Il ruolo dei sistemi formativi nelle economie avanzate: il caso statunitense

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Bollettino ADAPT 18 dicembre 2023, n. 44
 
L’ultimo report annuale della Georgetown University sulle trasformazioni del mercato del lavoro fotografa chiaramente come è cambiata, e come cambierà da qui al 2031, la composizione della forza lavoro negli Stati Uniti guardando sia al numero di lavori che verranno creati o scompariranno nell’arco del prossimo decennio, sia al livello di istruzione, alle skills ed alle mansioni che verranno richieste ai lavoratori di domani. Nonostante infatti, secondo i dati della Banca Mondiale,  il peso dell’economia americana rispetto al PIL mondiale sia sostanzialmente invariato rispetto al 1990, l’economia americana ha attraversato, come molte economie avanzate, soprattutto occidentali, alcune trasformazioni strutturali. Il più importante di questi cambiamenti riguarda senza dubbio la transizione, ancora in corso ma ormai in fase avanzata, da economia a trazione industriale ad un modello basato sui servizi.
 
Dal punto di vista del numero di posti di lavoro, secondo le previsioni ed i modelli adottati nel report questi passeranno da 155 milioni del 2021 a 171. Si tratta di una crescita importante che sarà possibile grazie ad una demografia in controtendenza rispetto agli standard europei e a una disoccupazione ai minimi storici, che già prima della crisi pandemica si attestava intorno al 3,5%. Rispetto al livello di istruzione richiesto, la forza lavoro alla fine del decennio sarà composta per il 55% da lavoratori con almeno un associate degree (un titolo accademico rilasciato da college e università di livello post-secondario e che richiede normalmente due anni di studio), una laurea o un master. Questi ultimi, in possesso quindi di un titolo terziario, formavano nel 1983 il 19% del totale della forza lavoro, il 36% nel 2021 e saranno il 42% all’inizio del prossimo decennio. Il livellamento verso l’alto emerge ancora più chiaramente se si guarda ai soli posti di lavoro che si creeranno su base annua, escludendo quindi quelli già esistenti. In questo caso, su 18,5 milioni circa, il 72% necessiterà per essere svolto una forma di educazione terziaria. Si tratta di un dato coerente con il fatto che le due industrie che contribuiranno maggiormente alla formazione di nuovi posti di lavoro tra il 2021 e il 2031, ovvero i servizi sanitari e i servizi professionali e commerciali cresceranno così rapidamente che la maggior parte delle offerte di lavoro annuali riguarderanno posizioni completamente nuove. Questo mentre in tutti gli altri settori la maggior parte delle offerte di lavoro sarà per sostituire i lavoratori fuoriusciti in modo permanente dal mercato.
 
La causa principale di questa selezione è da ricercarsi soprattutto nell’automazione che ha investito intere filiere produttive. Si calcola che da qui al 2031 il 28% dei lavori sono a rischio di automazione, mentre rimane ancora difficile da quantificare l’impatto che ha avuto e, soprattutto avrà, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Quest’ultima impatterà, secondo i ricercatori di openAI, in media su circa il 15% di tutte le attività. La principale novità sta nel fatto che anche lavoratori con elevati livelli di istruzione, inclusi ingegneri e sviluppatori di software, saranno colpiti da questa rivoluzione.
 
Sebbene l’AI avrà quindi un impatto anche su alcune delle professioni maggiormente specializzate, appare comunque chiaro che a soffrire in misura maggiore saranno i lavori che prevedono task standardizzate dal punto di vista manuale, insieme  a quelli dal basso valore aggiunto dal punto di vista intellettuale e cognitivo. L’economia americana è sempre più divisa in due macroaree: quella più grande, ma a crescita lenta, incentrata su operai e professioni che richiedono un livello medio di specializzazione, e quella più dinamica e in rapida crescita focalizzata su ruoli manageriali e professionali. Nonostante esista una sovrapposizione nei livelli di istruzione richiesti in queste economie, la differenza sta nel fatto che praticamente tutti i lavoratori con un diploma di scuola superiore o inferiore trovano, e troveranno sempre più posto solo nella prima dei lavori manuali e dei mestieri specializzati, mentre quasi tutti i lavoratori che entrano nell’area manageriale e professionale hanno già ora, e avranno sempre più un’istruzione di livello almeno post-secondario, con la maggioranza che avrà almeno una laurea di primo livello. Entro il 2031, come anticipato, i posti di lavoro nell’economia manageriale e professionale saranno occupati principalmente da lavoratori altamente istruiti.
 
Questa divisione rigidamente compartimentata, con un livello di interscambio scarso o nullo, ha portato già oggi ad un forte squilibrio retributivo: un lavoratore con una laurea di primo livello guadagna in media il 75% in più rispetto a una persona con un’istruzione non superiore a un diploma di scuola superiore, mentre non frequentare affatto il college costa all’individuo medio più di mezzo milione di dollari in guadagni potenziali durante tutta la vita. Una differenza notevole, che dovrebbe richiamare e stimolare il dibattito in due direzioni, in parte connesse: un primo spunto è legato all’accessibilità dell’istruzione terziaria, mentre il secondo guarda al costante calo nelle iscrizioni a college e università. Oltre all’aspetto retributivo, rispetto ad alcuni decenni fa le professioni manuali ed a basso valore aggiunto sono spesso connesse a un turnover maggiore, a una maggiore discontinuità e ad un utilizzo maggiore di contratti part-time.
 
Avere un’istruzione almeno post secondaria sarà quindi sempre più importante per coloro che entrano per la prima volta nel mercato nel lavoro, ma non è un elemento sufficiente di per sé per mantenere competitiva le imprese e l’economia nel suo complesso. Dato il ruolo ancora rilevante che l’economia industriale e delle professioni mediamente specializzate ancora mantiene, e che verosimilmente continuerà a mantenere per diverso tempo, è necessario che questi lavoratori partecipino a programmi di upskilling e reskilling costanti e strutturali, anche sfruttando forme di educazione professionale in grado di integrarsi al lavoro svolto. Secondo alcune proiezioni, queste attività di aggiornamento dovrebbero infatti essere in grado di garantire un upgrade delle capacità in grado di mantenere il lavoratore in una posizione di competitività sul mercato, almeno finché si tratta di cambiamenti ed innovazioni che modificano un lavoro già esistente, mentre questa soluzione è difficilmente applicabile quando lo skillmismatch deve confrontarsi con mansioni nuove.
 
Il report presentato approfondisce un tema di cui si sente spesso parlare, quello delle trasformazioni che sta sperimentando il mercato del lavoro, cercando di prevedere quelli che saranno gli standard e le competenze da qui ai prossimi dieci anni. Quello che emerge chiaramente è che l’istruzione post secondaria e quella terziaria giocheranno un ruolo fondamentale in un contesto economico sempre più spostato verso i servizi e sempre meno imperniato sull’industria. Si tratta di una transizione complessa e non priva di rischi, solo in parte archiviata. Ci sono già state, e ci saranno,  intere fasce della popolazione che subiranno più di altre questi cambiamenti, spesso senza disporre dei mezzi necessari per affrontare questi cambiamenti. Questi saranno soprattutto i lavoratori adulti impegnati in lavori a basso valore aggiunto e ripetitivi, ma anche i giovani il cui accesso ad un’istruzione post secondaria o terziaria è limitato da diversi fattori. Se è vero però che le iscrizioni a college ed università sono in calo, peraltro da anni ormai, è anche vero che l’istruzione professionale ricopre un ruolo sempre più importante, negli Stati Uniti come nelle altre economie avanzate europee. La cosiddetta knowledge economy non esaurisce la necessità di tecnici altamente specializzati e di figure che sappiano confrontarsi con le innovazioni tecnologie anche dal punto di vista pratico.
 
È difficile prevedere quali lavori nello specifico scompariranno e quali invece richiederanno una componente di aggiornamento più o meno profonda, quali rimarranno uguali e sé stessi e quali invece nasceranno. Quello che però emerge con forza e chiarezza dal report è che la direzione sarà inevitabilmente quella di un livellamento verso l’alto delle competenze richieste ai lavoratori. Si tratta di un processo ormai in corso da anni e che accelererà ulteriormente nel prossimo decennio ma il dato relativo alla percentuale di lavoratori che potranno, ed in un certo senso dovranno mantenere la propria occupazione attraverso un upgrade delle proprie capacità apre ad una prospettiva in cui le attività long life learning assumono un ruolo cruciale e che non può essere trascurato.
 
Michele Corti

ADAPT Junior Fellow

@michele_corti

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