Intermediare tirocini gratuiti per le imprese? Facile

In attesa che vada a regime la complessa attività della Garanzia Giovani in Veneto, la Regione ha attivato il progetto Welfare to Work, che ne anticipa alcuni limitati passaggi.

L’estrema sintesi del progetto è: i giovani interessati debbono rivolgersi ai centri per l’impiego (dal progetto sono esclusi i soggetti privati autorizzati o accreditati), essere iscritti in Garanzia Giovani, sostenere un colloquio per capire le potenzialità, essere messi in contatto con aziende che si siano rivolte ai Cpi per attivare tirocini, e concordare con esse un percorso di tirocinio. Il progetto prevede che alle aziende sia assegnato un finanziamento pubblico di 400 euro per ciascuno dei 6 mesi di tirocinio. Le aziende, dunque, sono esentate dal sostenere i costi della “indennità di partecipazione” che spetta al tirocinante per legge, nella misura, in Veneto, di 400 euro. Si prevede, inoltre, che se l’azienda assuma il tirocinante prima della scadenza del tirocinio con un contratto di almeno 6 mesi (esclusa la somministrazione o la chiamata), faccia sua la quota-parte del finanziamento dell’indennità di partecipazione.

 

Il progetto si è attivato il 5 maggio scorso. I tirocini attivati dalle province venete sono già centinaia sui 1.240 che si prevede di realizzare.

 

La cosa che risalta è la sostanziale semplicità nell’attivare l’incontro domanda/offerta di questi tirocini. Il che non stupisce. I Cpi, infatti, hanno la possibilità di offrire ai datori di lavoro l’opportunità di avvalersi per sei mesi di un tirocinante dovendo solo accollarsi l’onere della spesa per l’assicurazione infortuni, senza nemmeno doversi preoccupare delle pratiche amministrative per pagare l’indennità di partecipazione, in quanto sarà eroga dall’Inps. Dunque, la proposta all’azienda è piuttosto vantaggiosa e il tasso di adesione dei datori al progetto è inevitabilmente molto elevato.

 

I dati già rilevati nei pochi giorni di attivazione del progetto dimostrano alcune cose:

 

a)    è possibile far lavorare i servizi pubblici per il lavoro per target e per progetti: basta individuare con chiarezza numeri, percorsi e modalità, e prevedere le risorse informatiche necessarie. La regione Veneto può contare, in effetti, su un sistema informativo lavoro particolarmente efficiente e all’avanguardia;

 

b)   i centri per l’impiego riescono a garantire livelli di incontro domanda/offerta significativi, se “sfidati” da progetti chiari nei risultati e negli strumenti da utilizzare;

 

c)    effettuare l’incontro domanda/offerta di tirocini finanziati con risorse pubbliche, dunque sostanzialmente senza oneri nemmeno amministrativi per le imprese, risulta piuttosto agevole;

 

d)   non ha, dunque, particolarmente senso stabilire, come nella Garanzia Giovani, un “premio a risultato” per le agenzie private, legato (anche, è uno dei vari moduli attuativi della Garanzia Giovani) al numero di tirocini attivati. Infatti, anche nel caso della Garanzia Giovani l’indennità di partecipazione sarà finanziata dalle risorse pubbliche. Quindi, perché premiare “a risultato” un’attività che si rivela, oggettivamente, semplice e può essere svolta abbastanza efficacemente dai servizi pubblici per il lavoro?

 

e)    l’incontro domanda/offerta di lavoro non si determina in modo spontaneo ed automatico nei canali “istituzionali”, ma occorre che vi siano “spinte” o “incentivi” per le aziende;

 

f)    infatti, i canali “istituzionali” raccolgono molto bene l’offerta, cioè le persone che dichiarano di cercare lavoro, ma poco la domanda, le proposte di lavoro delle aziende, che si orienta verso canali non istituzionali, prevalentemente la cerchia delle conoscenze personali, il “lavora con noi” o ricerche sui portali internet, che consentono sì di acquisire molte candidature, ma tantissime di esse non preselezionate e filtrate;

 

g)   le aziende, pertanto, si rivelano ben disposte ad avvalersi dei canali “istituzionali” non disdegnando affatto quello pubblico, se trovano una specifica convenienza;

 

h)   ciò è dimostrato dall’architettura della legge n. 68/1999, la quale, pur non potendosi considerare come norma perfetta, configurando in capo alle aziende l’obbligo di assumere disabili e categorie protette ricorrendone le condizioni, favorisce l’incontro domanda/offerta di lavoro proprio per le persone che partono da uno svantaggio nel mercato.

 

Accanto al lato positivo della funzionalità del progetto Welfare to Work, che ovviamente ha il pregio, indiretto, di favorire tra centri per l’impiego e aziende un contatto operativo positivo, dal quale potranno potenzialmente scaturire successivi contatti sulla base di un rapporto di fiducia instauratosi grazie al progetto, si debbono constatare alcuni lati negativi, non dell’idea progettuale, ma delle dinamiche del mercato del lavoro in generale.

 

Si nota, in sostanza, che se non c’è un sostanzioso contributo pubblico (per i 1240 tirocini finanziati ciascuno con 2400 euro la spesa è di 2.976.000 euro) alle politiche di incontro domanda/offerta, esso rischia di rimanere asfittico.

 

Da diverso tempo, ormai, sta prendendo sempre più piede l’idea che occorra estendere la privatizzazione dei servizi, dando per scontato l’inefficienza dei servizi per il lavoro. L’ultimo monitoraggio dell’Isfol (Lo stato dei Servizi pubblici per l’impiego in Europa: tendenze, conferme e sorprese) conferma che in Italia il problema effettivo dei centri per l’impiego, capaci di una bassa percentuale di intermediazione, deriva da un investimento di risorse pubbliche nella funzione di aiuto alla ricerca del lavoro incomparabilmente inferiore rispetto a quello dei principali Paesi competitori.

 

Dunque, si dimostra che una maggiore efficienza del sistema dell’incontro domanda offerta intanto deve affrontare il problema della variabile indipendente dell’adeguatezza del finanziamento pubblico. E occorre prendere atto che se anche si volesse insistere sul sistema della “premialità” o delle “doti”, per finanziare l’attività dei soggetti privati o accreditati, sempre di risorse pubbliche si tratterebbe.

 

Insomma, la maggiore efficienza dei servizi per il lavoro non va ricercata nel miope dualismo pubblico vs privato, ma mediante investimenti pubblici:

 

a)    che sappiano potenziare il sistema pubblico, l’unico in grado di attuare le norme costituzionali sul diritto al lavoro in modo universale e non segmentato per target, così da assicurare a chiunque un livello minimo uguale di prestazioni, a condizione che si uniformino, però, le politiche e gli interventi nelle regioni, lasciando ad esse il compito di introdurre progetti particolari solo per andare oltre i livelli minimi;

 

b)   che inducano i soggetti privati a collaborare con il pubblico, allo scopo di aumentare le quantità e la qualità degli interventi che i servizi pubblici sono in grado di assicurare, adempiendo ai livelli essenziali delle prestazioni;

 

c)    che incentivino/obblighino le aziende ad utilizzare i canali “istituzionali” di ricerca, ma non solo mediante investimenti che riducano i costi finanziari.

 

Non appare possibile perseguire a lungo modalità di facilitazione dell’incontro domanda/offerta che, di fatto, addossino all’erario pubblico parte dei costi che deve sobbarcarsi il datore di lavoro.

 

Certo, se lo Stato potesse pagare i lavoratori al posto delle aziende, per esse sarebbe un sollievo ed un guadagno non da poco. È ovvio che ciò non sia possibile. Le aziende possono godere di rilevanti sgravi retributivi e previdenziali assumendo lavoratori percettori di ammortizzatori sociali o anche apprendisti. Per altro, l’utilizzo dell’apprendistato è bassissimo, perché nonostante i forti benefici retributivi (la sottoqualificazione iniziale) e contributivi, le imprese considerano troppo onerosi gli obblighi formativi e le pratiche amministrative per attivare i contratti.

 

Allora, sarebbe opportuno orientare la normativa verso strumenti, mutuabili dalle logiche della legge n. 68/1999, che inducano le imprese a veicolare la domanda di lavoro nei canali ufficiali, utilizzando le risorse pubbliche non tanto per creare finanziamenti indiretti alle imprese medesime, sotto forma di “doti” ai lavoratori, quanto per potenziare i servizi pubblici, lasciando loro anche risorse per attivare collaborazioni con i privati, mediante appalti o convenzioni finalizzate ad estendere i servizi medesimi o, di volta in volta, di rispondere meglio a progetti particolari rivolti a target particolari, o ad attivare standard più elevati.

 

Luigi Oliveri

Dirigente Coordinatore Area Servizi alla Persona e alla Comunità

Provincia di Verona

@Rilievoaiace

 

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