Industria 4.0: dalla vecchia politica industriale a una politica per l’empowerment delle imprese. Il caso dei Paesi Bassi

In tutte le economie avanzate decisori politici e istituzioni si interrogano su come accompagnare la c.d. Quarta rivoluzione industriale. Un ruolo importante è giocato, allo stato, da alcuni gruppi di consulenza globali che, tuttavia, sembrano offrire a tutti i Paesi lo stesso pacchetto di misure senza tenere conto delle peculiarità di ogni Paese: cultura, sistema educativo, tipologia di imprese, specializzazioni produttive, risorse. Più interessante, a nostro avviso, è la costruzione di piani di azione realistici, perché messi a punto in funzione di una visione coerente alla tradizione e alle potenzialità evolutive di ciascun contesto nazionale rispetto alle dinamiche della competizione internazionale. In questa prospettiva di analisi spicca, indubbiamente, il caso dei Paesi Bassi che pare aver tracciato una strada di particolare innovazione e interesse nelle politiche industriali che, dalla vecchia logica dirigista e meccanicistica dello Stato Nazione, sembrano ora passare a una più efficiente filosofia di empowerment delle imprese che accettano la sfida della innovazione e del cambiamento.

 

In seguito alla crisi economica del 2008, i Paesi Bassi hanno scelto di abbandonare il precedente paradigma di politica industriale incentrato sullo sviluppo territoriale e informato da logiche centraliste o vincolate ai rigidi confini locali e amministrativi. Il nuovo corso della politica industriale olandese, codificato in due documenti pubblicati nel 2011 dal Ministero dell’Economia (“To the top: towards a new enterprise policy” e “To the top: Enterprise policy in actions”) ribalta questo approccio, istituendo meccanismi di co-responsabilizzazione delle imprese sulle quali viene scaricata parte della responsabilità della costruzione di un ecosistema nazionale dell’innovazione. Il forte orientamento alla commercializzazione dei prodotti e dei risultati della ricerca consente ai Paesi Bassi un ampio coinvolgimento diretto degli attori privati, che finanziano con più interesse progetti “curiosity-driven”, ossia allineati alle grandi sfide della società indentificate a livello europeo. La nuova Enterprise Policy olandese si nutre delle attività di ricerca e sviluppo condotte da partnership pubblico-privato e ambisce pertanto a consolidare i canali di trasferimento tecnologico sfruttando, da un lato, una più stretta cooperazione tra istituzioni della conoscenza, business e autorità pubbliche nella programmazione della ricerca di base e applicata, sulla base del modello collaborativo “triple helix”; dall’altro, intensificando le connessioni tra scienza e alta formazione.

 

La scelta di un cambio di paradigma ha spinto il governo a convocare più équipe di esperti composti da professionisti del settore privato, rappresentanti delle parti sociali e dei principali centri di ricerca, la cui attività di consulenza ha indirizzato il governo nella definizione delle strategie operative del nuovo corso di politica industriale. Facendo seguito alle consultazioni, il governo ha pertanto individuato nove ambiti di strategica priorità per l’economia olandese, cosiddetti Top Sector, sui quali concentrare nei prossimi anni le attività di ricerca e sviluppo, e segnatamente agrifood, horticulture e propagation materials, high tech systems and materials, energy, logistics, creative industry, life science and health, chemicals and water.

 

I nove Top Sector, attorno ai quali è stata aggregata e strutturata la collaborazione di università e imprese, sono stati individuati attraverso un criterio di specializzazione settoriale-tecnologico, superando le tradizionali logiche di sviluppo territoriali per abbracciare in maniera trasversale tutte le province olandesi. L’approccio Top Sector, così come è stato definito dalla letteratura, cerca di mettere in equilibrio interessi e opportunità degli attori coinvolti nella produzione di conoscenza attraverso meccanismi di co-responsabilizzazione e coordinamento. Gli organi esecutivi a cui fanno capo i compiti di programmazione, amministrazione e monitoraggio delle attività di ricerca condotte in questi nove ambiti sono 19 consorzi (19 Top Consortia for Knowledge and Innovation, TKI, che verranno tuttavia ridotti a 12 unità entro il 2017) formati da una partnership tra enti pubblici e privati che vede coinvolte università, imprese e organi di governo nello sviluppo di progetti collaborativi. I TKI sono istituzioni deputate a trasferire risorse finanziarie (coerentemente con le priorità strategiche di ciascun settore o ambito) e a coordinare progetti di ricerca che però vengono avviati solamente se i privati che partecipano contribuiscono attraverso meccanismi di co-finanziamento, condividendo rischi e opportunità, per moltiplicare l’impatto dell’impegno finanziario del governo. Questo consente di accrescere l’applicabilità della ricerca scientifica sia per scopi commerciali che sociali, e dunque accrescere il ritorno sui fondi pubblici devoluti alla ricerca.

 

Oggi, buona parte delle risorse pubbliche allocate a supporto della ricerca nel settore privato proviene dalle royalties derivanti dalle attività di estrazione di idrocarburi e gas. Riconoscendo che le PMI hanno particolari difficoltà ad accedere al mercato del credito, il governo ha disposto una serie di strumenti finanziari a loro dedicati. Gli imprenditori olandesi non sono più sussidiati come in passato attraverso finanziamenti diretti, ma possono avvantaggiarsi di generosi incentivi fiscali automatici per le attività di innovazione che costituiscono circa il 75-80% del supporto pubblico a favore della ricerca nel settore privato e che consentono alle imprese di crescere in autonomia e responsabilità. Il governo olandese cerca altresì di fare leva sulla domanda di innovazione tramite schemi di procurement innovativi e gare di appalto orientate all’acquisto di servizi di ricerca.

 

Se i TKI rappresentano aggregatori di competenze che mettono in relazione attori settoriali per stimolare la co-creazione e utilizzo della conoscenza per scopi innovativi, sono i Field Lab a rappresentare i veri e propri enabler del cambiamento. Si tratta di laboratori o hub che forniscono strutture di accompagnamento, apparecchiature digitali e tecnologie abilitanti a favore delle imprese che vogliono testare e dimostrare un progetto innovativo ma non hanno facile accesso a impianti di processo o di produzione industriale di larga scala per farlo. I Field Lab operano come acceleratori di progetti innovativi e di sviluppo tecnologico, creando un importante indotto occupazionale nei territori che li ospitano. La “Action Agenda for Smart Industry” redatta nel 2014 dal governo dei Paesi Bassi, oltre a definire le linee guida per mettere a regime la Industry 4.0 olandese, prevede la creazione di 10 Field Lab sparsi su tutto il territorio nazionale attraverso cui costruire un network di relazioni capace di portare a sistema tutta la conoscenza prodotta sui temi della Smart Industry, conoscenza che esiste ma che è polverizzata tra le molteplici esperienze diffuse nelle varie province.

 

Il sistema della ricerca dei Paesi Bassi sembra quindi essere informato da una logica e da una visione progettuale che mettono al centro gli attori del sistema pubblico e privato in un piano di pari dignità. Alle imprese viene domandato un ruolo attivo in termini di investimenti finanziari e partecipazione nella definizione degli indirizzi di policy, degli obiettivi di medio-lungo periodo e degli strumenti di cui servirsi. Questo clima di innovazione e collaborazione tra settore pubblico e privato viene formalizzato attraverso la stipula di Innovation Contract. Si tratta di accordi non vincolanti, aggiornati su base biennale, che portano la firma del governo e dei rappresentanti del Top Sector in questione. Le parti sottoscrivono un contratto in cui vengono calibrati l’impegno finanziario del governo e la percentuale di investimenti proveniente dagli stakeholder privati sulla base degli obiettivi di lungo periodo che il Top Sector si impegna a perseguire.

 

La progettualità del sistema della ricerca olandese non si esaurisce nella programmazione di finanziamenti, obiettivi e collaborazioni pubblico-privato. Su mandato del governo, i nove Top Sector devono cominciare a gettare le basi del futuro mercato del lavoro a partire da una preliminare mappatura del fabbisogno delle competenze per gli anni a venire. Ciascuno dei nove ambiti knowledge-intensive è stato incaricato di redigere una “Human Capital Agenda”, ossia uno strumento programmatico che offra al governo principi ispiratori e linee guida per predisporre politiche educative che investano sullo sviluppo dei talenti e sull’aggiornamento delle conoscenze oggi richieste dal mercato alle nuove figure professionali che emergono in risposta ai cambiamenti tecnologici. Si tratta di documenti snelli, in continuo aggiornamento e aperti a consultazioni e contributi provenienti anche dalle PMI, che formalizzano la domanda di competenze espressa da ciascun dei Top Sector caratterizzati da alta densità di capitale umano e relazioni. La redazione di una Human Capital Agenda vede il mondo delle imprese e dell’università impegnate a collaborare per incrociare le rispettive esigenze e individuare il ventaglio di competenze e nuove professionalità capaci di governare la quarta rivoluzione industriale.

 

L’approccio bottom-up che caratterizza il sistema della ricerca olandese è bilanciato dal ruolo proattivo dell’esecutivo, che non si limita alle vesti di semplice cabina di regia, ma partecipa attivamente alla costruzione di un ecosistema dell’innovazione, che, oltre allo sforzo finanziario e di coordinamento, richiede il pieno coinvolgimento anche degli organi di governo e dei Ministeri deputati a implementare politiche educative, di internazionalizzazione delle imprese e commercio con l’estero che siano rispondenti ai bisogni manifestati dai nove Top Sector. Istanze che devono però essere formalizzate in documenti programmatici, come ad esempio la sopracitata Human Capital Agenda, dove ciascun settore identifichi e giustifichi i propri obiettivi operativi di medio e lungo periodo, affinché il governo possa offrire loro soluzioni customizzabili, modulari e scalabili a seconda delle necessità.

 

La fortunata esperienza dei Paesi Bassi rappresenta un virtuoso esempio per l’Italia, che pur con qualche ritardo e incertezza si sta avviando lungo la strada della Industry 4.0. Il coordinamento degli interessi in gioco e la co-responsabilizzazione delle parti coinvolte rappresentano la cifra per misurare il decollo della quarta rivoluzione industriale e la riduzione della distanza tra le imprese e università in un mondo in cui i confini tra servizi e manifattura, fornitori e produttori sono sfumati e strettamente intrecciati secondo logiche network-centriche che trovano nelle città i principali nuclei aggregativi.

 

Elena Prodi

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@Elena_Prodi

 

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