I servizi di individuazione, validazione e certificazione delle competenze sono da tempo ritenuti prioritari dalle istituzioni europee per facilitare le transizioni occupazionali e sono ingredienti immancabili di tutti i recenti provvedimenti in materia di politiche del lavoro anche nel nostro Paese, sebbene alle dichiarazioni di principio non abbia ancora fatto seguito una concreta implementazione del sistema. Il Decreto n. 13 del 16 gennaio 2013 ha, per la prima volta nel nostro Paese, istituito un sistema nazionale di certificazione delle competenze, con l’obiettivo (non ancora raggiunto) di mettere al centro di un moderno sistema di apprendimento permanente la persona e le sue competenze, restituendo in particolare dignità agli apprendimenti non formali ed informali e creando ponti tra formazione, lavoro e altre attività che concorrono a formare una persona.
Si è già sollevato in passato qualche dubbio rispetto alla capacità di un sistema molto rigido e standardizzato – come quello istituito dal Decreto – di raggiungere tale obiettivo e sulla capacità del modello di governance adottato di coinvolgere realmente tutti gli attori interessati (vedi U. Buratti, L. Casano, L. Petruzzo, Certificazione delle competenze. Prime riflessioni sul decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13, ADAPT Labour Studies e-Book series n. 6/2013, ADAPT University Press).
La principale criticità che emerge è il rischio che il sistema costruito a tavolino dal Legislatore, seguendo procedure standardizzate a livello europeo, non riesca a comunicare con le imprese, i lavoratori, le organizzazioni formative. Rischio che può essere scongiurato solo costruendo un linguaggio comune a partire da sistemi di inquadramento del personale efficienti e moderni, basati su una logica per competenze. Questi, opportunamente costruiti sulla base della realtà del mercato del lavoro, dovrebbero rappresentare il primo punto di riferimento per costruire procedure di certificazione efficienti, in quanto basate su elementi riconoscibili e attendibili.
La mancanza di adeguati standard professionali di riferimento e la farraginosità delle procedure rappresentano le principali incongruenze tra questo sistema con il sistema di certificazione delle competenze a suo tempo ipotizzato dal Legislatore del Testo Unico dell’Apprendistato (L. Casano, Certificazione delle competenze. Quale valore nell’apprendistato? in Bollettino ADAPT del N. 4/2014).
Simili criticità sono state rilevate sul fronte dei tirocini (U. Buratti, Linee Guida sui tirocini e certificazione delle competenze: un collegamento ancora da costruire, in Bollettino ADAPT, n. 6/2013). Più in generale sembra mancare una visione di sistema, indispensabile per il successo dell’impianto, come dimostra l’analisi di un ulteriore ambito in cui occorre chiarire le modalità operative di funzionamento del sistema di certificazione delle competenze: quello delle professioni non regolamentate.
L’importanza di certificare le competenze in quest’ambito è legata soprattutto all’assenza di titoli o requisiti specifici, che rende opaco il mercato di riferimento. È emersa inoltre la necessità di aumentare la trasferibilità e la riconoscibilità delle competenze di questi professionisti.
La soluzione approntata dalla Legge n.4/2013 − che ha disciplinato le professioni non organizzate in Ordini o Collegi e ha previsto l’autoregolamentazione volontaria per la qualifica delle figure professionali – è prevedere che una professione non organizzata possa essere qualificata anche attraverso la certificazione delle figure professionali, rilasciata da un organismo accreditato (dall’ente unico di accreditamento per gli organismi di certificazione Accredia) in conformità alla norma UNI definita per quella specifica attività. E’ bene ricordare come secondo l’art. 1 della Legge n.4/2013, per «professione non organizzata in ordini o collegi», si intende l’attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo.
Sono molte le attività di più recente configurazione, diverse tra di loro e diffuse soprattutto nel settore dei servizi, che presentano queste caratteristiche, da ciò la necessità di normare il settore al fine di garantire qualità agli utenti e certificare la professionalità dei lavoratori.
Da ciò anche il diffondersi, negli ultimi anni, di norme tecniche UNI relative a professioni non regolamentate, definite in accordo con le associazioni professionali di riferimento. Sulla base di tali norme (che definiscono conoscenze, abilità, competenze, titoli o requisiti di esperienza di ogni profilo professionale) ai richiedenti può essere rilasciato – previa verifica di parte terza, cioè di un ente certificatore accreditato ad Accredia – un certificato di competenze /di professionalità, riconosciuto all’interno del settore e a livello internazionale come indicatore di qualità del servizio erogato.
Ciò è coerente con quanto previsto dalla Legge n. 92/2012, che all’art. 4 comma 59 prevedeva che con riferimento alle certificazioni di competenza fosse considerato anche “il ruolo svolto dagli organismi di certificazione accreditati dall’organismo unico nazionale di accreditamento ai sensi del regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008”. L’articolo 4, comma 5, del Decreto n.13 del 16 gennaio 2013 sulla certificazione delle competenze, specifica, infatti, che gli enti titolati ad erogare il servizio, nel caso in cui lo eroghino in conformità alle norme tecniche UNI, dovranno essere in possesso dell’accreditamento rilasciato da Accredia.
Come dire che solo gli organismi in possesso (anche) dell’accreditamento suddetto potranno emettere certificazioni relative ai profili normati secondo una norma UNI.
Lo schema personale di Accredia (PRS) è adottato al momento da circa 30 organismi di certificazione, ma è uno degli schemi con il maggiore trend di crescita, poiché dopo la promulgazione della Legge n. 4 del 2013 sono aumentate le richieste di accreditamento in diversi settori.
Poiché, secondo quanto stabilito dal decreto Fornero, una volta a regime il sistema nazionale saranno oggetto di certificazione unicamente le competenze riferite a qualificazioni ricomprese in un Repertorio unico nazionale (costituito da tutti i repertori pubblicamente riconosciuti), si deve presupporre che anche le professioni certificate secondo le norme UNI dovranno essere ricondotte al repertorio unico, e dunque che le certificazioni prodotte saranno compatibili e interoperabili con il sistema nazionale.
Basta però uno sguardo alla lista delle norme UNI sulle professioni approvate negli ultimi anni a sollevare dei dubbi. Manutentore, saldatore, comunicatore, fotografo, operatore della logistica, figure operanti nel settore ICT, sono solo alcuni dei profili oggetto di normazione UNI che sono presenti anche in repertori regionali (a titolo esemplificativo si fa qui riferimento al Quadro Regionale degli Standard Professionali di Regione Lombardia).
Ci si chiede, dunque, come si risolverà tale sovrapposizione nel momento in cui sarà creato un Repertorio unico delle figure professionali? Entrambi i certificati (quello “normato” e quello regionale) saranno riferiti a un unico profilo nazionale, ad esempio di saldatore? Avranno lo stesso valore? O si corre il rischio di creare saldatori di serie A (che investono in un certificato conforme agli standard UNI, quindi riconosciuto nel settore e a livello internazionale) e saldatori di serie B (che hanno confidato nella capacità dell’attore pubblico di creare standard altrettanto condivisi a livello di settore e internazionale), svuotando di fatto di significato la certificazione pubblica ogni volta che un profilo professionale è normato?
E’ bene sottolineare come, sebbene il contenuto dell’operazione sia lo stesso (certificazione di competenze relative all’ambito del lavoro) gli obiettivi dei due sistemi (la certificazione del personale su norme UNI e la certificazione delle competenze prevista dal Decreto Fornero) non coincidono perfettamente, essendo lo scopo della normazione UNI soprattutto assicurare la qualità dei servizi e il rispetto di determinati standard professionali all’interno di un settore, mentre la certificazione delle competenze istituita dal Decreto Fornero vuole in primo luogo sancire il diritto di ogni persona a vedersi riconosciute le competenze maturate in tutti i contesti. Da ciò i dubbi sulle modalità concrete attraverso cui i due sistemi saranno resi compatibili, nel rispetto dei principi sanciti dalle Legge 92 del 28 giugno 2012.
Tali dubbi spingono ancora una volta a riflettere sui rischi derivanti dalla moltiplicazione di standard, repertori, certificati, titoli e procedure riferiti ad ambiti diversi, ma che si pretende di correlare agganciandoli ad un unico contenitore.
Stretta tra un sistema pubblico ancora ai nastri di partenza e sistemi satellite che procedono con logiche proprie, la certificazione delle competenze in Italia è ancora un miraggio per la maggior parte delle persone.
Lilli Casano
ADAPT Research Fellow
@lillicasano
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La certificazione delle competenze per le professioni non ordinistiche: prospettive e criticità