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Bollettino ADAPT 21 giugno 2021, n. 24
Il “Secondo rapporto di monitoraggio nazionale in materia di tirocini extracurriculari” realizzato da ANPAL e INAPP, relativo agli anni 2014-2019 e con un apposito focus sulla pandemia, rappresenta un’occasione per ritornare a parlare delle difficoltà d’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e per ricordare che, al di là delle infinite discussioni da un anno a questa parte sul blocco dei licenziamenti, il tema dei tirocini e della loro qualità è finito – ancora una volta – in secondo piano. E se qualcuno non fosse convinto dell’importanza dell’argomento, già a partire dai dati restano pochi dubbi: dal 2014 al 2019, infatti, sono stati attivati 1 milione e 970 mila tirocini che hanno coinvolto 1 milione e 590 mila persone e circa 530 mila imprese. Non solo: i numeri messi in evidenza dal Rapporto, che offre una panoramica sul mondo dei tirocini extracurriculari elaborando i dati sulle comunicazioni obbligatorie del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, segnalano una crescita nelle attivazioni, da 223.430 nel 2014 a 355802 nel 2019, e nelle persone coinvolte, da 208154 nel 2014 a 334836 nel 2019, escludendo il calo del 2020 dovuto alla pandemia che presenta una variazione complessiva delle attivazioni pari, alla conclusione del 2020, a -33,5% sull’anno precedente.
Guardando ai dati più interessanti evidenziati da ANPAL e INAPP, non si può che partire dall’età delle persone coinvolte in tirocini extracurriculari: infatti, se quasi l’80% dei tirocinanti risulta avere meno di 30 anni (16% fino a 19 anni, 35,6% dai 20 ai 24 anni, 27,3% dai 25 ai 29 anni), sorprende comunque il fatto che oltre il 20% di essi abbia più di 30 anni, e cioè oltre 400 mila persone dal 2014 al 2019 (7% dai 30 ai 34 anni, 3,8% dai 35 ai 39 anni e oltre il 10% oltre 40 anni). In particolare, colpisce anche il fatto che il 45% dei tirocinanti under 30 abbia svolto un tirocinio in fase di primo ingresso nel mondo del lavoro (la percentuale sale al 71,5% per gli under 20), evidenziando come esso sia uno strumento molto utilizzato come “canale di transito tra mondo dell’istruzione e formazione e quello del lavoro”. Resta chiaro, tuttavia, che i numeri tutt’altro che irrilevanti di tirocinanti over 30 lascino più di un dubbio sul fatto che il tirocinio possa essere la risposta più adeguata, considerando comunque che esso sia sempre meno una misura formativa e di orientamento e sempre più uno strumento di politica attiva del lavoro. Guardando i dati sulla tipologia di tirocinanti, infatti, emerge come gli stage attivati abbiano riguardato in larga parte disoccupati e inoccupati (69%), mentre la percentuale di neolaureati e neodiplomati coinvolti arrivi soltanto al 17%, subendo oltretutto un calo del 5% nel corso dei 5 anni oggetto del Rapporto (a ciò si aggiungono 6,2% di soggetti svantaggiati, 3,5% di persone disabili e 3,1% di persone coinvolte tramite i servizi sociali).
Senza dubbio, non si può dimenticare l’influenza del programma Garanzia Giovani sulle percentuali evidenziate, mediante il quale sono stati attivati circa il 22% dei tirocini extracurriculari oggetto del Rapporto. E’ interessante, a partire da tali numeri, osservare anche i dati sui soggetti promotori dei tirocini in relazione alle categorie di tirocinanti: soltanto il 6% dei neodiplomati effettua un tirocinio tramite l’istituto scolastico (segnale del fatto che manchino servizi di placement nelle scuole secondarie di secondo grado) mentre la percentuale sale al 42% con neolaureati e università, dato che comunque dev’essere considerato guardando al peso relativo di tali categorie di tirocinanti rispetto a disoccupati e inoccupati. In ogni caso, il 36,2% dei tirocini è stato attivato presso agenzie regionali per il lavoro o servizi per l’impiego, il 19,5% presso centri di formazione professionale a cui si aggiunge una percentuale identica per soggetti autorizzati all’intermediazione e l’11,8% presso altri soggetti individuati da norme regionali. Università e istituti scolastici si trovano in coda alla classifica dei soggetti promotori con – rispettivamente – il 5% (media degli ultimi 5 anni con un calo dall’ 8,9% del 2014 al 3,8% del 2019) e l’1,2%.
Questi primi dati, se osservati nel complesso, mostrano come l’accorpamento del tirocinio formativo e di orientamento e quello di inserimento/reinserimento lavorativo nell’unica categoria del tirocinio extracurriculare – avvenuto con le Linee Guida del 2017 – “abbia di fatto eliminato il tirocinio formativo e di orientamento quale tipologia espressamente rivolta a chi avesse conseguito un titolo di studio da non più di 12 mesi”, seguendo una tendenza che da anni insiste sulla natura di politica attiva – più che formativa o di orientamento – di un simile strumento. I dati sull’età dei tirocinanti coinvolti, se osservati congiuntamente alle statistiche sui soggetti promotori, confermano il trend in corso: università e istituti scolastici hanno un peso sempre minore nella transizione tra istruzione, formazione e lavoro mediante l’utilizzo di tirocini extracurriculari, registrando invece una forte crescita di centri di formazione e orientamento (dal 14% del 2014 al 21% del 2019 con una media del 19,5%) e soggetti autorizzati all’intermediazione (dal 13% del 2014 al 26% del 2019 con una media del 19,5%) che hanno portato anche ad una perdita della centralità del ruolo dei servizi per l’impiego pubblici, i quali restano i soggetti promotori con la percentuale più alta in media (36,2%), ma hanno subito un calo dal 43% del 2014 al 28% del 2019.
Sono almeno due le domande che emergono da questi primi dati del Rapporto ANPAL e INAPP: se il tirocinio extracurriculare ha perso la sua funzione formativa e di orientamento, quale istituto può servire alle università e agli istituti scolastici per una transizione scuola-lavoro che colmi le carenze del sistema italiano? E ancora: posto che dal 2014 al 2019 vi siano stati oltre 400 mila tirocinanti over 30 (di cui 213735 tra i 30 e i 39 anni e 206582 over 40), il tirocinio extracurriculare è una risposta adeguata quale misura di politica attiva del lavoro? Per rispondere a quest’ultima domanda, è necessario soffermarsi su ulteriori dati riportati dal Rapporto. Anzitutto, per quanto riguarda i titoli di studio dei tirocinanti, se il 22,7% di essi risulta in possesso di un diploma di laurea e oltre il 45% risulta diplomato, quasi uno su tre (32,3%) possiede soltanto il diploma di licenza media o inferiore. Se si guarda ai settori principali di attività, “l’incidenza prevalente” – cioè la percentuale di imprese che hanno attivato tirocini extracurriculari sul totale delle imprese che hanno attivato almeno un rapporto di lavoro dipendente, parasubordinato o un tirocinio dal 2014 al 2019 – è nelle Attività professionali, scientifiche e tecniche (40,3%), seguita dai Servizi di informazione e comunicazione (37,9%), dalle Attività finanziarie e assicurative (34,8%) e dall’Industria in senso stretto (27,4%), mentre i valori minimi si riscontrano nel settore agricolo (3,6%), negli Altri servizi (5,4%) e nel Trasporto e magazzinaggio (10,6%), dati che mostrano come il tirocinio tenda ad essere utilizzato maggiormente nei settori più specializzati”. Tuttavia, i settori dove percentualmente si registra un più alto numero di tirocini – al di là dell’incidenza – risultano le imprese del Commercio (21,6%), Industria in senso stretto (16%) e Alloggio e Ristorazione (14,5%). Non va dimenticato, inoltre, il dato relativo alle imprese che hanno attivato almeno un tirocinio extracurriculare senza attivare alcun altro rapporto di lavoro dipendente o parasubordinato nello stesso anno: esso, pur essendo in calo rispetto al 35,5% del 2015, arriva comunque al 27% (percentuale sul totale delle imprese che hanno attivato almeno un tirocinio).
Al di là di tali percentuali, il Rapporto pone in evidenza alcuni aspetti che sottolineano il tema dell’utilizzo del tirocinio extracurriculare per professioni non qualificate; in particolare, già analizzando i dati sui settori in relazione ai titoli di studio, emerge che, se la laurea è il titolo di studio più rappresentato in Servizi di informazione e comunicazione, Attività finanziarie e assicurative e Attività professionali, scientifiche e tecniche, nel settore dell’Agricoltura, il 64,9% dei tirocinanti possiede al massimo la licenza media, e solo l’8,7% un diploma terziario, come nei settori del Noleggio, Agenzie di viaggio e Servizi di supporto alle imprese (37,9% con titolo fino alla licenzia media) o in Altri Servizi (41%). A supporto di tali dati, il Rapporto offre anche una panoramica interessante rispetto agli stage extracurriculari svolti nell’ambito dei nove Grandi gruppi di professioni (GGP) delineati da ISTAT. Dal 2014 al 2019 i principali gruppi risultano i seguenti: Professioni qualificate nelle attività commerciali e nei servizi (29,5%), Professioni esecutive nel lavoro d’ufficio (23,5%), Professioni tecniche (14,6%), Figure professionali assimilabili ad artigiani/operai specializzati e agricoli (11,4%) e Professioni non qualificate (9%).
Ancora più interessanti sono le statistiche del Rapporto che combinano Grandi gruppi di professioni ed età dei tirocinanti: se, da una parte, l’83,7% di tutti i tirocini riguardanti il gruppo delle Professioni ad elevata specializzazione ha coinvolto giovani tra i 20 e i 29 anni e le fasce adulte “risultano essere fortemente posizionate nei tirocini a bassa qualificazione”, dall’altra si sottolinea come anche nelle Professioni non qualificate vi siano tirocinanti giovani con le relative problematiche formative, di orientamento e di sviluppo della professionalità (ad esempio, colpisce il 21,2% di giovani tra i 20 e i 24 anni coinvolti in tirocini afferenti al gruppo Professioni non qualificate). Incrociando i dati del Rapporto sugli stage extracurriculari svolti per Grandi gruppi di professioni e il titolo di studio, emerge che chi possiede un diploma di licenza media o nessun titolo finisca in un caso su tre per svolgere tirocini in Professioni qualificate nel commercio e nei servizi e in uno su cinque per professioni non qualificate.
Per quanto riguarda i dati sull’inserimento lavorativo, ricavato dalle comunicazioni obbligatorie delle interruzioni e dalle possibili future assunzioni, emerge che il 59,6% dei tirocini si sia concluso al termine inizialmente previsto, il 24,3% si sia interrotto (prevalentemente su iniziativa del tirocinante) e il 16,1% sia stato prorogato. Si registra, considerando anche le conclusioni, che a trentuno giorni dalla conclusione del tirocinio le esperienze a cui segue l’attivazione di un contratto di lavoro siano il 37,9%, e che tale percentuale salga al 47,3% nei primi tre mesi e al 53,9% nei primi sei. Per quanto riguarda l’attivazione di un nuovo tirocinio, la percentuale sale dal 5,5% entro 31 giorni dalla conclusione dell’ultima esperienza fino all’11,5% dopo sei mesi; il 34,6% dei tirocinanti, invece, resta privo di qualsiasi esito anche dopo 180 giorni dalla conclusione. Incrociando le statistiche sui tassi di inserimento e il titolo di studio, invece, si passa dal 46,5% dopo 6 mesi di chi ha un diploma di licenza media o inferiore al 58,1% dei laureati. Per quanto riguarda, invece, le tipologie contrattuali di inserimento dopo tre mesi dalla conclusione del tirocinio, il Rapporto mostra che soltanto nel 14,9% dei casi si tratti di contratto di lavoro a tempo indeterminato, mentre sono ben più frequenti il tempo determinato (38,8%) e l’apprendistato (31%); la somministrazione, invece, ammonta al 9,7% dei casi. Interessante, infine, notare come i settori con tassi più elevati di inserimento e trasformazioni siano quelli dei servizi di informazione e comunicazione, l’industria in senso stretto e i trasporti e magazzinaggio, ossia gli stessi che più frequentemente offrivano un contesto entro cui si svolgevano esperienze di tirocinio più qualificate, con attività professionali assimilabili alle figure tecniche e alle figure specializzate di conduzione impianti e mezzi.
In conclusione, se è vero che “con la Raccomandazione del 2014 l’attenzione si è spostata sulla natura di politica attiva dello strumento del tirocinio, il quale deve necessariamente comprendere un periodo di pratica formativa on the job, di durata limitata, con un’indennità minima di partecipazione e la cui componente di apprendimento e formazione abbia come obiettivo l’acquisizione di un’esperienza professionale finalizzata a migliorare l’occupabilità e facilitare la transizione verso un’occupazione regolare”, è altrettanto vero che – come ADAPT fa notare da diversi anni – il nostro resta un Paese che ha “da un lato un sistema formativo che oggi sembra ben poco allineato con le esigenze dei moderni mercati del lavoro, dall’altro un sistema industriale che spesso predilige soggetti già formati e che non investe nel trasferimento di quelle competenze che sarebbero necessarie non solo ai giovani ma all’impresa stessa”. Una simile tendenza, di conseguenza, ha portato ad un aumento costante negli anni del numero di tirocini extracurriculari che si configurano sempre più come uno strumento applicabile a tutte le fasce d’età della popolazione, a diversi gruppi professionali e anche con obiettivi differenti: una tale semplificazione, raccolta anche nelle Linee Guida del 2017 e indirizzata anche verso un’implementazione delle tutele dal punto di vista della retribuzione, non risponde con la dovuta attenzione a due sfide centrali per i prossimi anni per il mercato del lavoro in Italia. Da una parte, il primato di NEET tutto italiano richiede risposte ben più incisive che una semplice garanzia della retribuzione di un tirocinio extracurriculare, poiché il sistema attuale della transizione tra l’istruzione, la formazione e il lavoro ancora non capitalizza il valore del sistema formativo italiano e non offre adeguate prospettive ai giovani italiani. Dall’altra parte, complici anche gli effetti sui livelli occupazionali causati dalla pandemia, sorprende che lo stesso strumento sia utilizzato per favorire la ricollocazione di persone over 30 e che vi siano stati – in 5 anni – oltre 200 mila tirocinanti over 40 con una tendenza a professioni sempre meno qualificate con l’aumento dell’età anagrafica delle persone coinvolte.
Il superamento della tripartizione delle tipologie di tirocinio (formativo e di orientamento, di inserimento/reinserimento, per svantaggiati e disabili) con le Linee Guida del 2017 non deve far dimenticare che formazione e orientamento, inserimento/reinserimento e politiche per persone svantaggiate e disabili siano esigenze tra loro molto diverse che richiedano risposte altrettanto diverse per raggiungere gli obiettivi prefissati. In questo senso, spetta alle politiche pubbliche il delicato compito di affrontare il tema dei tirocini extracurriculari nei prossimi anni con la consapevolezza di individuare ed incentivare strumenti che possano rispondere agli obiettivi prefissati, senza lasciare che – come avvenuto con Garanzia Giovani – il tirocinio diventi una valvola di sfogo del sistema che abbia come obiettivo principale quello del taglio del costo del lavoro.
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena