La proposta del Ministro della Difesa Roberta Pinotti di ripensare a una “qualche forma di leva civile” non costituisce, di per sé, qualcosa di nuovo. Ciclicamente, infatti, il tema viene alla ribalta, per ricadere rapidamente nel dimenticatoio delle buone intenzioni.
L’interesse per la questione ha origini e motivazioni diverse. Non sono pochi gli osservatori che, con la fine del servizio militare obbligatorio, hanno denunciato il venire meno di una sorta di rito di iniziazione e di passaggio verso l’età adulta, sentendo la necessità di riproporre qualcosa di analogo che coinvolga tutto lo spettro dei giovani, non solo l’universo maschile, come in precedenza.
Le dichiarazioni del Ministro della Difesa sembrano in qualche modo riprendere una simile linea di pensiero, aggiungendo anche il valore di una proposta di impegno civile che sappia essere un’occasione “unificante” di sviluppo della coscienza civica.
Che il tema non sia così semplice, come può apparire, lo dimostrano le reazioni seguite alle dichiarazioni del Ministro. Al di là della discussione sulla necessità o meno di un momento “collettivo” di aggregazione per i giovani italiani di oggi, è emersa subito l’interconnessione della questione con il nodo del lavoro. Non è mancato, infatti, chi ha messo in luce il rischio di un Servizio Civile che, in quanto obbligatorio, fornirebbe alle realtà del volontariato manodopera a costo zero (si veda A. Mingardi, Perché il servizio civile e il volontariato non possono essere un ordine).
La possibile deriva, in questo caso, sarebbe duplice. Da un lato, le realtà associative verrebbero progressivamente a perdere il senso stesso della loro esistenza che nasce e si alimenta grazie all’impegno civico e sociale dei loro membri. Dall’altro, la disponibilità di un costante e continuo numero di giovani a costo zero, rischia di svilire e annullare quelle professionalità che sono presenti e necessarie anche nel mondo del volontariato.
Una simile degenerazione non è solo una mera ipotesi di scuola, come sottolineato da un altro acuto e ironico osservatore della realtà italiana che ha messo in evidenza come possa essere proprio la Pubblica Amministrazione, chiusa negli angusti spazi del controllo dei conti, ad abusare del Servizio Civile (si veda M. Gramellini, Scontrino generazionale).
A ben vedere, il letimotiv sottostante ad una possibile deriva del Servizio Civile sta nel considerare e trasformare – volutamente o meno – questo strumento in un asset per una politica occupazionale.
Una simile prospettiva costituirebbe un vero e proprio boomerang prima di tutto per i giovani. Non sembra esserci, infatti, alcun bisogno di un ulteriore “anno di parcheggio” per i ragazzi che completano il proprio iter di studi, sia esso secondario o terziario, e non riescono ad entrare del mondo del lavoro.
Il Servizio Civile non può divenire una sorta di collocamento prêt-à-porter e a basso costo. La sua stessa ragion d’essere verrebbe meno. Esso non ha bisogno di ragazzi e ragazze “obbligati” ad essere coinvolti in un impegno sociale. E viceversa.
Da un tale rischio si può uscire solo rinunciando all’idea di obbligatorietà del Servizio Civile. Esso deve rimanere come proposta sfidante per i giovani, non come un ennesimo compito da assolvere ex lege.
In una simile prospettiva, l’impegno delle Istituzioni dovrebbe prima di tutto concentrarsi in due direzioni. Da un lato, saper mostrare ai ragazzi e alle ragazze l’importanza e la bellezza di un impegno volontario, civico e sociale. Dall’altro, favorire in una ottica sussidiaria, tutte le occasioni di realizzazione di tale impegno supportando le realtà già presenti e attive.
La valorizzazione del Servizio Civile su base volontaria si viene a intrecciare nuovamente con il tema del lavoro. Questa volta, però, senza le possibili degenerazioni emerse in precedenza.
Non vi è dubbio che un giovane o una giovane che volontariamente si pongono a servizio di una causa civile e sociale hanno occasione di maturare una serie di competenze che oggi molti studi ed analisi dimostrano essere vincenti anche per il successivo ingresso nel mondo del lavoro.
Lo stesso mettersi volontariamente in moto per un’attività di Servizio Civile dimostra la disposizione ad una certa proattività così preziosa e richiesta oggi dalle imprese soprattutto per le figure più junior.
L’impegno volontario presso una associazione – indipendentemente dalle sue finalità o dal suo background valoriale – implica, poi, la capacità di entrare in relazione con altri, far gioco di squadra, condividere progetti, organizzare il proprio tempo, sapere progettare eventi, manifestazioni e attività. Tali competenze altro non sono che quelle “soft skills” a cui il mondo delle risorse umane da lungo tempo sta riconoscendo una importanza sempre maggiore.
Dentro la dimensione della volontarietà il Servizio Civile si rivela (anche) come una occasione straordinaria di employability per i ragazzi e le ragazze che alimenta una società attiva e viva. Al contrario, la dimensione dell’obbligo rischia di deprimere piuttosto che spronare a sviluppare le energie migliori delle giovani generazioni.
Umberto Buratti
PhD in Formazione della Persona e Diritto del MDL