Cosa pensa della legge di Stabilità presentata dal Premier per quanto riguarda i contenuti relativi al mercato del lavoro? Secondo lei ci sono problemi di coperture?
La legge di stabilità è disegnata secondo una filosofia da sempre gradita alla destra politica: meno spese e meno tasse per liberare la vitalità della società, quella attitudine ad intraprendere ed assumere che nonostante tutto è ancora viva se incoraggiata da regole più semplici e minore pressione fiscale sulle imprese e sul lavoro. Il lavoro è il riferimento di numerose misure anche se manca un deciso sostegno al salario variabile definito negli accordi di prossimità ai fini della maggiore produttività. Spero potremo recuperarlo nell’esame parlamentare. Non si dimentichi peraltro che la manovra agisce non solo sull’offerta ma anche sulla capacità di spesa delle famiglie. La copertura non è fondata solo sulla scommessa della spending review ma anche su clausole di salvaguardia che costituiscono un incentivo a realizzare davvero il riordino delle spese. Rimane aperta la potenziale falla di Regioni e Comuni che potrebbero scaricare le loro inefficienze sul maggiore prelievo fiscale locale. E in particolare la pressione fiscale sugli immobili è causa non secondaria della contrazione dei consumi interni.
La legge delega ha ricevuto il primo sì al Senato e, se non ci saranno sorprese dell’ultima ora, riceverà l’approvazione della Camera. Che giudizio da sul testo?
Le deleghe sono potenzialmente utili a realizzare il tanto agognato equilibrio tra flessibilità e sicurezza. Per il profilo della sicurezza il vero limite continua ad essere rappresentato dalla frammentazione istituzionale che io continuo ad auspicare possa essere superata riportando allo Stato le relative competenze fatta salva la delega alle Regioni efficienti in una logica di federalismo a geometria variabile. In ogni modo la rete, l’introduzione del fascicolo elettronico della vita attiva di ciascuno, l’interoperabilità dei sistemi tramite semplici standard, possono superare le barriere tra Regioni e tra Province. Nella delega viene peraltro affermato il principio del sostegno diretto al disoccupato tramite una dote spendibile a risultato presso il centro di orientamento, collocamento o formazione – pubblico, privato o privato sociale – liberamente prescelto. E gli ammortizzatori sociali sono estesi, ma sempre sulla base di una logica assicurativa e responsabile.
Molti si sono lamentati dell’eccessiva genericità del testo della delega. In particolare in materia di licenziamenti si accenna solo all’istituzione del nuovo contratto a tutele crescenti senza specificare se le tutele dell’articolo 18 varranno anche per i licenziamenti disciplinari, e se queste verranno mai ristabilite dopo un certo arco di tempo. Può darci qualche dettaglio sul tema? Quali sono le reali intenzioni del Governo nei decreti attuativi?
La delega non è generica perché rispetto al primitivo testo che disegnava un nuovo, tipico, contratto di inserimento articolato in due fasi, una iniziale a tutele ridotte e una seconda a regime, oggi delinea la riforma del contratto a tempo indeterminato secondo tutele continue e proporzionate all’anzianità di servizio. Ovvero monetarie. Dei licenziamenti disciplinari non si parla nella delega ed in ogni modo il Governo dichiara di volere garantire certezze ai datori di lavoro rimuovendo la discrezionalità del giudice che credo possa essere contenuta anche per i contratti in essere in sede di redazione del Testo unico semplificato. Sappiamo ormai tutti che le modifiche pasticciate all’art.18 come da legge Fornero non producono effetti in termini di maggiore propensione ad utilizzare i contratti permanenti. Accetto scommesse sul decreto delegato.
Si prevede che intervenendo solo in sede di decretazione possa essere sollevata la questione dell’eccesso di delega di fronte alla Corte Costituzionale. Secondo lei è fondato questo timore?
Per nulla. Ci confortano i precedenti e l’opinione dei principali costituzionalisti.
Il Ministro Poletti e il Premier Renzi hanno più volte annunciato che i decreti delegati elimineranno o modificheranno diverse tipologie contrattuali tra i quali i co.co.pro. Allo stesso tempo la delega prevede l’introduzione del salario minimo per alcune di queste tipologie. Come spiega questa apparente contraddizione tra dichiarazioni e testo della delega?
Dopo la terribile legge Fornero sappiamo di dover rimodulare la regolazione delle tipologie contrattuali e delle presunzioni relative alle partite Iva. Senza radicalismi e rigidità innaturali, ascoltando e leggendo le mille sfaccettature del mercato del lavoro.
Cosa risponde a chi individua nella delega un potenziale attacco alla Legge Biagi? I decreti attuativi determineranno più rigidità in ingresso nel mercato del lavoro?
Accusa ben strana dopo il massacro delle flessibilità in entrata realizzato dalla legge Fornero, allora accettata da molti tra gli attuali scettici nei confronti del Jobs Act. Possiamo solo migliorare la situazione.
Con il contratto a tutele crescenti e l’annunciata decontribuzione per i primi tre anni sembra venire a meno lo spazio per l’apprendistato professionalizzante. Che senso ha oggi questo contratto? È una scelta saggia secondo lei quella di puntare solo sulla convenienza economico-normativa dei contratti senza il valore qualitativo apportato dalla formazione in azienda?
Dobbiamo affermare la convenienza dell’apprendistato proprio in relazione al contenuto formativo e ai rapporti tra azienda e sistema educativo. Fino ad oggi il vantaggio relativo di tipo economico-normativo non ha funzionato. Si è aperto il fronte dell’integrazione tra scuola e lavoro per la quale la consapevolezza è cresciuta anche se permangono resistenze corporative. Ora più che mai dobbiamo affermare il modello duale conducendo scuole ed università ad aprirsi, organizzando una offerta educativa plurima e plurale ove le scelte hanno tutte pari dignità. Dal liceo all’apprendistato con la possibilità di “passerelle”.
Il Piano Garanzia Giovani non sta funzionando, nonostante gli annunci e i convegni in cui viene illustrato. Il problema principale è che la sfida europea di utilizzarlo per riformare le politiche attive sembra non essere stata colta. Pensa che i decreti attuativi sul tema potrebbero basarsi sulle criticità evidenziate da Garanzia giovani per costruire un sistema efficiente?
Penso proprio di si. Ritorno alla critica nei confronti delle Regioni. Quasi tutte. Permane oggi più li che nello Stato la propensione ad agire dal lato della offerta dei servizi. E non della domanda. Volendo cioè garantire strutture di collocamento e formazione a prescindere dalla loro resa.
Quali altri sono i contenuti della delega che lei reputa innovativi per il nostro diritto del lavoro?
Voglio ricordare soprattutto il Testo Unico innovativo destinato a sostituire lo Statuto dei Lavoratori con l’unica eccezione dei diritti sindacali. Abbiamo la grande opportunità di ridefinire norme semplici e certe nell’ambito del codice civile ed in stretta coerenza con il diritto comunitario già redatto in inglese. Vorrei tanto si potesse denominare “Statuto dei Lavori”, in omaggio a qualcuno che non è più tra noi e che ci manca tanto.
Francesco Seghezzi
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@francescoseghez
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Sacconi: “rimuoveremo la discrezionalità del giudice anche per i contratti già esistenti”