È sempre difficile capire quale strada intraprendere. Professionale e personale. Lo è tanto di più se hai 23 anni, una laurea appena conclusa in tasca e non hai mai conosciuto le dinamiche di una azienda o di un contesto lavorativo.
Forse perché l’università che hai frequentato ti indicava come metodo fondamentale il mero studio di libri e manuali o perché non ti sono mai state aperte le porte di un luogo di lavoro vero e proprio.
Forse perché hai pensato di concentrarti sullo studio in modo tale da concludere il percorso il prima possibile e non hai ritenuto essenziale sperimentare percorsi paralleli tramite i quali incrementare le tue competenze e comprendere la differenza tra scuola e lavoro.
Ed ora, terminato questo percorso accademico, decidi di mandare il tuo curriculum a qualche azienda sperando che possa arrivare per te una buona opportunità. Immagini di poter applicare quanto hai imparato sui libri durante le tue tante ore di studio, e attendi fiducioso.
E così in poco tempo arrivano due offerte formalmente simili ma con compensi talmente differenti. Due tirocini, come impiegato contabile e amministrativo, otto ore al giorno per sei mesi: il primo con un rimborso spese di 300 euro mensili, il secondo con un compenso di 1000 euro al mese. Non vi è dubbio che quest’ultimo alletti maggiormente e appaia, ad un occhio inesperto, più serio e professionale. Ma una cosa la scuola ti ha insegnato: occorre andare a fondo nella comprensione dei fenomeni e cercare di rintracciare le ragioni di distonie e difformità apparenti.
Quale è la natura è l’essenza del tirocinio? Esso non è un contratto di lavoro ma una forma di lavoro senza contratto tesa a consentire ad un giovane, in questo caso, di orientarsi tra vari contesti professionali e imparare competenze base utili per svolgere una professione. Il cuore del tirocinio quindi è esclusivamente la formazione e l’accompagnamento che un tutor svolge finalizzato a mostrare le dinamiche di un contesto lavorativo e i processi che sono alla base di ogni attività professionale. Il tirocinio risponde quindi alla generale regola economica e giuridica dello scambio di ricchezza e prestazioni tra due soggetti ma trasferisce questo scambio su un piano esclusivamente formativo. All’attività del tirocinante, accompagnata costantemente, corrisponde il tempo, la cura e la qualità della formazione svolta dal tutor. Il denaro qui non ha spazio perché la formazione spiega e ripaga lo scambio, e consente di non confondere questo accompagnamento didattico educativo – pur sempre svolto un contesto lavorativo con un rapporto di lavoro vero e proprio, dove alla prestazione corrisponde una retribuzione in denaro.
Offrire ad un tirocinante 1000 euro mensili significa, in questa ottica, ricondurre il rapporto formativo in una dimensione di reciprocità economica tipica di un contratto di lavoro, richiamando obblighi, diritti e di attese proprie del lavoro dietro retribuzione. La formazione, per sua natura delicata e pura, rischia con ogni probabilità di rompersi e sparire in questoscambio, pur restando certa, trattandosi di tirocinio, l’assenza di un contratto di lavoro.
Questo ragionamento richiama subito il concetto di prestazione lavorativa, che qualora venga così retribuita dovrebbe essere chiaramente individuata, e la sua esecuzione potrebbe essere pretesa dal datore di lavoro. In questo quadro la formazione sparisce perché la retribuzione consente l’esercizio di diritti e poteri datoriali che non richiamano il tutoraggio e l’accompagnamento formativo.
Identico discorso, che sfugge ad una analisi su-perficiale, è l’assenza nelc ompenso previsto per il tirocinio, proprio perché non si tratta di un contratto di lavoro, di una quota riservata a contributi fiscali e previdenziali, previsti invece nella retribuzione ricevuta da un lavoratore regolarmente assunto.
Un così alto rimborso o compenso per un tirocinante rende più appetibile l’occasione per un neo laureato, è vero. La notizia magari echeggia sulla rete e sui giornali dando una idea di qualità e garanzia di chi li propone. Consentire ai giovani di guadagnare qualcosa in più sembra un dono fatto ad una generazione, destinata altrimenti allo sfruttamento.
Eppure così non è: se il nostro ordinamento consente ad un datore di lavoro di poter pagare 1000 euro un tirocinante, verso cui non ha obblighi tipici di un contratto di lavoro, e con esso poter sostituire un lavoratore che a parità di retribuzione, lo vincolerebbe maggiormente da un punto di vista economico e normativo, che futuro c’è per noi giovani?
Verranno sempre preferiti gli stagisti, che assicurano lo stesso lavoro con molte meno garanzie. Non è forse meglio un periodo più breve di tirocinio vero, privo di retribuzione economica ma ricco di formazione, che possa davvero preparare un giovane ad un contratto di lavoro?
Perché i media, l’informazione si concentrano sul valore di un tirocinio da mille euro e non mostrano quanto questa tendenza possa di fatto rivelarsi miope nei confronti del futuro lavorativo dei giovani?
Un tirocinio può essere considerato di qualità se ha un vero e proprio contenuto formativo e non se si identifichi con un lavoretto pagato senza futuro.
Al mondo ci sono cose che luccicano, abbagliando chi non sa vederle a fondo. Ci sono però anche cose luminose, perché dotate di vera ricchezza. A noi giovani la scelta, per una volta consapevole.
Andrea Negri
Studentessa Diritto delle Relazioni Industriali
Laurea specialistica in Relazioni di Lavoro
Università di Modena e Reggio Emilia
@arbitra93