La chiave della prossimità per il mondo del lavoro*

ADAPT – Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro

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Bollettino ADAPT 4 settembre 2023 n. 29
 
È da anni che parliamo di un mondo del lavoro sempre più instabile e frammentato sia nelle forme giuridiche per il suo utilizzo sia nei mutevoli contenuti professionali che vengono richiesti ai lavoratori. Una trasformazione che ci pare espressione viva di quell’individualismo teorico che, nelle dinamiche dell’economia e della società, si concretizza in continue transizioni professionali che vengono esaltate soprattutto come possibilità per il lavoratore di costruire da solo e con le proprie forze il proprio destino.
 
Non stupisce in proposito come dibattito pubblico sui temi del lavoro sia sempre più refrattario a mettere al centro della riflessione quella dimensione di condivisione, di comunità e di relazione a maggior ragione quando essa viene espressa dagli attori della rappresentanza e, più in generale, dai corpi intermedi di cui oggi si mette in dubbio non solo l’importanza ma anche l’utilità. Il crescente disagio sociale, si affronta così ribadendo le colpe dei singoli (si pensi allo sbrigativo superamento del reddito di cittadinanza) o anche attraverso un supposto (e utopico) ruolo salvifico dello Stato che avrebbe l’onere di farsi carico di tutte le disfunzioni socio-economiche. Non è certo una legge che, da sola, può contrastare la diffusione del divorzio tra vita e lavoro, che ha alla sua base la perdita non solo di identità professionali e vite lavorative ma, prima ancora, del senso del lavoro. E neppure bastano i buoni sentimenti e l’esortazione a non cedere allo sconforto.
 
Quella che viviamo è infatti una crisi sociale prima ancora che economica anche perché sono venuti meno – o hanno perso autorevolezza – quelle istituzioni che, nel secolo scorso, si sono fatte carico di coniugare lo sviluppo economico con le ragioni della giustizia sociale e cioè gli attori della rappresentanza a cui si deve la nascita e lo sviluppo di quel nobile modello europeo di economia sociale di mercato che progressivamente si sta scolorendo. Eppure il possibile ruolo dei corpi intermedi lo si intuisce proprio dalla difficoltà dei partiti politici nell’affrontare le principali problematiche del lavoro, con soluzioni calate dall’alto senza vero ancoraggio nella società e in quegli intermediari che possono trovare la giusta mediazione tra i tanti interessi in gioco in un contesto di risorse scarse.
 
Non mancano certo le colpe di chi negli anni ha sempre più interpretato il suo ruolo istituzionale in chiave burocratica ovvero mutuando il centralismo tipico della politica partitica, dimenticando di essere soggetto di rappresentanza, e quindi collettore di identità e bisogni che vengono dal basso, laddove le cose accadono, e non solo ricaduta di analisi d’apparato. A ben vedere non stiamo dicendo nulla di nuovo. Una tradizione che vede nei corpi intermedi, nel principio di sussidiarietà, nel ruolo che la prossimità può avere nel conoscere i problemi e avanzare soluzioni concrete e pragmatiche viene da lontano, ma pare, purtroppo, dimenticata. Eppure è da qui che si deve ripartire se si vuole davvero governare una trasformazione del lavoro che, se colpisce i gruppi più deboli, di certo non salva neppure chi vive isolato nel proprio cieco egoismo come bene insegna la questione ambientale.
 
Francesco Seghezzi
Presidente Fondazione ADAPT

Scuola di alta formazione in Transizioni occupazionali e relazioni di lavoro

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Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

Coordinatore scientifico ADAPT

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*pubblicato anche su Avvenire, 20 agosto 2023

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