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Bollettino ADAPT 25 novembre 2024, n. 42
Il XXII Rapporto di monitoraggio sull’apprendistato in Italia, elaborato dall’INAPP, restituisce una fotografia circa lo “stato di salute” della componente formativa pubblica relativa all’apprendistato professionalizzante, finalizzata all’acquisizione di competenze di base e trasversali. Dallo stesso emerge, a riguardo, che nel 2022 il numero di apprendisti iscritti alle attività di formazione pubblica sono nel complesso 120.228, tra i quali coloro che hanno un contratto di apprendistato professionalizzante sono 110.470, registrandosi una riduzione di circa il 25% rispetto al 2021 relativa in particolare il Centro (-30,7%), seguito dal Nord (-24,4%) e dal Mezzogiorno (-17,3%).
Il tasso di copertura complessivo, ossia il rapporto tra il numero degli apprendisti inseriti nei percorsi di formazione pubblica e quello degli apprendisti occupati (numero medio annuo dei rapporti di lavoro) è pari al 21,1%, risultando solo un apprendista su cinque effettivamente iscritto alle attività formative. Si tratta di tassi, che, come lo stesso INAPP denuncia, riflettendo «prevalentemente quelli registrati per l’apprendistato professionalizzante, denotano un uso distorto di questa tipologia contrattuale», che rintraccia nella componente formativa l’elemento che «qualifica la causa stessa del contratto».
Il dato citato risulta ancora più evidente, considerando gli apprendisti con contratto professionalizzante iscritti alle attività di formazione per territorio e ripartizione geografica. La maggior parte di questi, nel 2022, in coerenza con quanto rilevato per gli anni precedenti, si concentra, infatti, nelle regioni del Nord, dove l’offerta formativa pubblica è più consolidata: essi sono 73.801, ossia poco più dei due terzi del numero complessivo, rappresentando il 66,8% del totale (il 66,6% nel 2021), mentre nel Mezzogiorno, gli iscritti sono il 12.667, l’11,5% del totale. La particolare gravità di questa situazione appare tangibile se si legge il dato che il Rapporto restituisce in termini di valori assoluti: Sicilia, Basilicata e Calabria, contano, infatti, apprendisti iscritti solo nel 2022, pari rispettivamente a 92, 87 e 75, mentre nel biennio precedente non hanno finanziato attività formative, pur risultando attivi, nei relativi territori, contratti di apprendistato professionalizzante.
Tale nodo critico, la cui rilevanza pratica è determinata in particolare dal fatto che la formazione deve ritenersi obbligatoria solo se effettivamente disponibile, cioè finanziata dalle regioni e, dunque, concretamente accessibile all’apprendista, può essere sciolto solo con riferimento alla disciplina del finanziamento della componente formativa pubblica. Lo stesso Rapporto, del resto, sul punto chiarisce che le denunciate diversità territoriali sono da ascrivere soprattutto alle «scelte compiute dalle singole Regioni e Province autonome circa la diversificazione dell’offerta formativa tra le tipologie di apprendistato e gli investimenti da dedicarvi, in relazione alle esigenze del tessuto produttivo territoriale e dei destinatari cui si rivolge l’apprendistato professionalizzante, nonché alle risorse disponibili sia a livello nazionale e regionale, progressivamente ridotte negli ultimi dieci anni, sia a livello europeo (PNRR e FSE+ 2021-2027)».
È esemplificativo in tal senso il caso della Regione Lazio, in relazione al quale l’INAPP collega il decremento degli apprendisti iscritti alle attività formative rilevato nel 2022 (laddove nell’anno precedente erano invece aumentati del 40,9%) alla sospensione temporanea del finanziamento dell’offerta formativa di base e trasversale dovuta, in particolare, all’esaurimento delle risorse disponibili. Per fare fronte a questa problematica tra l’altro la Regione ha di recente deciso, analogamente a quanto avvenuto in altri territori (Piemonte, Veneto, P.a. di Trento, Liguria, Toscana), pur avvalendosi dei fondi statali annualmente assegnati dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, di cofinanziare l’offerta formativa in apprendistato professionalizzante attraverso i fondi europei (PR FSE + 2021-2027).
Il Rapporto, inoltre, con riferimento ai provvedimenti regionali emanati per il biennio 2022-2023, ha messo in luce come alcune Regioni (Liguria, Veneto, Marche, Lazio), proprio a causa dello scarso ammontare di risorse a disposizione e nell’ottica di tutelare i soggetti più vulnerabili, abbiano «scelto di restringere la platea dei destinatari ad alcune categorie di beneficiari e hanno individuato requisiti specifici per la partecipazione degli apprendisti stranieri ai percorsi formativi». A riguardo l’INAPP, con riferimento ai finanziamenti pubblici che il Ministero del Lavoro ripartisce tra le Regioni per la predisposizione della formazione di base e trasversale degli apprendisti, già nel XXI Rapporto, aveva ricordato l’avvenuto passaggio dai «100 milioni di euro del 2011 ai 15 milioni per le annualità 2017 e seguenti».
La situazione è ulteriormente aggravata dal fatto che l’art. 15 del c.d. DDL Lavoro, approvato alla Camera il 9 ottobre 2024, ha stabilito che tali e già limitate risorse, finora destinate in via esclusiva all’apprendistato professionalizzante possano essere utilizzate anche per finanziare l’apprendistato “scolastico” (o di primo livello) e di alta formazione e ricerca (o di terzo livello). Si tratta di una previsione che, pur animata dall’intento di incentivare tali due tipologie di apprendistato, si pone in controtendenza rispetto ai dati rilevati, che segnalano una quasi totale identità nel nostro Paese tra apprendistato ed apprendistato professionalizzante, svilendo ulteriormente, in assenza di compensazione mediante un contestuale aumento dell’ammontare complessivo della somma stanziata, la valenza formativa di quest’ultima, al rafforzamento della quale dovrebbe tendere la formazione obbligatoria.
Ad interrogarsi sull’effettivo senso e valenza dell’offerta formativa pubblica conducono del resto anche le rilevazioni risultanti dal Rapporto circa il numero di apprendisti con contratto professionalizzante iscritti alle attività di formazione per tipo di modulo formativo. A tale proposito si può notare come nel 2022 solo l’8.4% degli apprendisti professionalizzanti svolge 120 ore, mentre la maggior parte (54,3%) solo un modulo da 40 ore (5 giorni di formazione, in totale, in un Triennio di apprendistato) o da 80 ore (37,3%). Tale dato è diretta conseguenza della previsione contenuta nelle Linee Guida approvate nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni del 20 febbraio 2014, volte ad individuare i criteri condivisi in base ai quali sono poi state redatte le diverse discipline regionali in materia. Esse, infatti, hanno stabilito che la durata ed i contenuti dell’offerta formativa pubblica siano collegati alle competenze acquisite nella pregressa formazione scolastica, prevedendo 120 ore per chi ha solo la licenza di scuola secondaria di primo grado, 80 ore per chi ha un diploma di scuola secondaria di secondo grado, 40 ore per gli apprendisti laureati.
È chiaro, quindi, come si tratti di una disciplina che implica una debolezza strutturale della componente formativa pubblica, laddove essa risulta costretta in un numero di ore limitato e tanto ridotto quanto maggiore è l’effettiva esigenza di un’elevata specializzazione nonché appiattita su una diversificazione in base al titolo di studio posseduto anziché funzionale al settore ed alla qualifica di destinazione. Senz’ altro, infatti, chi non ha competenze, o ne ha poche necessita di percorsi di formazione più lunghi. Ma un altro dato che emerge dal Rapporto è che proprio chi ha “bisogno” di corsi più corposi, ossia la percentuale di apprendisti che frequentano i moduli da 120 ore, si riduce nel triennio considerato. Di conseguenza l’apprendistato più che uno strumento per la qualificazione o la riqualificazione anche di soggetti con poche o scarse skills, sembra diventare una passerella per l’accesso nel mercato del lavoro di chi già ha suo bagaglio consolidato di competenze e si dimostra comunque insufficiente a colmare, mediante l’offerta formativa pubblica e quindi la formazione di base e trasversale, il gap di competenze posseduto da molti soggetti. Su questa linea sarebbe auspicabile un nuovo accordo in conferenza Stato Regioni, che vada a sostituire quello del 20 febbraio 2014, aumentando il monte ore, introducendo nuovi contenuti formativi trasversali al settore d’appartenenza dell’apprendista e coinvolgendo i sistemi formativi locali.
Siamo dunque davanti ad una realtà che procede in direzione opposta rispetto alla necessità di implementazione della capacità formativa dell’apprendistato, determinata non solo la Raccomandazione del Consiglio Europeo relativa a un quadro europeo per apprendistati efficaci e di qualità del 15 marzo 2018, quanto dall’esigenza di non rinunciare all’utilizzo dello stesso quale strumento idoneo a ridurre in concreto il disallineamento tra le competenze richieste dal mercato e quelle effettivamente disponibili.
A ciò possono e dovrebbero senz’altro concorrere un significativo aumento dei fondi a disposizione relativamente alla componente formativa pubblica, così come la previsione di una certificazione delle attività svolte e delle competenze effettivamente acquisite, ma prima fra tutte la volontà del legislatore, delle aziende e delle parti sociali di riconoscere la valenza progettuale dell’apprendistato, quale percorso finalizzato e concretamente idoneo alla costruzione della professionalità.
Arianna Ferraguzzo
Assegnista di ricerca Università degli studi dell’Insubria