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Bollettino ADAPT 14 settembre 2020, n. 33
Nonostante i riflettori puntati, l’esito dell’incontro svoltosi lunedì scorso, 7 settembre, tra Confindustria e sindacati per rilanciare il confronto sulle misure anticrisi e sui contratti non avrebbe potuto essere molto diverso. L’attenzione era stata d’altronde alimentata dalle reciproche e ripetute accuse a mezzo stampa che le parti si erano scambiati nel mese di agosto, partendo dal tema dei licenziamenti per poi impostare un aperto scontro anche in materia di rinnovi contrattuali. Considerando tutto ciò, il fatto che un ulteriore inasprimento dei toni sia stato evitato potrebbe rappresentare già un risultato. Perché un’inversione repentina dei posizionamenti avrebbe finito persino per destare qualche sospetto. E così devono aver pensato Confindustria e sindacati, che si sono allineati quantomeno nelle valutazioni del rilasciare in conferenza stampa parlando di “incontro utile”, “incontro positivo”. Un modo per dire che il mezzo è stato il messaggio. Senza altre particolari convergenze riscontrate nell’occasione, se si eccettua l’intenzione accordata da Confindustria di agevolare il rinnovo del contratto della Sanità privata (uno dei settori simbolo della lotta anche professionale alla pandemia).
Il motivo profondo di questo “sforzo” di raffreddamento, che sembra introdurre ad un “autunno tiepido”, lo ha esplicitato il segretario della Cisl Annamaria Furlan in un’intervista a La Stampa: «E’ successo che ci siamo ritrovati d’accordo su alcuni concetti fondamentali a partire dal fatto che le parti sociali devono contribuire a creare le condizioni positive, soprattutto visto il momento che stiamo affrontando, per la ripartenza dell’Italia». Da un lato insomma c’è il rischio che gli effetti economici della crisi sanitaria da Covid-19 mettano a repentaglio la coesione sociale. Dall’altro c’è il rischio proprio che una malagestione del conflitto sociale da parte delle rappresentanze impedisca una pronta e quanto più efficace possibile ripartenza.
Il “minimo sindacale” con il quale le parti sociali protagoniste sono uscite da Viale dell’Astronomia lunedì non fa però altro che confermare il ritardo con il quale esse sono arrivate ad affrontare il rilancio, proprio dopo essersi rese preziose e indispensabili protagoniste di uno sforzo congiunto, e indubbiamente impopolare, per definire le regole per la ripartenza in sicurezza. Materia su cui il Governo avrebbe potuto fare ben poco senza il consenso di imprese e lavoratori. Dall’incontro Confindustria e sindacati escono senza una data per un prossimo appuntamento, ossia senza un progetto di confronto. Nemmeno è stato revocata la giornata di mobilitazione indetta dai sindacati per il 18 settembre. Ma soprattutto le parti sono uscite dall’incontro senza aver comunicato come si possa dirimere la contesa interpretativa sul Patto della Fabbrica; in particolare nella parte sul trattamento economico minimo, che costituisce il pomo della discordia. Per Confindustria i minimi contrattuali devono essere legati all’indice IPCA, ossia all’inflazione misurata in maniera comparabile a livello europeo. E giacchè l’inflazione in Italia è attualmente negativa, in linea di principio (nei fatti non succederebbe) i lavoratori dovrebbero addirittura restituire una quota di salario. Per i sindacati gli aumenti sono invece da legare alle performance dei diversi settori e vanno fatte salve le diverse prassi contrattuali. D’altronde, proprio durante l’emergenza alcuni settori che hanno visto aumentare i ricavi ed altri che invece hanno sofferto. D’altro canto va da sé che quanto succede nelle negoziazioni in un settore possa influenzare le trattative concomitanti in un settore differente ma affine per alcuni aspetti (come sta succedendo tra alimentaristi e meccanici), e quindi la situazione si complica.
L’equilibrio che va trovato, sia nel metodo sia nel merito, non è quindi banale, perché da un lato è comprensibile che le imprese puntino in questo momento a ridurre i costi e le incertezze, dall’altro è difficile raggiungere l’obiettivo di un rilancio dei consumi senza aumenti salariali. Un equilibrio che, per una sorta di congiunzione astrale, è da trovare oggi in uno scenario inedito, non solo a causa della prima pandemia veramente globale della storia dell’uomo, ma anche perché non era mai capitato nella storia d’Italia che andassero contemporaneamente a rinnovo così tanti settori contrattuali (non tutti nel dominio Confindustria). Andando dai metalmeccanici ai chimici e ai bancari, passando per il commercio, gli alimentari, tessile e moda, trasporto e logistica, il Cnel ha calcolato il coinvolgimento del 79% dell’intera platea, alla quale si aggiungono i 3,2 milioni di lavoratori pubblici.
Sarebbe forse allora convenuto a Confindustria e sindacati dare un segnale ulteriore di un cambio di marcia, se non sul tema dei contratti, almeno nell’avanzare delle richieste congiunte alla politica, visti i tanti capitoli all’ordine del giorno (dalla riforma degli ammortizzatori sociali, alle politiche attive, passando per le crisi aziendali, fino all’utilizzo dei fondi del Next Generation Fund e alla legge sulla rappresentanza, sulla quale le parti si trovano d’accordo da tempo). E forse proprio una detassazione degli aumenti contrattuali avrebbe rappresentato un anello di congiunzione. Ma proprio questa ipotesi rende evidente quanto il canale privilegiato apertosi tra Governo e Cgil complichi ormai l’elaborazione di una strategia politica da parte delle altre parti sociali. La proposta è infatti già stata avanzata sia dal sindacato di Corso Italia, sia dal ministro del lavoro Nunzia Catalfo. Che pochi giorni fa è stata ospite degli stati generali della Cgil Puglia, un’occasione importante, a suoi dire “per condividere con le parti sociali i progetti che sta predisponendo al Ministero del Lavoro”. Un’interlocuzione più fruttifera di quella nata degli altri Stati Generali, quelli voluti dal Presidente del Consiglio Conte, dove le parti sociali si erano già presentate in ordine sparso.
Nonostante la conferma della giornata di mobilitazione promossa unitariamente dai sindacati, è quindi lo stesso fronte delle organizzazioni dei lavoratori che fatica ad elaborare una strategia unitaria. La Cgil gode di un riconoscimento separato da parte del Governo, la Cisl risulta disponibile a discutere con Confindustria sul Patto per la Fabbrica (si veda lo scambio, sempre a mezzo stampa, tra Furlan e il vice-presidente di Confindustria Maurizio Stirpe), e la Uil occupa lo spazio rimasto mantenendo i toni più accesi tra le tre confederazioni (si veda l’intervento del segretario Bombardieri sul Manifesto). Insomma, la confusione è alta sotto il cielo.
Assegnista di ricerca presso il centro studi DEAL (Diritto Economia Ambiente Lavoro)
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia