Imprese italiane e innovazione: considerazioni a margine dei dati ISTAT su ricerca e sviluppo in Italia

L’Istat ha pubblicato ieri i dati sugli investimenti in R&S in Italia nel 2012, segnalando un lieve aumento (+1,9% in termini reali) rispetto al precedente anno di rilevazione (2011).
I dati di previsione indicano tuttavia, già il 2013, una inversione di tendenza, con una diminuzione della spesa del 2,9%, tendenza negativa che si protrarrebbe per il 2014.
 
L’incidenza percentuale della spesa R&S sul Pil – aumentata dall’1,21% del 2011 all’1,26% nel 2012 – non sembra dunque stia mutando significativamente, dato che mantiene il nostro Paese lontano dall’obiettivo di Europa 2020 del 3% di incidenza di R&S sul Pil e che conferma la distanza dalle performance della maggior parte degli altri Paesi europei.
 
Se questo è il quadro relativo all’insieme dei soggetti coinvolti in attività di R&S (enti pubblici, Università, non profit e imprese) guardando alle sole imprese emergono segnali incoraggianti. La spesa delle imprese in R&S cresce dal 2009 al 2014, con una piccola battuta di arresto nel 2013, ma il settore privato contribuisce ancora troppo poco alla spesa totale (54,2%, a fronte di un contributo delle università pari al 28% e delle istituzioni pari al 14,8%), dato ancora molto lontano dalla media europea (63,1%) nonché da Paesi quali Germania (67,7%), Francia (63,9%) e Regno Unito (63,6%) (Rapporto BES, 2014, Cap. 11).
 
A investire in R&S sono soprattutto le imprese medio-grandi: dal 2009, il contributo delle imprese con 500 e più addetti alla spesa R&S complessiva è costantemente diminuito ed è aumentato quello delle imprese fra i 250 e i 499 addetti e quello delle imprese di medie dimensioni (50-249), mentre è in lieve calo la quota delle imprese più piccole (fino a 49 addetti). Gli investimenti si concentrano soprattutto nell’industria manifatturiera, ma crescono lievemente nel terziario e nei settori a più alto contenuto tecnologico: questo dato, in particolare, è positivo, poiché in Italia il peso economico dei settori ad alta tecnologia è tra i più bassi in Europa, con conseguenze preoccupanti poiché questi settori rappresentano un importante fattore di crescita economica e possono contribuire in maniera diretta al miglioramento della qualità della vita dei cittadini.
 
Grafico n. 1 Spesa per R&S delle imprese italiane, 2009-2014casano_grafico1
Fonte: ISTAT, Ricerca e sviluppo in Italia, dicembre 2014. I dati per il 2013 e il 2014 sono previsionali
 
L’analisi della distribuzione degli investimenti per tipologia di ricerca (di base, applicata, sperimentale) segnala il primato della ricerca di base (quelle attività, cioè, intraprese principalmente per acquisire nuove conoscenze sui fondamenti dei fenomeni e dei fatti osservabili, non finalizzate ad una specifica applicazione): nel 2012 è aumentata, rispetto al 2011, la spesa per queste attività (+9,2%), più di quella in ricerca applicata (+3,1%). Diminuisce, invece, la spesa in sviluppo sperimentale (-0,9%). D’altra parte gli investimenti pubblici in R&S in Italia si concentrano in maniera preponderante sulla promozione della conoscenza di base.
 
Grafico n. 2 – Stanziamenti pubblici per R&S per obiettivo socio-economico, 2013 casano_grafico2
Fonte: ISTAT, Ricerca e sviluppo in Italia, dicembre 2014
 
Non solo le istituzioni pubbliche e le università, ma anche le imprese hanno investito maggiormente in ricerca di base. Meno intensi, invece, gli sforzi per accrescere gli investimenti nelle attività che consentono di acquisire nuove conoscenze per migliorare pratiche e specifiche applicazioni (ricerca applicata) o volte a completare, sviluppare o migliorare materiali, prodotti e processi produttivi, sistemi o servizi (ricerca sperimentale).
 
A ciò si aggiunge una scarsa intensità di interrelazioni fra settore pubblico e privato in termini di finanziamenti incrociati alle spese per R&S. Le imprese ricevono da altre imprese, o da soggetti privati, una quota di finanziamento pari al 79,9% del totale, mentre ricevono dall’estero e dalle istituzione pubbliche finanziamenti pari rispettivamente al 13% e al 7,1%. Nelle istituzioni pubbliche la spesa in R&S è prevalentemente autofinanziata (87,3%), il contributo del settore privato è pari al 6,9% mentre il 5,4% dei finanziamenti proviene dall’estero. Gli enti del settore non profit autofinanziano le proprie ricerche o utilizzano raccolte fondi (65,8%), ma sono maggiormente sostenuti dal pubblico rispetto alle imprese (22,6%).
 
Segnali positivi emergono invece sul fronte occupazionale. Il numero di addetti impegnati nella R&S segna una crescita nelle imprese (+6,9%), nelle istituzioni pubbliche (+5,4%), nelle università (+3%) e nel non profit (+1,7%).
 
Grafico n. 3 – Addetti alla R&S e ricercatori nelle imprese, 2009-2012 casano_grafico3
Fonte: ISTAT, Ricerca e sviluppo in Italia, dicembre 2014
 
Il peso dei ricercatori sul totale degli addetti (inclusi anche tecnici, operai specializzati e non, personale impiegatizio o di segreteria) è ovviamente differenziato a seconda del settore e del livello di intensità delle attività di ricerca, ed occorre precisare che ai fini  statistici si intendono qui per ricercatori tutti gli specialisti impegnati nell’ideazione e nella creazione di nuove conoscenze, prodotti, processi, metodi e sistemi, ma anche i manager e gli amministratori impegnati nella pianificazione e nella direzione delle attività di ricerca: figure professionali, cioè, con livello di istruzione universitario, impegnate in una delle fasi principali delle attività di R&S, a prescindere dall’ inquadramento contrattuale.
 
Non giova, probabilmente, al rilancio dell’occupazione in queste posizioni la scarsissima istituzionalizzazione della figura del ricercatore nella contrattazione collettiva, né il debole seguito dato all’introduzione di tipologie contrattuali che puntavano proprio al rilancio di queste figure, come l’apprendistato di alta formazione e soprattutto l’apprendistato di ricerca. Questi strumenti, se utilizzati valorizzandone i profili più innovativi, potrebbero non solo incentivare le imprese a investire maggiormente nell’assunzione di giovani qualificati per portare avanti progetti di ricerca applicata, ma possono soprattutto incentivare quella cooperazione inter-istituzionale necessaria a far crescere trasversalmente (e in una logica cooperativa che superi la frammentazione al momento esistente) gli investimenti in R&S.
 
Lilli Casano
ADAPT Research Fellow
@lillicasano
 
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