La Cassazione (Sentenza 8 gennaio 2014, n. 166) ritorna sull’efficacia probatoria dei verbali ispettivi in materia di lavoro e previdenziale, consolidando il proprio orientamento che stabilisce diversificati livelli di attendibilità, secondo i fatti che ne costituiscono oggetto. Appare opportuna una trattazione separata delle fattispecie di riferimento.
I fatti direttamente percepiti dal verbalizzante
Secondo il tradizionale insegnamento giurisprudenziale, il verbale dell’organo ispettivo costituisce atto pubblico ai sensi dell’art. 2699 c.c., è cioè atto redatto dal pubblico ufficiale che conferisce pubblica fede a quanto in esso attestato. Da tale natura del verbale discende il suo particolare regime probatorio, c.d. efficacia probatoria privilegiata, contemplato dall’art. 2700 c.c.: l’atto accertativo fa piena prova in ordine alla provenienza di esso dal suo autore, alle operazioni che il verbalizzante dichiara di aver compiuto, ai fatti che il medesimo attesta essere avvenuti in sua presenza (Cass. SSUU. n. 12545/1992). L’unico rimedio che la legge accorda a chi volesse contraddire tali risultanze dell’atto è la querela di falso, e cioè l’instaurazione di un apposito giudizio speciale, ai sensi degli artt. 221 e ss. c.p.c., avente ad oggetto la veridicità dei fatti riportati nel verbale. Pertanto, la parte interessata non può offrire, nel giudizio ordinario, una semplice prova contraria nei confronti degli elementi fattuali risultanti dal verbale, al fine di affermare la non veridicità degli stessi. In definitiva, le risultanze fattuali del verbale costituiscono prove legali, precostituite al giudizio, e come tali vengono acquisite agli atti di causa, sicché si presenta tecnicamente inammissibile la proposizione di semplici prove contrarie. Com’è noto, il Legislatore è intervenuto sul tema, stabilendo all’art. 10, comma 5, del d.lgs. n. 124/2004, che i verbali ispettivi fanno prova secondo le leggi vigenti, in relazione agli elementi di fatto acquisiti e documentati, riprendendo in tal modo l’elaborazione pretoria.
Secondo il prevalente orientamento, per fatti dotati di efficacia probatoria privilegiata devono intendersi unicamente quelli oggetto di conoscenza diretta da parte dell’organo accertatore. Tali sono i fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza e che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quelli relativi alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese.
I fatti percepiti da terzi
Per quanto sopra detto, esula dalla portata precettiva dell’art. 2700 c.c. il contenuto delle dichiarazioni acquisite dai verbalizzanti durante l’espletamento delle verifiche, cioè la loro veridicità. In proposito, la tesi dominante in giurisprudenza conferisce rilevanza fondamentale al principio del libero convincimento del giudice, stabilito dall’art. 116 c.p.c.. In siffatta ottica si sostiene che “sono liberamente apprezzate dal giudice nel contesto del complessivo materiale raccolto (pertanto mai quali fonti esclusive del proprio convincimento), le circostanze che il pubblico ufficiale indichi di avere appreso dalle dichiarazioni altrui o che siano il frutto di sue deduzioni” (Cass.23 giugno 2008, n. 17049; id. 25 giugno 2003, n. 10128 e 10 dicembre 2002, n. 17555). Viene anche precisato che, ferma la libera valutazione giudiziale del materiale raccolto in sede amministrativa, il giudice può anche considerarlo prova sufficiente delle circostanze riferite al pubblico ufficiale, qualora il loro specifico contenuto probatorio, o il concorso di ulteriori elementi renda inutile il ricorso ad altri mezzi istruttori che confermino o meno le risultanze ispettive (Cass. 6 giugno 2008, n. 15073). Peraltro, secondo un filone in via di consolidamento, ed al quale aderisce la sentenza in commento, il verbale possiede una credibilità, quanto alle dichiarazioni al verbalizzante rese dalle parti o da terzi, che può essere infirmata solo da una prova contraria, qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni (Cass. 14965/2012, 13075/2009, 6565/2007, 9919/2006, 11946/2005). Quindi, secondo tale orientamento, le dichiarazioni stragiudiziali dei terzi – lavoratori in primis –, in quanto verificabili anche nella loro provenienza, invertono l’onere della prova in giudizio, imponendo alla parte opponente – datore di lavoro – di fornire dimostrazione contraria al loro contenuto. Nella diversa ipotesi in cui si sia in presenza di una indicazione soltanto generica delle fonti di conoscenza, la dichiarazione del terzo costituisce elemento che il giudice deve in ogni caso valutare in concorso con gli altri elementi probatori, attesa la certezza, fino a querela di falso, della ricezione da parte del pubblico ufficiale delle dichiarazioni che egli attesta essere state a lui rese.
In stretta adesione all’orientamento da ultimo menzionato, la sentenza odierna della Cassazione sostiene che il valore probatorio dei verbali ispettivi deve essere ricostruito secondo il seguente paradigma:
a) piena prova fino a querela di falso relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza, o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese;
b) fede fino a prova contraria, ammissibile qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni, quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni rese al verbalizzante dalle parti o da terzi;
c) argomento di prova, ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.c., in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale. In tal caso, il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, le dichiarazioni anonime ai fini della decisione dell’opposizione proposta dal trasgressore, ed esse possono essere disattese solo in caso di loro motivata intrinseca inattendibilità, o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quelle dichiarazioni siano comunque state ricevute dall’ufficiale giudiziario.
Tra la giurisprudenza di merito, si registra un orientamento secondo cui le dichiarazioni rese nell’immediatezza dei fatti dai lavoratori presentano un apprezzabile grado di attendibilità, dal momento che sono assunte nella verosimile assenza di condizionamenti del datore di lavoro (Trib. Milano, 1625/2009, Trib. Agrigento, 13/2004, Trib. Savona 102/2006).
Un ulteriore orientamento pretorio, ormai decisamente minoritario, è contrario ad attribuire un qualsiasi rilievo probatorio, seppure di mera presunzione, alle dichiarazioni di terzi contenute nel verbale, oltre che alle valutazioni elaborate dall’ispettore. Alla stregua di tale corrente di pensiero, le dichiarazioni apprese da terzi nel corso dell’accertamento possono rilevare ai fini probatori esclusivamente se ed in quanto confermate in giudizio dai soggetti che le hanno rese, non essendo sufficiente in tal senso finanche la deposizione testimoniale del pubblico ufficiale che ha redatto il verbale (Cass. 12108/2010, 9962/2002; id. 17555/2002).
Le valutazioni del verbalizzante
Per completezza sull’argomento, appare utile accennare ad un’ultima casistica, abbastanza frequente in sede giurisdizionale, quella nella quale si riscontrino nel verbale valutazioni del verbalizzante, ad es. in tema di qualificazione dei rapporti lavorativi. Diversi dai fatti sono le valutazioni, che sono dotate degli opposti caratteri della opinabilità, della soggettività dei relativi risultati interpretativi: ad es. la qualificazione giuridica di un rapporto di lavoro. Per le valutazioni dei verbalizzanti appare indubbia, sia in giurisprudenza che in dottrina, la loro irrilevanza probatoria, se non corroborate da idonei elementi di prova. In definitiva, le opinioni dell’organo ispettivo rilevano esclusivamente se ed in quanto discendano da fonti probatorie, debitamente e puntualmente indicate nel verbale ex art. 13 comma 4, lett. a, del d.lgs. n. 124/2004 (cfr. Circolare n. 41/2010).
Carmine Santoro
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@carminesantoro
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