusa, è crescente. Non soltanto per una certa retorica, spesso utilizzata per avvallare disparità di trattamento, secondo la quale i lavoratori stranieri farebbero quello che i lavoratori italiani non vorrebbero più fare. Ma anche e soprattutto perché l’andamento demografico impone, e questa sembra essere una consapevolezza sempre più condivisa, di porsi seriamente il problema di come introdurre forza lavoro straniera per evitare che la crisi dell’offerta finisca per bloccare l’economia del Paese. Già oggi la forza lavoro straniera contribuisce in larga misura a limitare le conseguenze dello svuotamento delle coorti anagrafiche più giovani. Questo soprattutto nei territori con maggior domanda di lavoro, in tutti i settori economici.
Complessivamente i lavoratori stranieri in Italia, in aumento nell’ultimo decennio, sono oggi 2,4 milioni, poco più del 10% degli occupati complessivi. Quello che però è utile osservare, per capire meglio la qualità di questo lavoro, è che se l’occupazione straniera nelle professioni tecniche e qualificate è pari a circa il 2% del totale, sale a quasi un terzo nel lavoro non qualificato. Ulteriore polarizzazione emerge rispetto al tema del lavoro povero, con i lavoratori stranieri al 28% rispetto al 9% degli italiani. Questo unicamente perché mancano le competenze? Non sempre. Se consideriamo, per esempio, la quota di lavoratori stranieri sovra-qualificati, ossia coloro che hanno un livello di istruzione terziaria ma che impiegati in occupazioni poco o mediamente qualificate, i risultati sono preoccupanti. Infatti la media europea di sovra-qualificati tra i lavoratori provenienti da paesi non-UE è del 39% ma Italia questa cifra raggiunge il 68%, secondi solo alla Grecia al 74% e seguiti dalla Spagna al 57,5%.
Questi dati, ai quali potremmo aggiungerne altri, a partire da quelli sul lavoro irregolare, non sono utili solo per descrivere le condizioni di svantaggio dei lavoratori stranieri. Sono dati che ci dicono molto sul punto a cui siamo rispetto ai processi di integrazione, con particolare riferimento al mercato del lavoro. Il rischio che i dati sottolineano è quello di accrescere la quota di lavoro povero, occupato in settori a basso valore aggiunto, nonché comprimere i consumi interni in modo crescente. La valorizzazione delle competenze già presenti dovrebbe essere il primo passo, ma richiede processi di integrazione e inclusione che sono preliminari alle diverse procedure di riconoscimento dei titoli di studio già previste, che possono essere migliorate. Considerando i fabbisogni differenti dei diversi territori e delle diverse filiere produttive non si può non pensare che questo debba essere uno degli ambiti centrali per queste politiche di integrazione. Le imprese ne hanno tutto l’interesse, i territori anche per attrarre persone e per qualificare il capitale umano affinché sia possibile introdurre processi di innovazione e attrazione di investimento, questo attraverso attività di formazione e riqualificazione che abbiano come obiettivo anche quello di far emergere le competenze presenti.
A questo occorrerebbe aggiungere una maggior autonomia dei settori produttivi, dei territori e delle filiere, anche con un ruolo centrale delle parti sociali, nella gestione dei flussi in ingresso, che andrebbero regolati anche in base ai percorsi di integrazione e programmati. Senza tutto questo a perderci non saranno solo i lavoratori stranieri, con i più competenti e che vivono un disagio minore che comunque emigreranno verso altri paesi europei, ma l’equilibrio sociale ed economico complessivo del Paese. Più lavoratori poveri, meno valore aggiunto, livelli del capitale umano calanti anche perché sotto-utilizzati, invecchiamento della popolazione e poco ricambio di competenze nuove. Per che questo non accada occorrono però investimenti forti, non solo da parte dello Stato ma di tutti gli attori interessati, in una prospettiva di lungo e medio termine, entro il quale si giocano sia le dinamiche demografiche che quelle migratorie.
Francesco Seghezzi
Presidente ADAPT
@francescoseghezz
*pubblicato anche su Domani, 12 febbraio 2024