Il progetto di legge sul lavoro a distanza in Spagna

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Bollettino ADAPT 31 agosto 2020, n. 31

 

Come in molti paesi, così anche in Spagna è da tempo aperto il dibattito in merito ad un aggiornamento della regolazione del telelavoro, o del nuovo volto che questo istituto ha assunto dopo essere stato messo improvvisamente alla prova dalle esigenze dettate dalla pandemia da Covid-19.

 

Secondo i dati riportati dall’Instituto Nacional de Estadística nella Encuesta de Población Activa (EPA) relativa al secondo trimestre del 2020, sono stati oltre tre milioni i lavoratori che hanno fatto ricorso al telelavoro, cifra che, secondo i calcoli, vede quadruplicati i dati corrispondenti allo stesso periodo dell’anno anteriore.

 

Come osservato anche dal Consejo Economico y Social nel Dictamen 2/2020, non è detto, naturalmente, che il recente ricorso massivo al telelavoro, che risponde in grande misura a strategie obbligate di resilienza aziendale a fronte di una crisi senza precedenti, si consoliderà anche in futuro. Tuttavia, “non è azzardato prevedere che una parte importante dello stesso possa essere impiantato in maniera più duratura, in considerazione dei vantaggi e delle opportunità organizzative, lavorative e sociali che, in generale, si ritiene che fornisca”.

 

Così, nel solco, della innegabile necessità ed opportunità di riformulare questa modalità di organizzazione del lavoro rivelatasi quanto mai utile a fronte di un’emergenza tutt’altro che sopita, si colloca l’Anteproyecto de Ley de Trabajo a Distancia che è attualmente oggetto di discussione tra Governo e parti sociali.

 

Trattasi di un documento che ha il pregio di ordinare, in un unico “contenitore”, disposizioni nuove e già esistenti in altre leggi, come l’Estatuto de los Trabajadores, la riforma del lavoro del 2012 che disciplinò alcuni aspetti del lavoro da remoto, e la Ley de Protección de Datos Personales y garantía de los derechos digitales che introdusse in Spagna, nel 2018, il diritto alla disconnessione digitale.

 

Il testo parte dalla definizione di telelavoro, differenziandolo dalla nuova modalità che viene disciplinata, quella del lavoro a distanza, chiarendo che il primo si realizza mediante “l’uso esclusivo o prevalente di mezzi e sistemi informatici, telematici e di telecomunicazione”, mentre il secondo può si svolgere nel luogo scelto dal lavoratore durante il corso dell’intera giornata lavorativa, o di parte di essa.

 

Tuttavia, proprio la definizione di lavoro a distanza rappresenta uno dei punti sui quali in questi giorni si sta maggiormente scatenando il dibattito in Spagna, poiché da essa dipende l’applicazione o meno della nuova normativa ad un numero cospicuo di lavoratori. Le ultime modifiche apportate al progetto di legge non sono infatti intervenute sulla definizione secondo cui debba intendersi che sussiste lavoro a distanza regolare “quando, in un periodo di riferimento di tre mesi, un minimo del 20% della giornata, o la percentuale proporzionalmente corrispondente in funzione della durata del contratto, sia realizzata secondo questa modalità”.

 

Si tratta di una percentuale, questa del 20%, che continuerà certamente ad essere oggetto di negoziazione sotto la spinta delle associazioni datoriali, posto che, se confermata, vorrebbe dire che tutti coloro che lavorino a distanza anche un solo giorno alla settimana risulterebbero soggetti alla nuova normativa, quando invece questa possibilità rappresenterebbe, secondo le loro argomentazioni, un elemento di flessibilità in favore del lavoratore che non dovrebbe comportare costi ulteriori per l’azienda.

 

Non a caso, un altro tema cruciale che nell’ultima versione del progetto di legge non è stato oggetto di modifiche, è infatti proprio quello dei costi relativi allo svolgimento del lavoro a distanza, i quali, si stabilisce, saranno interamente a carico dell’impresa. La disposizione non lascia adito a dubbi nell’affermare il “diritto alla compensazione totale dei costi”, aggiungendo che il lavoro a distanza non può comportare per il lavoratore costi “diretti o indiretti aventi relazione con attrezzature, strumenti e mezzi legati allo svolgimento dell’attività lavorativa”.

 

È questo un aspetto che in realtà avrebbe già potuto desumersi dalla normativa attuale, nel momento in cui impone il divieto di discriminazione tra il lavoro in presenza e non. Tuttavia, è forse stata la constatazione di quanto avvenuto nel periodo emergenziale, in cui il telelavoro si è svolto molto spesso al di fuori del rispetto di questa ed altre regole, a suggerire che venisse messo nero su bianco. Quello che non si chiarisce, però, è come debba avvenire questa compensazione, anche se è presumibile che verrà demandato alla contrattazione collettiva il compito di stabilire di volta in volta le formule più adatte.

 

Tra i punti che sono stati, invece, in parte modificati nell’ultima versione del progetto v’è quello della portata del “diritto alla flessibilità oraria”. Il testo mantiene la componente della flessibilità, nel rispetto dei termini pattuiti in accordo – però – non più solo con l’azienda ma anche con la contrattazione collettiva, e prevede che per parte della giornata lavorativa, si possa chiedere al lavoratore di essere reperibile.

 

Connesso a tale aspetto è quello dei limiti del controllo a distanza dei lavoratori. Si prevede l’uso di mezzi telematici, tenendo conto dei tempi di riposo, e prestando attenzione alla non discriminazione rispetto al controllo che esercita l’impresa sul lavoratore in presenza. In questi termini, il testo prevede ora che il controllo dell’orario di lavoro si limiti all’inizio e alla fine della giornata lavorativa, oltre che ad alcune parti della giornata in cui siano fissate attività specifiche, venendo meno, di conseguenza, l’obbligo, previsto nelle precedenti versioni del progetto, per i lavoratori di registrare il tempo di attivazione e disattivazione delle apparecchiature, nonché, ove opportuno, il tempo dedicato alla preparazione e allo svolgimento dei compiti richiesti per ciascuna delle fasi del ciclo di lavorazione e consegna.

 

Resta naturalmente fermo anche il diritto alla disconnessione digitale, già garantito dalla Ley Orgánica 3/2018, de 5 de diciembre, de Protección de Datos Personales y garantía de los derechos digitales all’articolo 88, ma ora ribadito per i lavoratori a distanza con maggiore forza, stando alla lettera del progetto di legge, secondo cui “il dovere del datore di lavoro di garantire la disconnessione comporta un divieto assoluto di utilizzo dei mezzi tecnologici di comunicazione con l’azienda e di lavoro durante il periodo di riposo”. Si rimanda poi alla contrattazione collettiva per la definizione in concreto delle misure in grado di rendere effettivo tale diritto.

 

Il testo insiste ancora sul diritto alla parità di trattamento dei lavoratori a distanza rispetto a quelli in presenza, precisando espressamente che tali lavoratori “non saranno danneggiati nelle loro condizioni di lavoro, comprese la retribuzione, la stabilità del lavoro e la promozione professionale”. Viene poi chiarito che l’eventuale diniego da parte del lavoratore di lavorare a distanza, il suo mancato adattamento, la mancanza di attitudine iniziale o sopravvenuta per tale modalità lavorativa, o la sua decisione di tornare a lavorare in presenza “non saranno cause giustificative dell’estinzione del rapporto di lavoro né della modifica sostanziale delle condizioni di lavoro. E altresì si prevede l’obbligo per le imprese di tener conto della particolarità di questa modalità lavorativa nella stesura dei protocolli contro le molestie sul lavoro.

 

Evidente retaggio dell’esperienza vissuta durante la pandemia, è poi la disposizione che stabilisce una disciplina per i casi di forza maggiore. A fronte di tali cause, comprese eventuali “ragioni di protezione ambientale”, si prevede, infatti, l’obbligo per le imprese di ricorrere al lavoro a distanza “ogni qualvolta questo risulti tecnicamente e ragionevolmente possibile”. Questo vuol dire – e la conseguenza è di non poco conto – che la misura del lavoro a distanza, in questi casi, dovrebbe applicarsi in via prioritaria rispetto all’eventuale applicazione dei cosiddetti ERTE (Expediente de Regulación Temploral de Empleo), termine con cui si intendono le misure di sospensione temporanea del contratto o di riduzione della giornata per un periodo di tempo determinato. Esiste poi una disposizione specifica per i casi di “forza maggiore familiare”, per cui si consente al lavoratore, sempre ove possibile tecnicamente e ragionevolmente, di lavorare a distanza per il 60% della giornata.

 

I sindacati, infine, promettono battaglia in merito alla scelta di escludere dall’ambito di applicazione della legge il personale della pubblica amministrazione, il quale rischia di rimanere privo di ogni regolamentazione.

 

Lavinia Serrani

Ricercatrice ADAPT

Responsabile Area Ispanofona

@LaviniaSerrani

 

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