Inidoneità fisica e licenziamento: perché per l’apprendista non può valere l’obbligo di repêchage
| di Nicoletta Serrani
Bollettino ADAPT 3 marzo 2025 n. 9
Nel contratto di apprendistato professionalizzante, finalizzato all’acquisizione di una specifica qualificazione professionale, l’inidoneità fisica o psichica dell’apprendista rispetto alle mansioni afferenti a tale qualificazione legittima il datore di lavoro a recedere dal contratto, senza che possa configurarsi un obbligo di ricercare mansioni compatibili con lo stato di salute del lavoratore, essendone vietata l’adibizione a mansioni diverse da quelle contrattualmente pattuite e finalizzate all’acquisizione delle specifiche competenze professionali.
Questa la motivazione con cui la Corte di Cassazione con una recente sentenza (28 novembre 2024, n. 3065), richiamando le sue precedenti pronunce, è tornata ad affrontare il tema del giustificato motivo oggettivo di licenziamento con riferimento, in particolare, al contratto di apprendistato.
La decisione arriva all’esito di una vicenda processuale che vedeva la Corte di Appello di Roma accogliere il ricorso di un apprendista e dichiararne illegittimo il licenziamento.
In particolare, il lavoratore era stato assunto con contratto di apprendistato professionalizzante per svolgere la mansione di capo treno/capo servizi ma in seguito la società datrice di lavoro lo aveva licenziato adducendo come motivazione l’inidoneità psichica dell’apprendista. La Corte di appello, assodata la mancanza di idoneità, riteneva che il datore di lavoro non avesse ottemperato all’obbligo del repêchage e pertanto dichiarava illegittimo il licenziamento condannando l’impresa al pagamento dell’indennità di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 23/2015.
Di contrario avviso sono stati i giudici di legittimità i quali, cassando la pronuncia dei giudici territoriali, hanno accolto le doglianze della ricorrente circa la non sussistenza in capo alla datrice di lavoro dell’onere di ricercare mansioni compatibili con lo stato di salute del lavoratore.
La fattispecie di licenziamento in questione si colloca nell’ambito del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, nell’ambito del quale non sono ricondotte le sole ipotesi di recesso legate a ragioni produttive, di organizzazione e di buon funzionamento dell’organizzazione del lavoro predisposta dall’imprenditore ma tutti quei casi che rendano impossibile lo svolgimento proficuo della prestazione di lavoro. In tali casi, il datore di lavoro è onerato del c.d. obbligo di repechage per il quale l’orientamento giurisprudenziale maggioritario consolidatosi nel corso del tempo è arrivato a qualificarlo uno degli elementi costitutivi della fattispecie. In buona sostanza, dunque, il datore di lavoro, prima di recedere per i suddetti motivi dal contratto di lavoro, deve sempre trovare “l’alternativa al licenziamento” e solo provando che sia impossibile riassegnare il prestatore non solo a mansioni equivalenti ma neanche inferiori che il recesso può dirsi legittimo.
Senonché gli Ermellini, nel ritenere fondato il ricorso, hanno escluso nel caso di specie, la sussistenza di un obbligo gravante sul datore di lavoro di ricollocare il lavoratore, adibendolo a mansioni diverse rispetto a quelle da conseguire con la tipologia contrattuale dell’apprendistato professionalizzante.
Le argomentazioni dei giudici di legittimità prendono le mosse proprio dalla particolarità del contratto di apprendistato così come da ultimo disciplinato dagli artt. 41-47 del d.lgs. n. 81 del 2015, figlio della l. n. 183 del 2014 (c.d. Jobs Act).
L’apprendistato è un contratto di lavoro a tempo indeterminato, finalizzato alla formazione ed all’occupazione dei giovani, la cui principale caratteristica è data dal fatto di essere un contratto a fasi successive. Infatti, in una prima fase, dedicata agli scopi formativi con una durata predeterminata a seconda delle esigenze formative dell’apprendista, al sinallagma tra prestazione di lavoro e retribuzione si aggiunge la correlazione fra formazione professionale e attività lavorativa; nella seconda fase invece il rapporto si trasforma in un ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sempre che allo scadere della fase di formazione e addestramento una o entrambe le parti non decidano di sciogliere il vincolo contrattuale che le lega.
Difatti è ben noto come il recesso dal contratto di apprendistato rientri in quell’area residuale del “licenziamento libero” che non è assoggettata all’apparato sanzionatorio previsto per il rapporto di lavoro ordinario (E. PASQUALETTO, Il licenziamento libero dell’apprendista al termine del periodo formativo: un dogma da superare? In WP CSDLE “Massimo D’Antona”. IT, n. 384/2019) e dove è possibile recedere dal contratto con il solo obbligo del preavviso (c.d. recesso ad nutum) ai sensi dell’art. 2118 c.c. (N. DE ANGELIS, Le conseguenze del recesso nel contratto di apprendistato. Quando l’interprete deve colmare il vuoto di disciplina, i n WP CSDLE “Massimo D’Antona”. IT, n. 390/2019).
Inquadrata la peculiarità della tipologia contrattuale, la Corte di Cassazione rileva come nel contratto di apprendistato professionalizzante «la qualificazione professionale (al cui conseguimento è finalizzato il contratto) è determinata dalle parti sulla base dei profili professionali previsti nel settore di riferimento» e aggiunge come «l’obbligo formativo (a carico del datore di lavoro) connota la causa (mista) del contratto, con le conseguenze che l’apprendista deve essere adibito soltanto ai lavori attinenti alla specialità professionale a cui si riferisce il tirocinio (art. 2132 c.c.)». Pertanto, i giudici sostengono che per il datore di lavoro vi è il divieto di adibire l’apprendista a mansioni diverse da quelle dedotte nel contratto che sono altresì finalizzate al conseguimento delle specifiche competenze professionale.
Secondo la Corte di cassazione, tale circostanza viene corroborata dalla disciplina vigente. Difatti, gli Ermellini, ponendosi sulla strada tracciata dalle proprie decisioni precedenti, evidenziano che «in mancanza di formazione, teorica e pratica, oppure in caso di attività formativa carente o inadeguata rispetto agli obiettivi propri del contratto, il datore di lavoro decade dalle agevolazioni contributive» (Cass. n. 4416/2021; Cass. n. 8564/2018) e che l’inadempimento degli obblighi di formazione «determina la trasformazione, fin dall’inizio, del rapporto in uno di lavoro subordinato a tempo indeterminato» (Cass. n. 16595/2020), con un chiaro limite allo jus variandi di cui all’art. 2103 c.c., espressione tipica della capacità economica, produttiva ed organizzativa dell’imprenditore.
Orbene, nel caso in cui si accerti che l’idoneità psichica o fisica del lavoratore impedisca al datore di lavoro di impartire la formazione e all’apprendista di acquisirla, per i giudici di legittimità il datore di lavoro potrà recedere dal vincolo contrattuale senza doversi adoperare nella ricerca di altre e diverse mansioni compatibili con lo stato di salute dell’apprendista. Difatti all’avverarsi di una tale situazione, viene meno la causa stessa del contratto di apprendistato.
In conclusione, quindi, la Cassazione rimarca la specialità del contratto di apprendistato rispetto al genus del lavoro subordinato e di conseguenza rileva l’erroneità di quanto deciso dalla Corte di appello in ordine al presunto obbligo di repêchage del datore di lavoro che nel caso in esame non poteva sussistere.
Nicoletta Serrani
ADAPT Labour Lawyers associate
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