Secondo i risultati del test PISA INVALSI 2015 divulgati il 25 Novembre 2016, l’Italia si colloca al di sopra della media OCSE in termini di equità nell’istruzione e nell’integrazione scolastica degli immigrati.
Il test rileva i parametri di valutazione del rendimento scolastico degli studenti dei singoli paesi, tenendo in considerazione tutti i fattori che influiscono, quali la nazionalità, lo status economico della famiglia di provenienza, l’area geografica, l’offerta formativa, il sesso. Questi dati sono significativi, perché mostrano come i canali di accesso alle carriere formative e lavorative delle persone dipendano ancora dall’istruzione e dalla formazione, e di come la loro garanzia o meno sia tutt’oggi influente sul futuro dei singoli.
A differenza di molti altri paesi dell’Europa occidentale (Francia, UK, Spagna, Belgio), in Italia il background sociale e culturale hanno una incidenza minore sul rendimento degli studenti e non compromettono particolarmente la possibilità di fare carriera (Figura1). Le scuole (o università) restano un punto di riferimento importante per colmare il gap e le disparità ascritte che influenzano le performance scolastiche.
L’OCSE definisce la social equity come capacità del sistema scolastico di fornire una buona istruzione per tutti gli studenti, indipendentemente dallo status sociale e dal grado di istruzione delle loro famiglie. PISA INVALSI 2015 mostra come le differenze nell’istruzione sono relazionate allo status sociale delle famiglie di appartenenza e il gap esistente tra gli studenti economicamente svantaggiati e i loro compagni più abbienti. Inoltre si rileva la percentuale di studenti che ha buoni risultati scolastici, nonostante non provengano da famiglie benestanti e pertanto sono riconosciuti come “studenti resilienti”.
Figura 1. Social Equity, PISA 2015
I dati Pisa Invalsi mostrano come complessivamente gli studenti immigrati siano penalizzati rispetto ai loro colleghi nativi e misurano il divario di rendimento scolastico tra i due gruppi. Ad esempio, circa il 6% degli studenti dei paesi OCSE che non hanno frequentato con regolarità le lezioni di scienze hanno registrato 25 punti in meno dei colleghi che hanno frequentato invece almeno una lezione, anche in relazione al fattore socio-economico degli studenti e della scuola. In 34 sistemi scolastici esaminati, gli studenti che non frequentano regolarmente le lezioni di discipline scientifiche sono iscritti a istituti scolastici di aree economicamente e socialmente svantaggiate.
Molti paesi riscontrano grandi difficoltà nell’integrare gli studenti immigrati. PISA mostra le differenze e il gap tra gli studenti immigrati e i loro compagni nativi e il divario tra i due gruppi. Inoltre esamina anche i fattori relativi al contesto di riferimento come la percentuale di studenti immigrati rispetto all’intero campione di studenti e la tendenza di inserire gli studenti immigrati in scuole con ampie fette di individui svantaggiati o in difficoltà economica. Le politiche educative specifiche unite a politiche sociali sono indispensabili per favorire l’integrazione.
Figura 2. Immigrant students, PISA 2015
Il grafico (Figura 2) mostra come l’Italia sia al di sopra della media e il caso italiano risulti essere più virtuoso in considerazione del fatto che la maggior parte degli studenti immigrati in Italia sono di prima generazione: questi giovani studenti hanno spesso delle potenzialità non adeguatamente valorizzate come il bilinguismo, un background culturale diverso ed eterogeneo,
elasticità mentale; doti che sarebbero sprecate qualora il sistema paese in cui vivono non consentisse loro di metterle a frutto in termini scolastici e lavorativi. Il rischio aumenta alla luce della sempre più complessa interazione tra domanda (sempre più specialistica) e offerta di lavoro. Giovani che non hanno ottenuto gli strumenti giusti per trasformare in competenze tecniche le loro qualità e doti personali stentano ad affermarsi in mercati del lavoro che non intercettano i loro profili, pur necessitando di figure professionali sempre più versatili, multiculturali e resilienti.
I dati del 2015 sono in contrasto rispetto a quelli del 2012 quando l’OCSE evidenziò come gli studenti immigrati in Italia avevano ottenuto i dati meno soddisfacenti, sia rispetto agli standard internazionali che nei confronti dei nativi. Sempre in base alle indagini triennali Pisa, “gli studenti immigrati erano un anno scolastico dietro rispetto ai figli dei nativi in termini di competenze reali. Un dato positivo è che, nonostante i genitori immigrati parlino raramente italiano a casa, il divario tra gli studenti di origine straniera e i nativi è minore in Italia che in paesi come la Spagna o in Francia, dove i genitori hanno maggiori probabilità di parlare la lingua del paese ospitante a casa.” (Indicators of Immigrant Integration 2015: Settling In, OCSE).
Nonostante le buone performance rilevate dallo studio PISA, la qualità della formazione dei giovani immigrati è una priorità che richiede particolare attenzione poiché strettamente connessa al benessere sociale e al buon funzionamento del nostro mercato del lavoro. Una consolidata tradizione di studi scientifici sul rendimento dell’istruzione testimonia come essa resti un viatico cruciale per l’integrazione sociale e lavorativa, e ciò è tanto più vero quanto più si presti attenzione alle trasformazioni demografiche che impongono una sempre maggiore attenzione alla componente straniera. In questo senso, la scuola ha un compito delicato e indispensabile,ossia inserire giovani e ragazzi immigrati in un contesto educativo e porre l’attenzione non solo sul concetto di multiculturalità (ossia la situazione di stranieri e studenti autoctoni che convivono nello stesso spazio sociale e scolastico), ma sull’interculturalità, intesa come possibilità per individui con lingue, religioni e background differenti di interagire e relazionarsi tra di loro al fine di sviluppare una fitta rete di dialogo, confronto e scambio reciproco.
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
Università degli Studi di Bergamo