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Bollettino ADAPT 29 aprile 2024, n. 17
Il mercato del lavoro italiano oggi si contraddistingue per essere segnato da un grande paradosso. È questa la frase che meglio sintetizza il VII Rapporto Censis-Eudaimon, dal titolo “Il welfare aziendale e la sfida dei nuovi valori del lavoro”, pubblicato il 21 febbraio 2024. Infatti, da un lato si evidenzia il buon funzionamento del mercato del lavoro: un record di occupati, una maggiore creazione di lavori stabili e un aumento della presenza di donne nel mondo del lavoro. Dall’altro lato si segnala la diffusione di un sentimento di disaffezione al lavoro, il quale non è più epicentro della vita e delle aspirazioni personali, ma viene sempre più declassato a una delle tante attività quotidiane svolte.
Secondo i dati presentati nel Rapporto in commento, gli occupati in Italia al 2022 sono stati 23,1 milioni (il dato più alto di sempre). Dal confronto tra il terzo trimestre del 2019 e del 2023 si registra una crescita del 5% dei lavoratori permanenti e una diminuzione del 4,5% dei dipendenti con contratto a tempo determinato. Inoltre, il gap del tasso di occupazione tra uomini e donne si è ridotto di 0.6 punti percentuali. Il tasso di occupazione tra il 2012 e il 2022 è passato dal 56,1% al 60,1%. Le donne occupate sono il 42,2% mentre erano il 41,7% nel 2012. Permangono, tuttavia, forti disparità di genere dovute soprattutto alla persistenza del modello tradizionale di famiglia e di ripartizione dei compiti tra i coniugi. Nel 2022 si registra, inoltre, un aumento delle dimissioni da parte delle madri, che spesso faticano a conciliare l’attività lavorativa con la cura della prole: 44,7 mila, contro le 16,7 mila presentate dai padri.
Lo studio in oggetto esamina la trasformazione socio-culturale in corso, evidenziando che i lavoratori italiani, soprattutto i più giovani, prestano sempre più attenzione al loro benessere e al miglioramento della qualità della vita. Il 67,7% dei lavoratori desidera lavorare meno e l’87,3% sostiene che porre al centro della propria vita il lavoro sia un errore. In altre parole, vi è una crescente richiesta di equilibrio tra lavoro e vita personale. Il 30,5% degli occupati, percentuale che aumenta nei giovani arrivando al 34,7%, ha dichiarato che si impegna nel lavoro lo stretto necessario. Dall’insieme dei dati emerge una nuova gerarchia di valori dove il tempo dedicato al proprio benessere ha un peso maggiore rispetto a quello impiegato sul lavoro.
Un cambiamento socio-culturale le cui cause strutturali sono molteplici, sia materiali che psicologiche. Infatti, il 62% degli occupati ritiene la retribuzione non soddisfacente per le proprie ambizioni, il 43,3% ritiene di ricoprire una posizione lavorativa non adeguata al titolo di studio, mentre il 29,7% sente la minaccia di perdere l’occupazione lavorativa a causa delle nuove tecnologie, in particolare l’Intelligenza Artificiale.
I meccanismi di mobilità sociale, come lo studio e il lavoro, sembrano da tempo essersi inceppati, non rappresentando più una garanzia di redditività sociale. A questo, secondo gli studiosi, si sommano alcuni grandi eventi globali del tutto imprevedibili che hanno amplificato il senso di incertezza e lo stato di ansia all’interno della società, disincentivando così, gli investimenti a lungo termine, come quello nel lavoro.
Inoltre, dal Rapporto emerge una differenza di percezione tra dirigenti, impiegati e operai riguardo all’attenzione dell’azienda per il benessere dei lavoratori. Mentre il 60,8% dei dirigenti esprime un giudizio positivo in merito, solo il 37,7% degli impiegati e il 31,6% degli operai condivide tale opinione. Questi dati evidenziano una disomogeneità nella percezione dell’impegno aziendale per il benessere dei dipendenti.
Vi è, infine, la percezione che i datori di lavoro siano più attenti ai bisogni di specifiche categorie di lavoratori vulnerabili e dedichino invece meno sforzi al miglioramento generale della qualità della vita di tutti i dipendenti.
In questa fase di ridefinizione della concezione sociale del lavoro, le aziende italiane si trovano davanti a uno scenario caratterizzato da minore attrattività del lavoro che, insieme a una demografia regressiva, comporta una crescente scarsità di risorse umane. Le aziende saranno costrette ad attuare strategie per attrarre e trattenere i lavoratori. A tal proposito il Rapporto risponde alla domanda su come il welfare aziendale possa fungere, mediante una rimodulazione, da strumento di engagement e attrattività al lavoro.
Il welfare aziendale, spiega il documento in esame, deve rapportarsi con una mutata percezione del valore del lavoro. Il modello di welfare top-down, quale listino ampio e ben articolato di benefit, si sta rivelando inadeguato rispetto alla crescente individualità dei bisogni dei lavoratori, sempre più attenti al loro stato di benessere. Viene ipotizzata una fase nuova dell’istituto basata su una pianificazione su misura, attraverso processi bottom-up che mettono al centro il lavoratore in quanto persona. Emerge come non basti più comunicare ai dipendenti la presenza di un sistema di welfare ma sia necessario che questo risponda effettivamente ai bisogni individuali dei lavoratori. Inoltre, per poter avviare questa personalizzazione di prestazioni, opere e servizi offerti ai dipendenti è fondamentale instaurare un dialogo diretto con questi ultimi. In quest’ottica il welfare aziendale aiuta i lavoratori a risolvere problematiche che ne condizionano le performance e limitano il benessere soggettivo.
Secondo l’ultimo rapporto Censis-Eudaimon in questa nuova fase evolutiva dell’istituto del welfare aziendale un protagonista fondamentale potrebbe essere il welfare coach, il consulente a cui i lavoratori possono rivolgersi per individuare le soluzioni più adatte per rispondere alle proprie esigenze. Questa figura professionale rappresenterebbe un accompagnamento verso servizi e prestazioni non solo offerti internamente dall’azienda, aprendo così la strada al collegamento con il welfare territoriale. Si creerebbe dunque una realtà che, mediante l’offerta interna ed esterna, aiuta il lavoratore a trovare le giuste soluzioni emancipando il tempo di vita da incombenze e migliorando la qualità della vita.
Gli autori sottolineano come un desiderio manifestato dai lavoratori italiani sia la maggiore semplificazione nell’utilizzo dei dispositivi di welfare aziendale. Il 79,3% di loro si dichiara favorevole all’adozione di soluzioni digitali, come l’utilizzo di app su smartphone per accedere ai servizi del welfare aziendale, poiché questo renderebbe più agevole l’accesso e l’utilizzo.
I lavoratori attribuiscono alla distribuzione del proprio tempo di vita un’importanza sempre maggiore. Di conseguenza, l’offerta di dispositivi time-saving diventa fondamentale per semplificare la risoluzione dei problemi e dimostrare una concreta attenzione da parte dell’azienda ai nuovi bisogni dei lavoratori. Questi strumenti accompagnano il lavoratore nella ricerca di un’organizzazione del tempo più adatta alle proprie esigenze e gli esempi possono essere molteplici: dal supporto per le pratiche burocratiche fino ai vari sostegni alle famiglie e ai caregiver.
In conclusione, emerge che il welfare aziendale gode di una maggiore conoscenza e apprezzamento da parte degli italiani rispetto al passato. Tuttavia, davanti al numero di cambiamenti in atto nel mercato del lavoro e nel rapporto soggettivo con il lavoro stesso, il welfare aziendale deve emanciparsi da logiche tradizionali. I lavoratori richiedono sempre più ascolto e riconoscimento ed esprimono l’esigenza di servizi personalizzati; pertanto, appare superata l’idea secondo cui spetta all’azienda decifrare le esigenze dei propri dipendenti per poi offrire solo i servizi considerati pertinenti. Nella costruzione di un welfare incentrato sul benessere, è fondamentale considerare che ogni situazione vissuta dai lavoratori è il risultato di un intricato intreccio di esigenze individuali e familiari.
ADAPT Junior Fellow Fabbrica dei Talenti