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Bollettino ADAPT 28 gennaio 2019, n. 4
Il reddito di cittadinanza è legge. Rectius, decreto legge. In sede di conversione il testo attualmente disponibile potrebbe subire modifiche. In attesa dei passaggi parlamentari, il decreto è comunque pienamente efficace e le misure in esso previste possono trovare applicazione. Misure la cui attuazione rappresenta il primo grande banco di prova della capacità delle amministrazioni coinvolte di costruire procedure e strumenti conformi alle regole comunitarie in materia di privacy, entrate a pieno regime lo scorso maggio.
La norma sul reddito di cittadinanza prevede, infatti, trattamenti su larga scala di dati personali “particolari”, profilazione degli interessati, interconnessione di banche dati, circolazione delle informazioni sensibili tra una pluralità di soggetti, monitoraggio e valutazione dei consumi e dei comportamenti dei beneficiari.
Processi e strumenti per la gestione della misura devono quindi essere progettati e impostati secondo i principi di privacy by design e by default quali minimizzazione e pseudonimizzazione e definendo regole di accesso sulla base del principio del minimo privilegio, procedure di data breach, procedure per garantire i diritti degli interessati e definizione dei tempi di conservazione dei dati.
In ballo ci sono la reputazione e la credibilità delle istituzioni coinvolte e la stessa capacità di gestione della misura che, nella denegata ipotesi di violazione dei sistemi, produrrebbe danni rilevanti in ragione della pervasività dei trattamenti previsti.
La norma basa la gestione della misura sulla costruzione di un impianto informativo molto articolato e complesso, che mette in rete diversi soggetti (Poste, CAF, Inps, Centri per l’Impiego, Agenzie per il lavoro, enti di formazione, servizi sociali dei comuni, Anpal, Anpal Servizi, Comuni, datori di lavoro) collegati tra loro con piattaforme informatiche già note, ovvero in fase di realizzazione, nel tentativo di conciliare le diverse declinazioni possibili della misura: sostegno al reddito e politica attiva del lavoro.
Non si tratta certo di un’idea nuova. Tutte le riforme del lavoro succedutesi dal 1997 pongono come centrale la valorizzazione e la maggiore diffusione delle informazioni tra gli attori del mercato del lavoro e diversi sono stati i tentativi di costruire un completo sistema informativo capace di farli dialogare. Tentativi falliti anche in ragione della ripartizione costituzionale delle competenze in mercato del lavoro, per superare i cui vincoli è stata di recente evocata la tecnologia blockchain.
Rispetto alle precedenti definizioni, tuttavia, il decreto sul reddito di cittadinanza include nella filiera comunicativa un numero maggiore di soggetti e di informazioni.
La richiesta del reddito passa infatti dagli uffici postali e dai CAF, che acquisiscono dagli interessati le richieste e trasmettono le informazioni a INPS attraverso modalità non normativamente indicate. Inps procede alla verifica dei dati ricevuti attraverso la consultazione delle proprie banche dati e di quelle “delle amministrazioni collegate”, nonché dell’anagrafe tributaria, del pubblico registro automobilistico e delle altre amministrazioni pubbliche detentrici di dati…”. La norma non definisce le procedure di consultazione e di verifica delle banche dati, né identifica tutte le amministrazioni coinvolte. “Contemporaneamente, i comuni procedono a verificare i requisiti di residenza e domicilio e comunicano i risultati sulla piattaforma informatica”.
In caso di esito positivo delle verifiche – che devono concludersi entro 5 giorni dalla ricezione della domanda – Inps comunica il via libera a Poste, che procede all’emissione e alla consegna della carta del reddito, le cui movimentazioni “sono messe a disposizione delle piattaforme digitali”.
Questa previsione si collega a quella in base a cui “i centri per l’impiego e i comuni segnalano alle piattaforme dedicate l’elenco dei beneficiari per cui sia stata osservata una qualsiasi anomalia nei consumi e nei comportamenti”.
Operatori dei centri per l’impiego e dei servizi comunali sono, quindi, chiamati a monitorare i consumi e i comportamenti dei beneficiari ed esprimere valutazioni, sulla base di procedure e criteri non normativamente indicati.
Le informazioni sugli acquisti comportano necessariamente l’acquisizione di dati cd “particolari”, tali cioè da rivelare orientamenti, origini, ideologie e stato di salute. Facciamo il caso di spese per medicinali e accertamenti diagnostici o per scelte alimentari chiaramente collegate a una patologia o a una determinata religione. A tale trattamento su larga scala, si aggiunge poi il monitoraggio e la valutazione di scelte individuali da parte di pubblici ufficiali.
La disposizione appare in contrasto con i principi di libertà costituzionalmente previsti e necessita di un intervento – anche demandato a fonte subordinata – per ricondurre la misura entro i principi costituzionali.
Per poter essere attuata la disposizione deve, quindi, essere declinata rispetto alle modalità di monitoraggio e ai criteri per la classificazione dei cd “comportamenti anomali”, all’individuazione dei soggetti demandati alle attività di monitoraggio e valutazione, nonché ai tempi di conservazione delle informazioni.
La norma si limita a vietare espressamente solo la spesa per “giochi che prevedono vincite in denaro”. Al di fuori di detta ipotesi, la valutazione non può essere rimessa alla discrezionalità degli operatori demandati al controllo. Anche sotto questo aspetto si gioca la partita della credibilità e della reputazione delle istituzioni coinvolte.
Altra riflessione riguarda la previsione della nuova figura professionale del “navigator”, operatore slegato dai Centri per l’Impiego, a cui è demandato il “compito di seguire personalmente il beneficiario nella ricerca di lavoro, nella formazione e nel reinserimento professionale”. Dalle dichiarazioni rese dagli estensori della norma, si tratta di un professionista dell’intermediazione che, dotato di strumentazione informatica d’avanguardia, dovrebbe seguire il beneficiario anche a domicilio e assisterlo nel percorso di politica attiva del lavoro. Tale figura, quindi, dovrà trattare i dati del beneficiario attraverso supporti informatici che in re ipsa comportano elevato rischio di perdita anche accidentale dei dati. I supporti informatici dei “navigator” dovranno, quindi, essere configurati con sistemi di criptografia. Dovranno inoltre essere approntate procedure tali da garantire un flusso comunicativo immediato tra “navigator” e titolare per la gestione dei “data breach”. Altro elemento raccolto dagli articoli di stampa riguarda il software che dovrebbe essere messo a disposizione dei “navigator” per consentire l’incrocio domanda/offerta di lavoro e che sembrerebbe già in uso negli Stati Uniti. L’eventuale sviluppo di questo software dovrà tener conto della diversa normativa privacy vigente in Europa.
La questione della protezione dei dati nella gestione della misura del reddito di cittadinanza è molto delicata, in quanto richiede il bilanciamento delle esigenze di carattere pubblicistico legate al controllo degli abusi e alla gestione dei percorsi di politica attiva del lavoro, con la tutela dei diritti fondamentali della persona e della dignità umana, nella cui categoria rientra il diritto alla riservatezza e all’autodeterminazione informativa.
Nel costruire i flussi informativi necessari al buon funzionamento della misura e del mercato del lavoro, assicurando la circolazione, accessibilità, trasparenza, interoperabilità delle banche dati, occorre tener conto dei diritti e principi della protezione dei dati personali attraverso procedure e standard tecnici delle soluzioni informatiche configurati in modo tale da tener conto dei diritti dell’interessato con riferimento alla protezione dei dati personali.
Dunque, non è in discussione l’an ma il quomodo del trattamento dei dati, ovvero i limiti e le regole che devono caratterizzare l’operato delle amministrazioni coinvolte nella gestione del reddito di cittadinanza.
Laura Marchetti
Giurista – Esperta di mercato del lavoro e privacy