L’ANAC – Autorità Nazionale Anticorruzione, ha approvato, con la Determinazione n. 6 del 28 aprile 2015 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.110 del 14 maggio 2015, le Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (“c.d. whistleblower) con cui intende offrire alle amministrazioni pubbliche una disciplina concreta delle disposizioni di principio introdotte dalla legge n. 190/2012. Nel nostro Paese il tema di un’adeguata tutela del dipendente (pubblico e privato) che segnala condotte illecite dall’interno dell’ambiente di lavoro, ha assunto una significativa centralità per la Pubblica Amministrazione all’indomani della legge Anticorruzione che ha recepito le sollecitazioni comunitarie e internazionali, con la disposizione dell’art. 1, comma 51, che introduce l’art. 54-bis nel decreto legislativo n. 165 del 2001, rubricato “Tutela del dipendente pubblico che segnali illeciti”.
Ora, le linee guida approvate delineano in modo preciso e concreto l’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione della tutela e un modello procedurale per il trattamento delle segnalazioni, ammettendo in ogni caso che ciascuna amministrazione possa adottare soluzioni maggiormente coerenti con le proprie esigenze organizzative. Obiettivo è incoraggiare i dipendenti pubblici a segnalare gli illeciti di cui vengano a conoscenza nell’ambito del rapporto di lavoro favorendo l’emersione dei fenomeni di corruzione e di mala gestio, ma nello stesso tempo garantendo che i segnalanti siano tutelati dal punto di vista della riservatezza e della protezione contro eventuali forme di ritorsione che si possano verificare in ambito lavorativo.
Appare chiaro l’intento: la diffusione dell’integrità e la prevenzione della corruzione, secondo l’accezione più estesa, rispetto alle fattispecie di reato – indicata dalla circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 1/2013 –, di qualsiasi comportamento o azione di chi svolge funzioni pubbliche tendente ad abusare del potere affidato a vantaggio di interessi privati, è perseguibile solo attraverso un cambiamento di paradigma culturale che deve coinvolgere tutti i lavoratori, passando da una visione repressiva e punitiva ad una preventiva e collaborativa.
La tutela deve essere fornita da parte di tutti i soggetti che ricevono le segnalazioni: in primo luogo da parte dell’amministrazione di appartenenza del segnalante, in secondo luogo da parte delle altre autorità che, attraverso la segnalazione, possono attivare i propri poteri di accertamento e sanzione, ovvero l’Autorità nazionale anticorruzione, l’Autorità giudiziaria e la Corte dei conti. Con riferimento invece all’ambito soggettivo, le linee guida identificano tra le strutture organizzative oggetto di applicazione della norma, tutte le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001 e ss.mm, facendo rientrare, quindi, anche gli enti di diritto pubblico non territoriali nazionali, regionali o locali, comunque denominati, istituiti, vigilati o finanziati da pubbliche amministrazioni, cioè tutti gli enti pubblici non economici.
Dal punto di vista dei soggetti tutelati, le linee guida si riferiscono specificamente all’art. 54-bis del d.lgs. n. 165/2001, ovvero ai dipendenti pubblici che, in ragione del proprio rapporto di lavoro, siano venuti a conoscenza di condotte illecite. Circa l’identificazione dei soggetti riconducibili alla categoria dei dipendenti pubblici indicati nella norma, l’Autorità ritiene che vi rientrino sia i dipendenti con rapporto di lavoro di diritto privato (art. 2, comma 2) sia i dipendenti con rapporto di lavoro di diritto pubblico, compatibilmente con la peculiarità dei rispettivi ordinamenti. Ma non solo.
Particolarmente interessante, infatti, è la previsione contenuta nell’ultima paragrafo in cui si fa riferimento alla tutela di tutti quei soggetti che non possono essere ricompresi fra i dipendenti pubblici ma che – sempre più diffusamente (si pensi ad esempio all’interno del Servizio Sanitario Nazionale) – svolgono la propria attività professionale all’interno dei pubblici uffici: consulenti e collaboratori con qualsiasi tipologia di contratto o incarico e a qualsiasi titolo nonché i lavoratori di imprese fornitrici dell’amministrazione. Proprio in quanto lavoratori autonomi o dipendenti di imprese che gestiscono appalti di forniture o servizi presso le amministrazioni stesse, pertanto estranei all’organizzazione della pubblica amministrazione, questi lavoratori non possono essere assoggettati a tutele e regolamentazioni del rapporto di lavoro pubblico (infatti viene precisato in conclusione che, comunque, l’estensione a dette categorie di soggetti delle tutele previste dall’art. 54-bis non implica l’estensione agli stessi anche delle forme di tutela contro le discriminazioni che il Dipartimento della funzione pubblica assicura ai pubblici dipendenti), ma si riconosce anche a questi lavoratori un ruolo fondamentale, degno di tutela, per la diffusione dell’integrità all’interno delle pubbliche amministrazioni.
Con riguardo a queste tipologie di soggetti, già il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, aveva previsto che le amministrazioni dovessero estendere, per quanto compatibili, gli obblighi di condotta previsti per i pubblici dipendenti a quei soggetti che, pur non dipendendo dall’amministrazione pubblica, apportano il loro contributo lavorativo. A tale fine, l’art. 2, comma 3, del predetto d.P.R. n. 62/2013, dispone che le amministrazioni inseriscano negli atti di incarico o nei contratti di acquisizione delle collaborazioni, delle consulenze o dei servizi, apposite clausole di risoluzione o decadenza del rapporto nel caso di violazione degli obblighi derivanti dal Codice. Parallelamente, quindi, l’Autorità rileva l’opportunità che le singole amministrazioni nei propri Piani di prevenzione della corruzione introducano per le categorie di soggetti sopra indicati misure di tutela della riservatezza analoghe a quelle previste per i dipendenti pubblici, in modo da garantire tutti i lavoratori, coinvolti nel perseguimento dell’interesse pubblico, qualora intendano esporsi in prima persona per segnalare fatti illeciti in occasione e/o a causa dello svolgimento delle proprie mansioni lavorative.
Con le linee guida recentemente pubblicate e la definizione di una procedura chiara da seguire in caso di denuncia, l’Italia cerca di promuovere un percorso certo di tutela per tutti coloro che decidono di “soffiare il fischietto” colmando in parte alcuni punti di debolezza indicati dall’Ocse all’indomani della pubblicazione della legge anti corruzione (si veda a tal riguardo, U. Buratti, Whistleblowing: una sfida anche per la Pubblica amministrazione, in Bollettino ADAPT, n. 19/2013).
Per un’applicazione pratica della disciplina ora illustrata, si veda a titolo di esempio, come la Circolare del Ministero del lavoro, Prot. n. 7373 del 19 novembre 2014, emessa dal Segretariato Generale, abbia già reso concretamente operante il comma 51 dell’art. 1 della legge 190/2012, al fine di consentire immediata tutela del dipendente che segnala all’Autorità giudiziaria o alla Corte dei Conti o al proprio superiore gerarchico, condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto o durante lo svolgimento delle proprie mansioni.
La Circolare in esame ribadisce che la segnalazione corretta di condotte illecite consentirà all’autore della stessa di poter avere anche una forma di garanzia di anonimato nei confronti del soggetto denunciato. Si tratta tuttavia di un anonimato molto limitato perché, qualora la contestazione sia fondata, l’identità può essere rivelata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato. La stessa denuncia è sottratta all’accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge n. 241/1990 e s.m.i. La medesima previsione di tutela del dipendente è stata inoltre declinata nel Piano triennale di Prevenzione dell’Amministrazione 2013-2016. Parimenti, il Dipartimento della funzione pubblica ha pubblicato il modello per la segnalazione di illeciti, al fine di consentire concretamente la denuncia dell’illecito da parte del dipendente.
Occorre ricordare che la tutela è estesa non solo per le segnalazioni di reato, ma anche per ogni condotta illecita appresa durante lo svolgimento delle mansioni lavorative. Si esclude però la tutelabilità di segnalazioni fondate su meri sospetti del lavoratore, ciò significa che il funzionario deve rappresentarsi ad un livello altamente probabile l’evenienza che possa essersi verificato l’illecito per opera di un certo soggetto. In ogni caso, va ricordato che il dipendente pubblico riveste la qualifica di pubblico ufficiale e come tale è già obbligato a denunciare i fatti costituenti reato ex art. 361-362 c.p. La tutela del dipendente denunciate è sempre garantita, salvo i casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, fatti per i quali potrà essere eventualmente chiamato a rispondere nelle apposite sedi.
In pratica, alla luce delle considerazioni espresse, il dipendente che intenda segnalare illeciti di cui sia certo, dovrà utilizzare un apposito modello disponibile on line che dovrà successivamente inviare al responsabile della prevenzione e corruzione. A seguito della denuncia, l’ufficio procedimenti disciplinari, assumerà, per quanto di competenza, eventuali iniziative, ricostruendo le dinamiche del fatto.
Sul punto si aggiunga inoltre che il Piano Nazione Anticorruzione (P.N.A.) prevede che l’amministrazione abbia comunque l’obbligo di predisporre dei sistemi di tutela della riservatezza circa l’identità del segnalante che deve essere protetta in ogni contesto successivo alla denuncia. Inoltre, se il funzionario a seguito della denuncia ritiene di essere stato discriminato nel lavoro a causa delle stessa, può segnalare all’ispettorato della funzione pubblica i fatti di discriminazione.
Anna Rita Caruso @Annarita_Caruso
Gabriella Viale @VialeGabry
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Bergamo