Il piano Garanzia Giovani in Italia, nonostante alcuni ritardi, è pronto a partire. Qual è la posizione di Confindustria su questa iniziativa?
La Garanzia Giovani è indubbiamente una grande opportunità per l’Italia: è urgente intervenire su un problema così grave come quello dei NEET. Intanto per una questione di coesione sociale, poi perché rischiamo di tenere fuori dal lavoro e dall’impresa un’intera generazione di giovani che può dare un contributo per la crescita del nostro Paese. Confindustria guarda con interesse a questa iniziativa. Il Piano è in ritardo (doveva partire il 1° marzo). Ci auguriamo si acceleri e osserveremo i primi risultati concreti.
La Garanzia offre all’Italia la possibilità di sperimentare forme innovative di politiche attive del lavoro e l’occasione per avviare al nostro interno un serio dibattito sui giovani e sulle loro prospettive di lavoro e di formazione.
Quali sono i principali nodi da sciogliere con più urgenza per rendere più efficace Garanzia Giovani nel nostro Paese? Ritiene adeguati i livelli di investimento comunicati finora dal Governo?
I nodi da sciogliere sono sostanzialmente 4:
- la necessità di allargare l’intervento anche agli under 30 (perché non si può tenere fuori gioco una parte consistente della generazione NEET)
- la difficoltà di intercettare i giovani NEET: 1,3 milioni di persone che non studiano, non lavorano e non cercano non sono facili da intercettare e bisogna attivare modalità innovative, ad esempio un sistema di opt-out, per rendere davvero efficace il piano nel nostro Paese
- l’alleggerimento e il rinnovamento del portale Clic Lavoro: il sistema si dimostra ancora troppo pesante e richiede tempi di registrazione troppo lunghi, sia per le imprese sia per i giovani. Al contrario, servirebbero soluzioni rapide con sistemi informativi a basso costo di investimento che permettano una diffusione capillare con informazioni essenziali e facilmente registrabili
- in ultimo, il ripensamento dei livelli di investimento che sono stati finora comunicati: bisogna investire di più in attività che possano davvero favorire l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Penso ad attività di alternanza studio-lavoro, apprendistato, inserimento in percorsi formativi tecnico-scientifici, giornate di orientamento e di incontro con imprenditori e lavoratori. In sintesi, strumenti che diano ai NEET un forte segnale di fiducia nella loro capacità di ricominciare.
Ci sono modelli europei da cui possiamo prendere spunto per adeguare Garanzia Giovani agli obiettivi che la Commissione Europea. Cosa ne pensa, ad esempio, del modello francese?
La Francia ha un tasso di disoccupazione giovanile al 23,2% e per questa ragione avvierà un piano Garanzia Giovani di portata più ridotta rispetto all’Italia. Il modello francese è fondato sul riconoscimento di una dote di circa 1.600 euro che il ragazzo può spendere presso un servizio per l’impiego di propria scelta. Ad esempio, in Lombardia il modello della dote unica del lavoro è stato un successo. Come esternalità positiva di questo sistema, vi è senz’altro lo sviluppo di una concorrenza tra gli operatori pubblici e privati che Confindustria auspica da tempo. Inoltre, con questo sistema il giovane può spendere il voucher presso il servizio per l’impiego che offre le opportunità migliori. I finanziamenti vengono così incanalati verso opportunità già esistenti, serie e concrete, riducendo le misure inutili o il rischio di spender male i soldi pubblici.
A proposito di Regioni, il loro ruolo sarà fondamentale per la riuscita del piano Garanzia Giovani. Alle Regioni è stata attribuita forte autonomia d’azione. Crede che sia la soluzione giusta oppure è necessario, come suggerito da Tito Boeri, che ci siano più e più precise direttive dal Ministero del Lavoro (così come è in Spagna)?
Le Regioni sono i “soggetti attuatori” del Piano. Il loro ruolo è importante per realizzare le misure previste e adottare quelle più appropriate alle realtà territoriali. Dovranno approntare misure che si adattino alle specifiche esigenze del contesto socio-economico.
Detto ciò, riconosciuto il necessario principio di autonomia, gli enti regionali dovranno lavorare all’interno di una cornice governata e ben definita. Solo lo Stato potrà, infatti, adottare quei necessari principi generali di cui ho fatto prima un accenno. Penso, ad esempio, alle condizioni per garantire una maggiore partnership tra la scuola e l’impresa, semplificando l’apparato normativo che riguarda l’apprendistato o l’alternanza. O, ancora, solo lo Stato può favorire la liberalizzazione dei servizi per l’impiego secondo un’ottica premiale.
Altro ruolo decisivo per la riuscita del piano Garanzia Giovani lo avrà una comunicazione adeguata. Quali crede che siano le iniziative da dover attivare per rendere consapevoli i NEET di questa opportunità? Confindustria organizzerà un’iniziativa specifica?
I NEET sono i destinatari principali del Piano, eppure ritengo che non siano state previste le modalità più appropriate per avvicinarsi a questi difficili e diffidenti interlocutori che si mostrano disinformati e, ancora peggio, disinteressati. E’ un target molto difficile.
Per convincere un NEET a uscire da questo stato di margine, è necessario sviluppare delle iniziative serie e concrete. I ragazzi devono percepire la serietà delle proposte e la concretezza dell’offerta.
Mi permetto di parlare di un’iniziativa di una nostra Associata perché la ritengo un ottimo esempio. Finmeccanica ha avviato un progetto chiamato “1.000 Giovani per Finmeccanica” (che poi sono diventati quasi 5000 giovani per Finmeccanica) offrendo loro un contratto di apprendistato. Iniziativa lodevole con un grande risultato. Ma si pensi che alla “call” avevano risposto quasi 60.000 ragazzi. Escludendo i profili non in linea con i fabbisogni delle imprese, Confindustria ha deciso di non abbandonare quelli che Finmeccanica non è riuscita ad assorbire e ne ha “adottati” 20.000. Tanti giovani ai quali, nell’ambito della Garanzia, contiamo di offrire una seria opportunità. Lo comunicheremo con strumenti più e meno istituzionali, facendo uso di tutti gli strumenti mediatici.
L’Italia è il secondo paese manifatturiero in Europa, dietro alla sola Germania. Eppure per disoccupazione giovanile siamo paragonati a Spagna, Bulgaria, Grecia, Ungheria, tra i fanalini di coda europei. Ci sono delle cause strutturali che vanno affrontate indipendentemente da Garanzia Giovani?
La disoccupazione giovanile non è soltanto figlia della crisi. Almeno, non lo è stata così come in paesi quali la Spagna e la Grecia. In Italia la disoccupazione giovanile nasce da lontano, in particolare dal mancato incontro, che ormai non avviene da più di 30 anni, tra scuola e lavoro. Basta fare ad esempio un confronto con i dati sulla Spagna: secondo l’Eurostat la differenza nel tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) tra il 2007 e il 2012 in Spagna è del 36%. In Italia del 16%. In Spagna la crisi del settore edilizio ha comportato l’uscita dal lavoro di tanti giovani. In Italia molti giovani non sono mai entrati nel lavoro. Questo perché le competenze acquisite a scuola non sempre sono state sufficienti. Ha confermato questa ipotesi l’ultimo Rapporto McKinsey “Studio Ergo Lavoro” che ha mostrato come il 40% della disoccupazione giovanile derivi proprio da un dialogo costante tra sistema educativo e mercato del lavoro. Diventano pertanto prioritarie delle policy urgenti sul nostro capitale umano: non continueremo ad essere il secondo paese manifatturiero d’Europa e a competere con la Germania se qui da noi soltanto il 4% dei giovani riesce a integrare studio e lavoro mentre da loro il 22%. Non potremo continuare a competere senza aver risolto la questione della transizione studio-lavoro che, concretamente, si affronta con più collaborazioni tra scuole e imprese, più didattica laboratoriale, più diffusione degli ITS, più alternanza studio-lavoro all’università, più dottorati industriali, più incentivi all’autoimprenditorialità giovanile. Il nostro sistema educativo va maggiormente orientato all’employability a partire dai primi anni di scuola primaria: gli studenti non dovranno più formarsi per aspirare ad un posto di lavoro, ma apprendere per aspirare a creare posti di lavoro. La differenza è sostanziale.
Alfonso Balsamo
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@Alfonso_Balsamo
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