La certificazione dei contratti concernenti attività da svolgersi all’interno di luoghi confinati o a rischio di inquinamento ai sensi del DPR n. 177/2011 – FAQ

Il DPR n. 177/2011, rendendo obbligatoria la certificazione dei contratti di appalto e subappalto, oltre che dei contratti di lavoro “non standard”, da eseguirsi all’interno di luoghi confinati o a rischio di inquinamento, ha sollevato diversi dubbi applicativi: di seguito sono riportate, pertanto, alcune delle domande poste con maggior frequenza alla Commissione di certificazione istituita presso il Centro Studi Internazionali DEAL del Dipartimento di Economia Marco Biagi – Università di Modena e Reggio Emilia, a cui si è tentato di dare risposta.

 

D. Cosa si intende per “contratto certificato”? Quali contratti devono essere obbligatoriamente certificati, ai sensi del DPR n. 177/2011?

 

R. Per “contratto certificato” si intende il contratto che è stato oggetto di apposita procedura di certificazione conclusasi positivamente, ossia con il rilascio di un provvedimento di accoglimento della relativa istanza.

Devono essere obbligatoriamente certificati, ai sensi del DPR n. 177/2011, i seguenti contratti, ove concernenti attività anche da svolgersi all’interno di luoghi confinati o a rischio di inquinamento:

A)    contratti di lavoro: secondo una interpretazione coerente con il tenore letterale della norma, è necessario certificare i contratti di lavoro non standard (non a tempo indeterminato) fino ad avere almeno il 30% dei lavoratori con contratto di lavoro standard o, in alternativa, certificato. In ogni caso, vista le finalità sottese all’emanazione del DPR n. 177/2011, appare opportuna la certificazione di tutti i contratti di lavoro non standard (ovviamente relativi ai lavoratori che operano concretamente all’interno del luogo confinato);

B)    contratti di appalto/subappalto: sulla base della interpretazione letterale della norma, sembrerebbe obbligatoria la certificazione di tutti i contratti di appalto. Appare però maggiormente coerente con la ratio del DPR n. 177/2011 limitare l’obbligo di certificazione dei contratti di appalto all’ipotesi in cui si verifichino interferenze tre le organizzazioni del committente e dell’appaltatore nel luogo confinato. Al di fuori di tale ipotesi, la certificazione non risulterebbe dunque obbligatoria, sebbene opportuna. Nessun dubbio, invece, sulla obbligatorietà della certificazione del contratto di subappalto per attività da svolgersi, in toto o in parte, all’interno di un luogo confinato.

 

D. Quale autorità o istituzione certifica i contratti?

 

R. Gli organi abilitati a certificare i contratti relativi ad attività da svolgersi all’interno di luoghi confinati o a rischio di inquinamento sono individuati dagli artt. 76 e 77 del d.lgs. n. 276/2003. In particolare, sono:

  • gli enti bilaterali;
  • le direzioni territoriali del lavoro e le province;
  • le università pubbliche e private, comprese le fondazioni universitarie;
  • il Ministero del lavoro e delle politiche sociali – direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro;
  • i consigli provinciali dei consulenti del lavoro.

Le commissioni costituite presso le università e il Ministero hanno competenza nazionale, le altre soltanto settoriale/territoriale.

 

D. Come funziona la procedura di certificazione? Quanto tempo decorre tra la presentazione della istanza e la relativa certificazione?

 

R. Ogni commissione ha un proprio regolamento che ne disciplina l’attività, tenendo conto delle norme di legge in materia.

In linea generale, occorre inviare alla Commissione una istanza congiunta (sottoscritta, pertanto, da ambo le parti del contratto oggetto di richiesta di certificazione), oltre ai documenti che dovranno essere oggetto di valutazione.

Anche il tempo di “lavorazione” delle posizioni e di emissione del provvedimento di certificazione dipende dalla commissione incaricata, considerato che il DPR n. 177/2011 non si occupa della tempistica del procedimento di certificazione e che l’art. 78, comma 2, lett. d) del d.lgs. n. 276/2003 prevede il termine (meramente ordinatorio) di 30 giorni dal ricevimento della istanza per la conclusione del procedimento di certificazione.

La Commissione dell’Università di Modena e Reggio Emilia, considerato che l’ordinaria tempistica della procedura di certificazione rischia di essere sostanzialmente inconciliabile con lo svolgimento dei lavori di cui ai contratti oggetto di certificazione, talvolta improcrastinabili in quanto caratterizzati da esigenze di ripristino e salvaguardia degli impianti e della produzione, o da esigenze di sicurezza del lavoro, ha adottato una procedura speciale (in questo senso l’art. 23 bis del Regolamento), in modo tale da poter emettere, nel giro di qualche giorno ed esaminata la documentazione rimessa, un provvedimento di carattere temporaneo, abilitante allo svolgimento delle attività all’interno dei luoghi confinati o a rischio di inquinamento.

Il provvedimento temporaneo evita che la procedura di certificazione si traduca in un ostacolo burocratico allo svolgimento di attività all’interno del luogo confinato o a rischio di inquinamento.

Al tempo stesso, tale provvedimento “interlocutorio” consente alla Commissione di procedere con ulteriori verifiche istruttorie (come lo svolgimento di un sopralluogo, ove tecnicamente e temporalmente possibile, l’acquisizione di dichiarazione delle parti piuttosto che di documenti originariamente non trasmessi ma dei quali si può presumere l’esistenza – come ad esempio il possesso di un DURC in corso di validità –) funzionali, poi, all’emissione del provvedimento definitivo.

 

D. Quando va certificato il contratto? Prima o dopo la stipula? E se può essere certificato dopo, deve contenere una clausola di efficacia subordinata alla sua certificazione?

 

R. E’ opportuno che il contratto venga certificato successivamente alla sua stipula.

Dal momento in cui le parti identificano il luogo come confinato o a rischio di inquinamento, la certificazione del contratto costituisce un presupposto per la sua efficacia, considerato che, in mancanza, non è possibile operare per il subappaltatore all’interno del luogo confinato stesso. Ne consegue la necessità di sottoporre il contratto alla procedura di certificazione antecedentemente all’inizio della sua esecuzione.

Una volta evidenziata, nel documento contrattuale, la possibilità che l’attività si svolga all’interno di un luogo confinato o a rischio di inquinamento, non appare necessaria l’introduzione di una apposita clausola che ne subordini l’efficacia alla sua certificazione, sebbene questa sia da ritenersi opportuna, anche al fine di mettere a conoscenza il subappaltatore dell’obbligo di certificazione.

 

D. Chi è tenuto a far certificare il contratto? La stazione appaltante o l’impresa affidataria specializzata?

 

R. L’istanza di certificazione deve essere presentata congiuntamente dalle parti firmatarie del contratto oggetto della richiesta di certificazione.

In questo senso, si deve ritenere che i principi stabiliti all’articolo 78, comma 1, d.lgs. n. 276/2003 in tema di certificazione dei contratti valgano anche con specifico riferimento alle certificazioni obbligatorie ai sensi del DPR n. 177/2011.

Nei fatti, gli oneri di comunicazione della documentazione necessaria ai fini della procedura possono essere gestiti anche da parte di una sola azienda.

Nel caso in cui l’impresa esecutrice dei lavori da svolgersi all’interno del luogo confinato sia in subappalto, l’onere di certificazione grava su questa nonché sul subappaltante e non è quindi necessario un intervento diretto del committente principale, il quale comunque è tenuto a vigilare affinché il contratto di subappalto ottenga la prescritta certificazione, ai sensi dell’art. 2, comma 2, DPR n. 177/2011.

Se per “stazione appaltante” si intende in senso tecnico l’Ente che, ai sensi del c.d. codice dei contratti pubblici (art. 3, comma 6, d.lgs. n. 163/2006) agisce come committente principale (ente pubblico o equiparato), la medesima dovrà fare istanza di certificazione solo qualora essa stessa sia parte del contratto da certificare.

 

D. Cosa si aspetta di verificare il certificatore sul contratto d’appalto (ragion per cui se non lo verifica non emette la relativa certificazione)? Forse che il committente principale abbia precisato i requisiti di specializzazione che deve possedere l’impresa affidataria esecutrice e magari le particolari modalità di esecuzione, che si devono rifare alla legge e alle linee guida regionali in materia?

 

R. Nel caso l’istanza di certificazione inerisca un contratto di appalto o di subappalto, vengono fatti, sostanzialmente, due tipi di verifiche.

La prima di queste attiene alla tipologia contrattuale, il che significa che la commissione valuta che il contratto oggetto di certificazione sia effettivamente un contratto di (sub)appalto e non, ad esempio, una sostanziale (e vietata) somministrazione irregolare di lavoratori.

A questa valutazione sulla tipologia contrattuale se ne aggiunge una seconda sulla qualificazione dell’impresa esecutrice ad operare nel luogo confinato, tenuto conto delle prescrizioni previste all’interno del DPR n. 177/2011.

 

D. Si può far certificare un unico “contratto tipo” oppure occorre certificare tutti i contratti specifici, uno per uno?

 

R. La certificazione deve concernere la specifica attività all’interno del luogo confinato.

È bene, pertanto, che ogni contratto venga sottoposto alla procedura di certificazione.

Nel caso in cui vi sia un contratto “quadro” seguito da ordinativi specifici, la certificazione dovrà concernere, pertanto, sia il contratto quadro, sia i singoli ordinativi che vanno ad integrarlo con riferimento ad elementi determinanti ai fini della valutazione sulla complessiva operazione (tipologia dell’intervento, durata e corrispettivo previsto).

La Commissione dell’Università di Modena e Reggio Emilia solitamente valuta con le imprese la soluzione procedurale ottimale al fine sia di raggiungere il risultato sostanziale richiesto dalla normativa, sia di evitare un eccessivo appesantimento burocratico delle procedure di certificazione.

 

D. Se l’impresa affidataria non è specializzata e subappalta le lavorazioni in luoghi confinati ad altra impresa specializzata, cosa si fa? Deve essere certificato solo oppure anche il subcontratto? E a chi spetta l’incombenza di far certificare il subcontratto? All’impresa affidataria?

 

R. Si ritiene che l’obbligo di certificazione concerna il solo subcontratto (subappalto), considerato che è la società esecutrice di tale contratto che, in ultima analisi, svolge le attività all’interno del luogo confinato e deve essere dunque posta sotto la lente di ingrandimento anche al fine di verificare la sua qualificazione ai fini ed ai sensi del DPR n. 177/2011.

Alla luce del riferimento alla certificazione del contratto di appalto “principale” di cui all’art. 2, comma 1, lett. c), deve però intendersi che qualora committente (principale) e appaltatore operino entrambi (con interferenza) in un luogo confinato, allora anche il contratto di appalto “principale” (e non solo l’eventuale subappalto) debba necessariamente essere certificato. L’attivazione della procedura di certificazione è a carico di entrambe le parti, con istanza congiunta.

 

D. La dismissione di serbatoi interrati (normalmente cisterne in ferro) contenenti gasolio, a servizio delle centrali termiche, è un’attività che viene svolta da ditte specializzate e in possesso delle necessarie autorizzazioni, nel rigoroso rispetto della norma CEI 31-35 del 1999 “Guida alla classificazione dei luoghi pericolosi”. Al termine dell’intervento, la certificazione di avvenuta bonifica va inviata a Provincia, Comune, Arpa e USL. La cisterna è senz’altro un luogo confinato, ma data la natura dell’attività di bonifica e le certificazioni che deve possedere l’esecutore, si applica il DPR n. 177/2011 anche in questi casi?

 

R. Sì, il DPR n. 177/2011 si applica sulla base, oggettiva, della tipologia contrattuale adottata. Ne consegue che non vi sono esenzioni ricollegate ad eventuali certificazioni di qualità o abilitazioni in possesso dell’impresa esecutrice, comunque utili per dimostrare le caratteristiche dell’impresa e dunque per ottenere anche con maggiore tempestività il rilascio della certificazione.

 

D. Se una azienda appalta le manutenzioni ad una Società Global Service (che agisce in maniera autonoma) la quale, a sua volta, subappalta le attività da svolgersi in spazi confinati (ad esempio pulizia vasca antincendio, pulizia fosse biologiche, vasche di prima pioggia, ecc…), come ci si comporta?

 

R. Ogni volta che l’attività all’interno del luogo confinato o a rischio di inquinamento viene effettuata da parte di una impresa esecutrice sulla base di un contratto di subappalto, questo deve essere certificato.

Nel caso di cui alla domanda, non v’è dubbio, dunque, che il contratto tra la global service ed il subappaltatore che esegue i lavori nei luoghi confinati debba essere certificato e l’indagine verterà sulla qualificazione di quest’ultima impresa.

Nel caso il contratto tra la global service ed il subappaltatore sia strutturato nella forma dell’accordo quadro integrato dalla sottoscrizione di specifici ordinativi, allora la certificazione dovrà concernere sia l’accordo quadro, sia gli specifici ordinativi che lo vanno a completare ed a definire, tra l’altro, lo specifico luogo confinato o a rischio di inquinamento oggetto delle attività da parte del subappaltatore.

 

D. In un contratto di Global Service, se la Società Global Service affida interventi ad altre ditte, si deve intendere sub appalto da parte della committente o appalto diretto da parte della Società Global Service?

 

R. L’affidamento di servizi o opere da parte di una c.d. società di global service è irrilevante ai fini dell’inquadramento giuridico del contratto che le parti pongono in essere. L’operazione complessiva di cui alla domanda, da un punto di vista giuridico, va inquadrata nell’alveo del contratto di subappalto che, in quanto tale, deve essere certificato.

 

D. In caso di affidamento da parte della Società Global Service a ditta sub appaltatrice (o eventualmente direttamente appaltatrice nei suoi confronti), il Rappresentante del Datore Committente è da individuarsi nell’azienda committente o nella Società Global Service?

 

R. L’art. 3, comma 2, del DPR n. 177/2011 fa riferimento all’impresa committente, che è da individuarsi nella committente principale.

 

D. Sapendo che la Società Global Service dovrà indirettamente (perché se direttamente non ci sono dubbi) eseguire attività in spazi sospetti inquinamento o confinati, è comunque opportuno che l’azienda committente designi il proprio Rappresentante del Datore Committente nei confronti della Società Global Service (e successivamente la Società Global Service nei confronti dell’esecutrice)?

 

R. Si veda la risposta precedente. L’azienda committente è tenuta a designare il proprio rappresentante.

 

D. È obbligatorio certificare un subappalto nel caso in cui l’importo per il lavoro affidato sia inferiore al 2% rispetto al complessivo?

 

R. Si. La domanda, verosimilmente, nasce dal fatto che, alla eventuale applicazione della disciplina del c.d. codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163/2006), consegue anche l’applicazione dell’art. 118, comma 11, nel quale si prevede che «Ai fini del presente articolo è considerato subappalto qualsiasi contratto avente ad oggetto attività ovunque espletate che richiedono l’impiego di manodopera, quali le forniture con posa in opera e i noli a caldo, se singolarmente di importo superiore al 2 per cento dell’importo delle prestazioni affidate o di importo superiore a 100.000 euro e qualora l’incidenza del costo della manodopera e del personale sia superiore al 50 per cento dell’importo del contratto da affidare».

A ben vedere, però, il summenzionato comma 11 è norma di carattere speciale valevole esclusivamente nell’ambito di applicazione dell’articolo in questione, senza che ciò possa avere alcun contenuto di tipo qualificatorio a livello generale.

Pertanto, un contratto di subappalto, anche nell’ambito dell’applicazione del d.lgs. n. 163/2006, deve essere sottoposto alla procedura di certificazione ai sensi dell’art. 2, comma 2, DPR n. 177/2011, prescindendo certamente la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori da valutazioni di carattere meramente quantitativo/economico sull’attività da svolgersi all’interno di un luogo confinato o a rischio di inquinamento.

 

D. Se le attività vengono affidate da parte di un Consorzio, non è obbligatoria alcuna certificazione visto che non vi è alcun contratto di subappalto?

 

R. Da un punto di vista formale, la soluzione appare corretta.

Da un punto di vista sostanziale (particolarmente rilevante nel caso di specie, visto che si tratta di salvaguardare la sicurezza – quando non addirittura la vita! – dei lavoratori che eseguono attività pericolose), si ricorda, però, come un orientamento della giurisprudenza di legittimità estenda la solidarietà prevista per il contratto di appalto anche al caso di lavori eseguiti da una società consorziata in considerazione del fatto che il negozio di affidamento, sebbene non assimilabile sul piano giuridico-formale ad un subappalto, costituisce un sostanziale subappalto.

Per cautela, dunque, si consiglia di procedere alla certificazione anche del negozio di affidamento tra Consorzio ed Impresa consorziata.

 

D. Se, anziché stipulare un contratto di subappalto, si procede mediante la costituzione di una ATI, è necessario certificare il contratto?

 

R. Anche in questo caso è importante considerare il profilo sostanziale, posto che vi è il rischio che l’ATI, specie se di tipo verticale (che si riscontra quando vi è una impresa capogruppo che svolge la categoria di attività principali mentre altre imprese svolgono attività di carattere secondario scorporabili), venga costituita al mero fine di aggirare la disciplina di cui al DPR n. 177/2011 ed in particolare proprio l’obbligo connesso alla certificazione del contratto di subappalto.

Una presunzione di tal fatta potrebbe emergere laddove le parti nei rapporti pregressi abbiano stipulato una pluralità di contratti di subappalto, talché si potrebbe dedurre che le stesse avrebbero seguitato a conferire tale veste giuridica ai rapporti inter partes se non fosse stato emanato l’art. 2, comma 2, del DPR n. 177/2011 che prevede, per l’appunto, l’obbligo di certificazione dei contratti di subappalto.

Sulla equiparazione, peraltro, del modello organizzativo tramite ATI al consorzio (e per il tramite di questo all’appalto) si veda l’atto 22 luglio 2010 dell’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici.

Per cautela, dunque, si consiglia di procedere anche alla certificazione del contratto di appalto in favore dell’ATI, con allegazione anche del relativo atto di costituzione dell’ATI stessa, al fine di consentire alla commissione di verificare la qualificazione dell’impresa, partecipante all’ATI, che andrà a svolgere le attività all’interno del luogo confinato o a rischio di inquinamento.

Infine, si precisa che è invalsa recentemente, anche negli appalti privati, la prassi di costituire ATI. La prassi non appare illegittima sebbene la normativa sulle ATI sia contenuta nel codice dei contratti pubblici, sulla base del principio generale contenuto nell’art. 1322, comma 2, c.c.. Tuttavia, particolarmente in questo specifico caso l’ipotesi dell’applicazione della norma del DPR n. 177/2011 sull’obbligo di certificazione del subappalto appare ancor più ragionevole sulla base del principio della “sussunzione attraverso la causa”.

 

Gabriele Bubola

ADAPT Professional Fellow

Membro della Commissione di certificazione DEAL

@gbubola

 

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