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Bollettino ADAPT 2 ottobre 2023, n. 33
E a un certo punto un sindacato organizza uno sciopero che si espande a macchia d’olio e costringe uno degli uomini più potenti del mondo a scendere in campo a fianco dei lavoratori. Senza se e senza ma.
Anche a volersela inventare, sarebbe difficile trovare un’immagine che di questa sia più suggestiva e più in contrasto con la narrativa del declino mondiale dei sindacati di cui si parla da quasi trent’anni nelle istituzioni, in accademia e sui giornali. Soprattutto se si pensa che la storia non si svolge in una repubblica socialista sudamericana, ma nel più avanzato dei Paesi capitalisti. E’ quanto sembra stia infatti avvenendo tra il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il sindacato dei lavoratori dell’automotive USA, la United Auto Workers (UAW), che da un paio di settimane sta mettendo in campo una strategia di pressione sulle Big Three dell’automotive del Michigan (General Motors, Stellantis e Ford) per molti versi inedita.
Il cambio di strategia dell’amministrazione Biden
Secondo alcune analisi, il presidente Biden sarebbe stato costretto a modificare la sua strategia della negoziazione dietro le quinte, che aveva in passato disinnescato più di un conflitto, proprio a causa della risonanza che lo sciopero degli autoworkers andava guadagnandosi. Solo il 15 settembre, avuta notizia dello sciopero, il Presidente aveva pubblicato un videomessaggio in cui scandiva: “Nessuno vuole uno sciopero!”, auspicava che la UAW raggiungesse presto un accordo win-win, e annunciava l’invio di una delegazione per favorirlo.
Ma due giorni dopo in un’intervista alla MSNBC il presidente della UAW Shawn Fain sbarrava la strada al coinvolgimento degli inviati di Biden chiarendo: “This battle is not about the president. This battle is about the workers”.
Due settimane dopo ecco allora Biden annunciare che si sarebbe unito allo sciopero, raggiungere poi uno dei tanti picchetti organizzati dalla UAW in Michigan e adeguarsi in tutto e per tutto all’estetica e al linguaggio della lotta sindacale. Attorniato da uno sparuto gruppo di manifestanti, sale su un podio alto pochi centimetri (due bancali sovrapposti), brandisce un megafono e ripete lo slogan scelto dal sindacato per la sua campagna: “record profits means record contracts!”.
Nulla della umile e tradizionale messa in scena di un picchetto sindacale viene alterato per sintonizzarsi sulla portata storica dell’evento: la prima volta di un Presidente “boots on the ground” a fianco dei lavoratori in sciopero (“History made”, twitta la confederazione dei sindacati stelle e strisce AFL-CIO). Certo, sempre a favore di un accordo “win-win”, dice Biden. Ma quando un reporter gli chiede se i lavoratori dell’auto si meritino un aumento degli stipendi del 40% (tale è la sintesi mediatica delle richieste dei sindacato) lui risponde con un secco “Sì”, ripetendo – segnale significativo – quello pronunciato dai lavoratori presenti.
Il rapporto UAW-Biden: l’autonomia rivendicata
Il sindacato stesso – che al contrario di altre union non ha ancora espresso il suo endorsement per Biden nella corsa alla riconferma alla Casa Bianca – ci ha tenuto da lì in avanti a togliere ogni dubbio su chi dettasse la linea, in maniera sempre più esplicita. Fino a fare sue le parole di un’analisi di Jacobin secondo cui: “È stata la militanza operaia, dopo tutto, e non l’acquiescenza alle élite politiche, a portare un presidente democratico ai picchetti”.
Complice del cambio di strategia di Biden, come è ovvio, è anche la competizione elettorale che negli Stati Uniti monta con grande anticipo rispetto alle consultazioni (mancano diversi mesi anche alle primarie). Se la mobilitazione della UAW portasse conseguenze negative per l’economia USA questo si ritorcerebbe doppiamente contro un Presidente che nel 2020 ha ricevuto l’endorsment dell’ AFL-CIO e 17 sindacati di categoria e che pochi mesi fa si è autoproclamato “the most pro-union president in American history”. Tanto che si dibatte se alla sua amministrazione possa essere attribuito il merito di avere innescato un revamping del movimento sindacale. Anche se di certo c’è solo la coincidenza cronologica tra la sua presidenza e il fenomeno – largamente tematizzato sui media – di una nuova e vittoriosa spinta alla sindacalizzazione nei settori dell’istruzione, dell’assistenza sanitaria, della ristorazione e del commercio al dettaglio. Basti pensare che nel 2022 secondo il National Labor Relations Board si erano svolte 1.249 elezioni sindacali, con un aumento di quasi il 50% rispetto all’anno precedente e con il risultato a favore della sindacalizzazione nel 72% delle elezioni. Fenomeno questo simboleggiato dalla sindacalizzazione in Starbucks e Amazon.
La comunicazione UAW: rifiorire dalle radici
Secondo più di una testimonianza, nel successo dello sciopero allargatosi a macchia d’olio e supportato dal voto largamente favorevole dei lavoratori conterebbe anche lo stile di leadership del presidente Shawn Fain, che lo stesso Biden faticherebbe a interpretare e gestire.
Lo stile di Fain, primo presidente UAW ad essere stato eletto direttamente dagli iscritti, è solo uno degli elementi di evidente cambiamento nella strategia del sindacato. Che una sonora lezione l’aveva già imparata nel 2015, quando la promessa disattesa di colmare i divari retributivi tra nuovi assunti e veterans lo aveva portato alla bocciatura da parte dei lavoratori dell’ipotesi di accordo raggiunta con l’allora FCA. Ipotesi raggiunta non dopo uno sciopero, ma dopo iconici baci e abbracci tra l’allora presidente Dennis Williams e Sergio Marchionne (si veda l’analisi del caso in F. Nespoli Framing the Crisis in Industrial Relations. Contrasting the “Fiat Case” and FCA-UAW Agreement). Per riparare la UAW aveva ingaggiato una agenzia di comunicazione politica intensificando la sua comunicazione social, oggetto di critiche da parte degli iscritti. E i segni di una nuova consapevolezza erano stati evidenti nel 2019, quando, al momento di tornare a negoziare il rinnovo, la UAW aveva preso di mira GM con uno sciopero e aveva comunicato costantemente e rapidamente sui social (si veda la ricostruzione di quella campagna in F. Nespoli, La comunicazione UAW nella giungla del GM strike, in Bollettino ADAPT n. 38/2019).
Rispetto al 2019, la comunicazione UAW mostra alcuni elementi di continuità. Anche oggi, la questione del gap salariale (“end of tier 2”), che dopo 8 anni contrariamente alle promesse è ancora da chiudere, non ha più un suo motto, ma rimane mimetizzata tra le ampie richieste sindacali che vanno dal ripristino degli adeguamenti annuali al costo della vita (il c.d. COLA), la settimana lavorativa di quattro giorni, il diritto di sciopero, il ritorno dei tradizionali piani pensionistici, l’assistenza sanitaria per tutti i pensionati dell’UAW e limitazioni all’impiego di lavoratori temporanei.
Oggi però la comunicazione UAW mostra anche altri segni di evoluzione sul piano strategico. Risulta caratterizzata da un’intensa diffusione di immagini dello sciopero in tutte le sue sedi volta a restituire l’idea della sua ampiezza. Necessario per una mobilitazione che disloca circa 7000 lavoratori su 20 Stati. Mentre sul piano programmatico il videomessaggio fondamentale di Fain (3’ e 40’’) è ben studiato a tavolino. Il lancio su Twitter è tutto un programma: “Our hometowns are under attack”. Come in una chiamata alle armi, in un montaggio carico di enfasi drammatica, Fain comincia additando le promesse disattese di Donald Trump sulla tutela dell’occupazione e degli stabilimenti. Poi ripercorre la forza del sindacato delle origini e le sue conquiste. E infine dichiara di volerle recuperare, ma innovando le strategie conflittuali. “We are once again returning to our roots [..] of holding the line [..] against unchecked corporate power [..]. That’s why we are lunching a new kind of strike”.
Quella della combinazione tra origini, minacce e cambiamento è a ben vedere una strategia chiaramente individuata nelle teorie del cambiamento organizzativo (si veda quanto corrisponda al modello sottolineato da Rawlins, J. D. (2014). Mythologizing Change: Examining Rhetorical Myth as a Strategic Change Management Discourse. Business and Professional Communication Quarterly, 77(4), 453–472. https://doi.org/10.1177/2329490614543136. Ma simili considerazioni sono espresse anche nel classico The organizational culture survive dello psicologo Edgar Schmit). E consiste in questo caso in una narrativa funzionale a prefigurare un “ritorno più forti di prima”.
La nuova strategia di relazioni industriali UAW: ritorno al whipsawing
Fain sottolinea dunque esplicitamente che il sindacato sta perseguendo un rinnovamento della sua strategia. Ed in effetti questi due aspetti della comunicazione UAW (fotogrammi dai territori e rinnovamento nella tradizione) sono conseguenti a un effettivo e marcato cambio di strategia negoziale. È infatti la prima volta che il sindacato sciopera contro tutte e tre le case costruttrici nello stesso momento. Mentre tradizionalmente nel settore il sindacato USA impiega il cosiddetto pattern bargaining (letteralmente “contrattazione per modello”). Come spiega la stessa union, si tratta della dinamica attraverso la quale, come nel 2015 e nel 2019, una c.d. multifirm union inizia a contrattare con una delle aziende per raggiungere un primo contratto aziendale che tende poi a fungere da riferimento per le negoziazioni successive nel settore.
Le ragioni che portano le aziende ad accettare il pattern bargaining sono complesse. Sta di fatto che negli Stati Uniti in molti settori il pattern bargaining è declinato a partire dagli anni ‘80, tanto che all’inizio degli anni ‘90 gli esperti e gli accademici discutevano se il pattern bargaining fosse morto (si veda il dibattito tra Peter Cappelli e Kathryne Ready sulla ILR review nel 1990). Tuttavia il pattern bargaining è rimasto una prassi nel settore dell’automotive e la nuova strategia UAW non sembra essere il segnale di un suo declino anche in questo settore: la UAW potrebbe comunque utilizzare un accordo con una delle case costruttrici come leva nelle trattative con le restanti sorelle.
Nel nuovo assetto, stiamo però certamente osservando un nuovo tipo di percorso in cui l’azienda con cui aprire le trattative non viene selezionata dal sindacato a priori in base alla sua debolezza (FCA nel 2015) o alla sua forza (GM nel 2019). Mentre le trattative sono in corso con tutte e tre le Big Three, una azienda per certi versi si “autoseleziona” ed è il sindacato a riconoscerne le aperture verso le sue richieste negoziali. Basti pensare che nelle due scorse settimana la UAW ha espanso lo sciopero verso GM e Stellantis risparmiando Ford in ragione degli avanzamenti nelle negoziazioni con la casa di Deaborn. Ma pochi giorni dopo, annunciando una nuova espansione dei picchetti, ha escluso gli stabilimenti Stellantis dall’iniziativa includendo invece quelli di Ford.
Si tratta di una strategia che ha creato notevoli malumori a GM, che attraverso la CEO Mary Barra (la più incline ad esporsi pubblicamente tra i CEO delle Big Three) ha parlato di “manipolazione”. Il prof. Chris Martin dell’Università del Northern Iowa, cha ha lungo studiato la rappresentazione mediatica del sindacato, ha scritto su Twitter che se per anni le aziende hanno operato il cosiddetto whipsawing, ossia hanno fatto competere tra loro gli stabilimenti per individuare i lavoratori più disponibili a fare concessioni, ora è il sindacato a fare competere tra loro le tre aziende.
Più che di un whipsawing al rovescio, si tratta a ben vedere di un ritorno al significato originario della parola, che in passato si riferiva al comportamento dei sindacati piuttosto che a quello dei dirigenti: “una tattica di contrattazione in cui si cerca di diffondere le concessioni salariali e di altro tipo da un datore di lavoro all’altro” (si veda a riguardo proprio del settore automotive, ma in Europa, l’illuminante articolo di Greer, I., & Hauptmeier, M. Management Whipsawing: The Staging of Labor Competition Under Globalization, ILR Review, 69(1))
Attraverso il caos (così lo ha definito Fain in un messaggio fuoriuscito dai circuiti privati) prodotto sulla scacchiera “diffusa” di questo “nuovo tipo di sciopero”, il sindacato sta dunque reinterpretando concretamente, e non solo per slogan, le sue origini: dal “management whipsawing” al “union whipsawing”.
Tra media, politica e transizione green: gli esiti incerti
E’ difficile dire se questa strategia, così capace di attrarre l’attenzione dei media e della politica, sia il segno di un consolidamento del revamping sindacale cui ho già fatto cenno, e se dunque contribuirà a risollevare le sorti del sindacato in occidente.
Nonostante la sua spavalderia, anche la UAW vive delle forti pressioni per il raggiungimento di un accordo. Basti pensare che già l’11 settembre (prima dell’avvio dello sciopero) aveva abbassato la sua richiesta di aumento salariale al 36% dal 40%. Inoltre ogni giorno di sciopero costa alla UAW, che a luglio 2022 ha innalzato l’indennità di sciopero a 500 dollari a settimana includendo anche i beneficiari di sussidi di disoccupazione. Forse anche per questo Fain ha dichiarato che la UAW non permetterà “Alle tre grandi di trascinare le trattative per mesi”.
Anche perché significa continuare a caricare la molla delle aspettative dei lavoratori. E, come mi aveva spiegato l’allora spokesperson della UAW Brian Rotenberg nel 2015, è spesso paradossalmente più facile contrattare in tempi di crisi che di prosperità, perché in questo secondo caso le aspettative dei lavoratori sono più alte ed è più difficile soddisfarle. Come già detto la UAW conosce bene da allora i rischi di uno scollamento tra realtà e slogan e i fatti e i risultati negoziali possono smentire qualsiasi campagna comunicativa.
In questa pressione sulla performance negoziale si salda anche la comunicazione dei manager (soprattutto GM) e dei media conservatori (si veda la triangolazione di botta e risposta tra Mary Barra, il giornalista non certo pro-union Michael Weyland e la UAW). Il già citato prof. Chris Martin in un libro pubblicato nel 2019 dal titolo No Longer Newsworthy analizzava il lungo declino dell’interesse mediatico per le questioni del lavoro che aveva preceduto l’attuale stagione politica pro-labor. E offriva ai media mainstream raccomandazioni su come abbracciare nuovamente la classe operaia come elemento critico per il loro pubblico e la loro funzione democratica. Perché non è detto che “più risonanza mediatica” significhi “il favore dell’opinione pubblica” (per quanto più di un sondaggio abbia confermato che questa sia oggi in maggioranza favorevole).
Non è nemmeno scontato che l’esito dello sciopero consolidi il rinsaldarsi della frattura tra sinistra e lavoratori. Se è vero che la maggioranza di questi sembra aver supportato e supportare l’elezione di Biden, la competizione populista rimane alta. Bernie Sanders è stato il primo leader a dichiarare, proprio da Detroit, che sarebbe sceso in campo a fianco della UAW se avesse indetto uno sciopero. E il giorno dopo in cui Biden compariva al picchetto a Van Buren, Donald Trump teneva un comizio a Clinton (cioè sempre in Michigan) per ribadire quanto supporto abbia tra i lavoratori dell’auto, convinti dalla sua strategia di transizione verso i motori elettrici, nettamente diversa da quella dei Democrats.
Se poi guardiamo al piano internazionale, la capacità effettiva di traino del movimento sindacale internazionale da parte della UAW pare molto limitata. E’ vero che il sindacato Europeo (ETUC) ha invitato i leader politici dei Paesi Europei a fare come Biden. Ed è vero che la UAW ha mandato messaggi alle organizzazioni sorelle in Europa invitandole ad unirsi alla lotta (come fatto verso la Fiom), “perché queste sono aziende multinazionali”. Ma si tratta dello stesso sindacato che, quando le istituzioni e i sindacati europei avevano fatto pressioni sugli Stati Uniti perché modificassero il mastodontico piano di incentivi alla transizione ecologica contenuto nell’Inflation Reduction Act (incentivi che rischiano di generare una fuga di capitali dall’UE verso gli US), insieme ad altre grandi union aveva inviato una lettera alla Presidenza Biden invitandola a non indietreggiare di un millimetro e bollando come retrograde le osservazioni Europee.
La solidarietà per la giusta transizione ecologica non esiste nemmeno nella spazio delle relazioni USA-UE, e se questa è la pietra di volta su cui si regge la capacità sindacale di accompagnare e tutelare i lavoratori attraverso un cambiamento epocale, lo sciopero della UAW pare avere poco da dire al mondo.
Francesco Nespoli
Ricercatore LUMSA