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L’accertamento ispettivo INL a carico di Amazon, in merito al corretto impiego di lavoratori somministrati, ha fatto giustamente notizia, considerati il “calibro” dell’azienda ispezionata e i risultati –almeno quelli riportati dai media- delle verifiche.
Dalle notizie apparse sulla stampa emerge che l’azienda abbia oltrepassato i limiti del CCNL applicato per il legittimo ricorso alla somministrazione a termine, in violazione dell’art. 31, comma 2 del d.lgs. n. 81/2015, che dispone: «La somministrazione di lavoro a tempo determinato è utilizzata nei limiti quantitativi individuati dai contratti collettivi applicati dall’utilizzatore». Le stesse notizie riferiscono del conseguente obbligo di Amazon di assumere a tempo indeterminato il personale somministrato oltre i limiti negoziali.
Sul sito dell’Ispettorato è stato pubblicato, in data 8 giugno 2018, un comunicato nel quale si precisa che il personale ispettivo ha contestato all’azienda di aver utilizzato, nel periodo da luglio a dicembre 2017, lavoratori somministrati oltre i limiti quantitativi individuati dal contratto collettivo applicato. L’INL, nello stesso comunicato, evidenzia che l’impresa ha sensibilmente superato il limite contrattuale mensile di 444 contratti di somministrazione attivabili, nel periodo suindicato, utilizzando in eccesso un totale di 1.308 contratti per lavoratori somministrati. L’Ispettorato sottolinea anche che l’iniziativa ispettiva potrà consentire la stabilizzazione degli oltre 1.300 lavoratori interinali utilizzati oltre i limiti, i quali pertanto potranno richiedere di essere assunti, a tempo indeterminato, e a far data dal primo giorno di utilizzo, direttamente dalla società Amazon.
Tuttavia, precisato che occorrerebbe esaminare il Verbale ispettivo per definire compiutamente la vicenda sul piano giuridico, in merito si possono formulare talune osservazioni che mutano, almeno parzialmente, il quadro sin qui descritto.
In primis, nel caso di superamento dei limiti di contingentamento contrattuali, l’obbligo di assunzione non discende automaticamente dalle risultanze ispettive, ma è necessaria l’attivazione in giudizio dei singoli lavoratori interessati, ai sensi dell’art. 38, comma 2 del d.lgs n. 81/2015. Pertanto, come pure emerge dal comunicato INL menzionato, la “stabilizzazione”, se e quando avverrà, richiederà l’azione giudiziale dei prestatori e la conseguente pronuncia del giudice. Certamente, l’intervento dell’organo ispettivo costituisce un notevole impulso all’iniziativa giurisdizionale dei lavoratori, ma di per sé non è sufficiente a far sorgere l’obbligo di assunzione da parte dell’azienda.
In secondo luogo, c’è un profilo che dalle notizie riportate dai media non emerge affatto, che consiste nell’applicabilità alla fattispecie di una disposizione, trascurata per la verità anche in dottrina, l’art. 40 del medesimo d.lgs. n. 81. Tale disposizione prevede – attraverso la deprecabile tecnica del rinvio “in bianco” – una sanzione amministrativa da euro 250 a 1.250, per la violazione di una serie di precetti, tra cui quello contenuto nel menzionato art. 31, comma 2 del d.lgs. n. 81 cit., in relazione al superamento dei limiti quantitativi per l’utilizzo di lavoratori somministrati a termine.
Un deficit di tassatività e sufficiente determinatezza della fattispecie emerge con evidenza ove si consideri che l’art. 40 cit. sanziona genericamente la violazione dell’art. 31 comma 2 cit., senza specificare se questa è riferita alla condotta di utilizzazione di ogni singolo lavoratore somministrato, ovvero al fatto in sé dell’utilizzazione, a prescindere dal numero di prestatori coinvolti. Ovviamente, il rilievo pratico della questione è notevole, giacché nella prima ipotesi la somma sanzionatoria andrebbe moltiplicata per il numero dei lavoratori, mentre nella seconda si applicherebbe una sola volta.
Da notare che la sanzione amministrativa è a carico del solo utilizzatore, nel caso di specie quindi della sola Amazon, non anche delle agenzie per il lavoro che hanno somministrato il personale.
Al di là del caso mediatico e all’osservato difetto di tassatività, la figura di illecito in questione suscita molti dubbi ermeneutici e sistematici.
In primo luogo, in relazione al principio di legalità delle sanzioni – cfr. art. 1 della legge 689/81 – la fattispecie è strutturata secondo lo schema contratto-precetto/legge-sanzione, ove la legge punisce l’inosservanza di una regola di condotta stabilita dalla contrattazione collettiva. Tuttavia, tale fattispecie si differenzia dal modello normativo ordinario di combinazione della fonte primaria con quella pattizia, che contempla l’applicazione del precetto legislativo in mancanza di quello negoziale, ad es. in tema di lavoro straordinario art. 4 del D.lgs. n. 66/2003, laddove è imposto il limite annuale di 250 ore, salva diversa previsione della clausola collettiva. Invero, nell’ipotesi in esame non è previsto alcun ruolo della fonte primaria in merito alla determinazione della condotta illecita, essendo il rinvio normativo riferito alle previsioni contrattuali, senza alcuna disposizione primaria “interposta”. Ciò significa che la stessa esistenza dell’illecito è subordinata alle clausole autonome, determinando un problema di compatibilità con il principio di riserva di legge, dal momento che la figura di illecito è totalmente rimessa ad una volontà delle parti collettive che finisce per prevalere sull’interesse pubblico alla repressione della violazione[1]. La questione ha notevole rilevanza pratica, poiché non mancano contratti sprovvisti di limiti quantitativi nel ricorso al lavoro somministrato, come, ad esempio, quello del comparto metalmeccanico industria.
La criticità può riguardare il livello costituzionale, per violazione almeno degli artt. 23 e 25 della Carta, ritenuti ordinariamente gli ascendenti sistematici del principio di riserva di legge delle sanzioni amministrative.
Emerge un’ulteriore criticità relativamente a tale ipotesi sanzionatoria, riguardante il profilo della diffusione dei contratti collettivi e della loro tendenziale massima “copertura” dei settori produttivi e della platea di lavoratori. Invero, la sanzionabilità della violazione delle sole previsioni negoziali costituisce un chiaro disincentivo all’applicazione del contratto collettivo da parte dell’utilizzatore, il quale, evitando la detta applicazione, andrebbe esente dal trattamento punitivo.
In definitiva, la disposizione di cui all’art. 40 cit. costituisce un esempio di disciplina sanzionatoria approssimativa in un settore rilevante dei rapporti di lavoro.
Carmine Santoro
Funzionario Ispettorato nazionale del lavoro
Adapt Professional Fellow
[1] Sul rapporto tra riserva di legge e previsioni contrattuali collettive nel diritto sanzionatorio sia consentito il rinvio a C. Santoro, La contrattazione collettiva nel diritto sanzionatorio del lavoro, ADAPT University press, 2018, pagg. 76 ss.; per i profili inerenti alla somministrazione si vedano pagg. 140 ss..
* Il presente contributo è frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non impegna l’Amministrazione di appartenenza.