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Bollettino ADAPT 9 gennaio 2023, n. 1
Si è discusso molto del tema della congruità dell’offerta di lavoro proposta ai percettori del reddito di cittadinanza. Nonostante l’emendamento che voleva eliminare questo aggettivo sia di fatto inefficace, il nodo culturale e la volontà politica appaiono molto chiari. Quello della congruità dell’offerta sarebbe un principio tale per cui la spinta lavoristica del reddito di cittadinanza non potrà mai avverarsi, perché ci si potrà sempre difendere dietro alla scusa di una non congruità delle offerte ricevute e quindi rifiutarle. In realtà, nella situazione attuale dei Centri per l’impiego, che dovrebbero proporre ai percettori del reddito che hanno sottoscritto il Patto per il lavoro le offerte, non ha neanche senso concentrarsi sulla congruità. Infatti sappiamo che le offerte non vengono avanzate ai percettori, al massimo si mostrano alcune offerte disponibili senza però che queste debbano essere esplicitamente accettate o meno. In pratica non è azzardato sostenere che di offerte, congrue o non congrue, non ne siano mai state fatte.
Il tema dell’offerta congrua appare quindi più come un posizionamento ideologico e non un intervento che porta con sé effetti concreti nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Se davvero la congruità fosse un criterio poi, una volta abolita verrebbero a meno le indicazioni contenute nel decreto che la regola (perché non si tratta di criteri soggettivi, ma esplicitamente regolati) e si arriverebbe al paradosso che un lavoro di pochi giorni, magari con un part time a poche ore, sarebbe da accettare obbligatoriamente anche a una distanza da casa tale non poter sostenere con il salario previsto le spese di viaggio. Così che il percettore smetterebbe di prendere il reddito di cittadinanza, rientrando comunque nei criteri reddituali per ottenerlo, per poi richiederlo alla fine del rapporto (con l’eccezione dei lavori stagionali per i quali è previsto, giustamente, il cumulo tra reddito da lavoro e sussidio). O non sarebbero rari i casi in cui per sostenersi i percettori impegnati obbligatoriamente in lavori poveri dovrebbero arrangiarsi con altri lavoretti, magari in nero.
Difficilmente il mercato del lavoro diventerà più efficiente in questo modo, semmai avrebbe senso, se proprio si vuole intervenire su questo fronte, modificare meccanismi e criteri della congruità. Anche perché con circa 450 mila posti vacanti in Italia pensare di trovare lavoro in pochi mesi a 650 mila “occupabili” non è chiaramente realistico. Oltretutto con offerte di lavoro che si concentrano al nord mentre la maggioranza dei percettori risiede nelle regioni del sud. Il nodo non è neanche quello di tendere al “lavoro ideale”, come si è detto in questi giorni. Lavoro che non esiste anche solo per il fatto che oggi, in un mondo del lavoro dove le transizioni sono sempre maggiori, è sempre meno identificabile con un posto ma con una mutevole carriera. Ma semmai il fatto che in un mercato del lavoro complesso, e in condizioni personali difficili come nel caso di chi percepisce il reddito di cittadinanza (con oltre il 50% degli occupabili che non ha mai lavorato o non lavora da anni), non si può rimanere soli.
Per questo il ruolo dei servizi per il lavoro dovrebbe essere centrale è completamente rinnovato per offrire sempre di più un accompagnamento personalizzato, e non avere un ruolo quasi punitivo, impersonale e burocratico. Un accompagnamento che può arrivare anche a proporre un lavoro non allineato con le inclinazioni personali, ma che si può scegliere, forti di una cultura del lavoro come dovere che comunque non si può imporre per legge e che si vuole diffondere va riconquistata dalle fondamenta e non a mezzo di quelle che difficilmente appariranno altro se non imposizioni.
Francesco Seghezzi
Presidente Fondazione ADAPT
Scuola di alta formazione in Transizioni occupazionali e relazioni di lavoro
@francescoseghezz
*pubblicato anche su la Stampa, 29 dicembre 2022