La decisione di martedì scorso della Corte d’Appello d’Aix en Provence sul ricorso presentato da Ryanair, lungi dal costituire una questione meramente interna, implica al contrario l’applicazione del diritto comunitario, presentando profili di indubbio interesse anche per il nostro ordinamento.
Il caso deciso dalla Corte d’Appello francese
Chiamata a pronunciarsi sulla condanna inflitta in primo grado a Ryanair per occupazione, fra il 2007 ed il 2010, di ben 127 lavoratori presso l’aeroporto di Marseille-Marignane, non regolarmente denunciati alle Amministrazioni competenti, la Corte ha aderito alla decisione di prime cure, condannando la compagnia low cost irlandese al pagamento di 8,3 milioni tra ammende, interessi ed oneri contributivi. Da anni, ormai, la società ha elaborato e realizzato un’aggressiva politica commerciale di concorrenza rispetto alle competitors, applicando al personale aereo la normativa lavoristica, contributiva e fiscale del proprio Paese di origine, l’Irlanda. In tale paese gli oneri contributivi e fiscali, di gran lunga inferiori – tra il 25% ed il 30% – alle aliquote mediamente applicate dai restanti Paesi membri, consentono alla compagnia di ridurre i prezzi dei biglietti aerei e di conseguire un indubbio vantaggio competitivo.
La prassi adottata dalla società irlandese non ha tuttavia incontrato il favore dei sindacati transalpini, prima, e dei giudici, dopo, i quali già in primo grado hanno riconosciuto Ryanair responsabile dell’omessa osservanza della normativa fiscale e lavoristica francese, che prevede l’obbligatoria applicazione del contratto di lavoro locale al personale stabilmente collocato negli aeroporti ‘di base’ in Francia. La difesa, da sempre opposta dalla compagnia aerea low cost, ha invocato il diritto comunitario, che, per intuibili ragioni di omogeneità organizzativa, permette alle compagnie aree di regolare i rapporti di lavoro con il personale di volo e di assistenza, dislocato temporaneamente nei vari aeroporti, con la disciplina del proprio Paese di origine (v. infra).
Orbene, a fronte di un’accertata stabilità nell’aeroporto di Marseille-Marignane del personale ivi occupato da Ryanair, quest’ultima, in primo grado, è stata condannata a versare, oltre alle sanzioni (pari a 200 mila euro), elevate cifre a titolo di contributi previdenziali ed assicurativi (4,5 milioni di euro, da corrispondere all’Autorità con competenze assimilabili ai nostri Inps ed Inail, e 3 milioni alla Cassa di risparmio per il personale navigante, una sorta di nostrana ‘Cassa edile’ aerea), di servizi per il collocamento ed indennità di disoccupazione (500 mila euro).
La disciplina comunitaria applicabile
In tema di contratti transnazionali il Regolamento UE n. 593/2008 (c.d. Roma 1) stabilisce il principio di libertà di scelta delle parti relativamente alla legge applicabile alla pattuizione (art. 3); detto principio è espressamente ribadito per il contratto individuale di lavoro (art. 8, par. 1). Tuttavia, la disposizione comunitaria, evidente espressione di favor praestatoris, specifica che tale scelta non può privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle disposizioni alle quali non è permesso derogare convenzionalmente in virtù della legge che, in mancanza di scelta, sarebbe stata applicabile a norma dei paragrafi 2, 3 e 4 del medesimo articolo. In particolare, il par. 2 stabilisce che ove la legge applicabile al contratto individuale di lavoro non sia stata scelta dalle parti, il contratto è disciplinato dalla legge del Paese nel quale o, in mancanza, a partire dal quale il lavoratore, in esecuzione del contratto, svolge abitualmente il suo lavoro. Infine, la norma stabilisce che il Paese in cui il lavoro è abitualmente svolto non è ritenuto cambiato quando il lavoratore svolge il suo lavoro in un altro Paese in modo temporaneo.
Peraltro, non appare superfluo aggiungere che il diritto comunitario garantisce la libera circolazione dei lavoratori all’interno dei confini dell’Unione (art. 21 del Trattato sul funzionamento dell’Unione), ed a tale scopo tende al coordinamento – tra l’altro – dei sistemi previdenziali degli Stati membri, pur affidando a questi ultimi la competenza in materia previdenziale. Per quanto interessa nella presente sede, il Regolamento n. 833/2004 pone il principio della lex loci laboris, in virtù del quale una persona che esercita un’attività subordinata o autonoma in uno Stato membro è soggetta alla legislazione di tale Stato membro (art. 11, par. 3, lett. a). Pertanto, per il diritto sovranazionale la regola è l’applicazione del sistema previdenziale proprio dello Stato membro nel cui territorio insiste il luogo di lavoro.
Tale principio è derogato nell’ipotesi in cui l’attività lavorativa sia espletata per una durata temporanea in uno Stato membro, attraverso il ricorso al distacco. In particolare, l’art. 12 dispone che il lavoratore subordinato che svolge la propria attività in uno Stato membro per conto di un datore di lavoro che vi esercita abitualmente le sue attività, ed è da questo distaccato in un altro Stato membro, rimanga soggetto alla legislazione dell’originario Stato membro, a condizione che la durata prevedibile di tale lavoro non superi i ventiquattro mesi e che non sia inviato in sostituzione di un’altra persona.
Un’ulteriore ipotesi di deroga al principio della lex loci laboris è contemplata dall’art. 13 del Regolamento, il quale stabilisce che il lavoratore che presta abitualmente un’attività subordinata in due o più Stati membri è soggetto alla legislazione dello Stato membro di residenza se esercita una parte sostanziale della sua attività in detto Stato o se dipende da più imprese o da più datori di lavoro aventi la propria sede o il proprio domicilio in diversi Stati membri; oppure alla legislazione dello Stato membro in cui l’impresa o il datore di lavoro che lo occupa ha la sua sede o il suo domicilio, se il prestatore non esercita una parte sostanziale delle sue attività nello Stato membro di residenza.
La temporaneità della prestazione
Appare quindi evidente come la disciplina comunitaria, legittimante l’applicazione della normativa dello Stato di origine, sia invocabile solo ove sussistano gli esposti requisiti, fermo restando che la normativa sostanziale applicabile al rapporto di lavoro ha riflessi sul regime previdenziale che lo disciplinerà.
Nelle more del gravame, la compagnia aerea irlandese ha modificato il proprio assetto organizzativo, intervenendo sulla medesima condotta contestata, ovverosia la stabilità dell’equipaggio occupato nel predetto aeroporto francese. Ne è derivato il divieto, per il personale di volo, di lasciare ‘di base’ negli aeroporti francesi gli aeromobili e di muoversi con frequenza fra le diverse ‘basi’ europee, al fine di provare la dichiarata temporaneità della flotta aerea e del personale, che potesse quindi giustificare l’applicazione della normativa irlandese.
Se tale scelta ha consentito a Ryanair di risparmiare sul complessivo costo del lavoro del personale, nondimeno le ha fatto perdere in competitività: essendo costretta a far partire dallo scalo irlandese aerei e personale, non ha potuto assicurare i voli di prima mattina, con inevitabile perdita della clientela d’affari, certamente più esigente in tema di orari che di costi del biglietto.
In ogni caso, la prassi adottata non ha evitato a Ryanair la condanna anche in appello: da quanto è dato comprendere, infatti, la compagnia aerea ha invocato l’art. 13 cit., pur se il giudice francese ha ritenuto simulato il comportamento del vettore che aveva creato l’apparenza dello spostamento della parte prevalente dell’attività dall’aeroporto di Marseille-Marignane agli scali irlandesi di provenienza, nei fatti indebitamente riducendo ai lavoratori occupati in Francia la protezione che avrebbero ricevuto dall’applicazione combinata dell’art. 8 cit., par. 1 e 2.
Considerazioni conclusive
A prescindere da quali saranno le scelte della Ryanair – l’impugnazione della decisione in parola davanti alla Corte di Cassazione transalpina ovvero il coinvolgimento della medesima Corte di Giustizia europea, invocando il noto principio comunitario – ed in attesa delle future decisioni, la vicenda dimostra, ancora una volta, il labile confine esistente tra un’applicazione, ancorché estrema, della normativa – in questo caso comunitaria – e la pratica elusiva degli obblighi inderogabili – la disciplina fiscale e contributiva degli Stati membri in cui viene eseguita la prestazione – con evidenti effetti distorsivi del mercato e della concorrenza. E’ di palmare evidenza, infatti, come un’osservanza apparente del diritto – alla stregua della prassi adottata da Ryanair a seguito della condanna in primo grado – si traduca nella sua più odiosa violazione, mirando nei fatti alla disapplicazione della disciplina sostanziale prevista.
L’auspicio, allora, è che l’Autorità giudiziaria chiamata a definire la controversia sappia orientare la propria decisione nel senso di un’applicazione delle regole aderenti alla loro ratio ispiratrice, garantendone in questo modo l’autentica effettività.
Giovanna Carosielli
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@GiovCarosielli
Carmine Santoro
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@carminesantoro
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* Si segnala che le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero degli Autori e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’amministrazione di appartenenza.
La condanna di Ryanair tra deroghe al diritto comunitario e pratiche elusive della normativa inderogabile