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Bollettino ADAPT 27 settembre 2022, n. 32
Il Report 2022 sulla “Condizione occupazionale dei dottori di ricerca”, recentemente pubblicato da Almalaurea, offre una serie di dati interessanti rispetto ad un percorso di studi che rappresenta uno degli obiettivi strategici dello stesso PNRR, che ricorda come il numero di dottorati conferiti sia in calo negli ultimi anni (- 40% tra il 2008 e il 2019) e come quasi il 20% di chi consegue un dottorato in Italia ogni anno si trasferisca all’estero. L’indagine di Almalaurea ha coinvolto 5.255 dottori di ricerca dell’anno 2020 e provenienti da 45 atenei differenti, con un tasso di risposta pari all’81,4% dei soggetti contattati e che hanno espresso il consenso al trattamento dei dati. Le interviste si sono svolte nel corso del 2021 per consentire di riportare i dati sugli esiti occupazionali ad un anno dal conseguimento del titolo di dottore di ricerca. In particolare, le aree disciplinari dei soggetti coinvolti sono scienze della vita (27,6%), ingegneria (19,9%), scienze di base (19,1%), scienze umane (17,8%) e scienze economiche, giuridiche e sociali (15,7%); l’età media di conseguimento del titolo è pari a 32,3 anni e il 50,1% dei dottori di ricerca è rappresentato da donne.
Il dato più significativo e incoraggiante riguarda il tasso di occupazione ad un anno dal titolo, pari complessivamente pari al 90,9%, registrando un aumento di 1,9% rispetto all’indagine del 2019 sui dottori di ricerca del 2018. Tale percentuale, se paragonata con i dati del report Almalaurea 2022 sui laureati di secondo livello, risulta superiore non solo al 74,6% di occupati a un anno dal titolo, ma anche all’88,5% di occupati a cinque anni dal conseguimento della laurea magistrale. Anche il tasso di disoccupazione migliora, registrando un calo dello 0,9% rispetto all’indagine 2019 e fermandosi al 4,8%, ottenuto come rapporto tra le persone in cerca di occupazione e le forze di lavoro: esso, peraltro, risulta di gran lunga inferiore rispetto a quanto rilevato sui laureati di secondo livello a un anno dal conseguimento del titolo (12,5%) e in linea con il tasso di disoccupazione di laureati magistrali a cinque anni dalla laurea (4,6%). Tuttavia, guardando ai dati nelle diverse aree disciplinari, emergono alcune divergenze: se per quanto riguarda il tasso di occupazione dei dottori di ricerca troviamo al primo posto scienze della vita (94,1%), seguita da ingegneria (93,4%), scienze di base (92,5%), scienze economiche, giuridiche e sociali (88%) e scienze umane (83,9%), i dati sul tasso di disoccupazione registrano notevoli vedono in testa scienze della vita (2,2%), seguita da ingegneria e scienze di base (3,8%), scienze economiche, giuridiche e sociali (6%) e scienze umane (10,4%).
Un altro aspetto interessante analizzato dal report Almalaurea concerne la continuità tra l’attività lavorativa svolta durante e dopo il percorso di dottorato: guardando alla media tra le aree disciplinari, il 29,9% dei dottori di ricerca prosegue il lavoro iniziato prima del dottorato, il 60% inizia a lavorare dopo il dottorato e il 10,1% non prosegue il lavoro iniziato durante il percorso di studi. È significativo come quasi il 70% di coloro che proseguono il lavoro iniziato prima del conseguimento del titolo dichiari che il dottorato abbia comportato un miglioramento nel proprio lavoro, sia esso dal punto di vista delle competenze professionali (70,1%), della posizione lavorativa (13,9%), del trattamento economico (9,1%) o delle mansioni svolte (6,5%). Al tempo stesso, risulta interessante anche il dato legato ai tempi di reperimento del primo lavoro dopo il conseguimento del titolo di dottore di ricerca, pari a 3,3 mesi in media tra le aree disciplinari.
Guardando alle caratteristiche del lavoro svolto, i dati sulla tipologia lavorativa evidenziano che l’8,5% dei dottori di ricerca a un anno dal conseguimento del titolo svolge un’attività autonoma, il 23,8% è assunto a tempo indeterminato, il 33,5% ha un assegno di ricerca, l’8,4% conta su una borsa di studio, il 20,4% dichiara di essere assunto con un contratto non standard (in larga parte contratto di lavoro subordinato a tempo determinato), l’1,9% ha un contratto parasubordinato, l’1,7% è collocato in altre forme di lavoro autonomo (es. collaborazioni occasionali), lo 0,7% ha un contratto di tipo formativo e lo 0,2% lavorerebbe senza alcuna regolamentazione contrattuale. Per quanto riguarda i settori d’impiego, i dati medi rispetto alle aree disciplinari indicano che il 65,8% dei dottori di ricerca sono occupati nel settore pubblico, il 31,6% nel settore privato e la quota restante nel non profit. Inoltre, una larga parte dei dottori di ricerca risulta impiegato nei servizi (89,7% tra commercio, credito e assicurazioni, trasporti, pubblicità, comunicazioni, informatica, consulenze, servizi alle imprese, PA), e in particolare nel ramo dell’istruzione e della ricerca (59,9%). Il settore dell’industria, invece, assorbe complessivamente solo il 9,2% dei dottori di ricerca occupati (4,0% in industria chimica o dell’energia, 1,7% in industria metalmeccanica e meccanica di precisione, 1,6% in edilizia e 1,9% in altra industria manifatturiera); in particolare, nel settore industriale sono occupati il 21,3% dei dottori di ricerca in ingegneria, il 6,0% in scienze della vita, il 13,2% in scienze di base, il 2,0% in scienze economiche, giuridiche e sociali e l’1,7% in scienze umane.
Per quanto riguarda i dati sulla professione svolta, il 43,8% dei dottori di ricerca ad un anno dal titolo è un ricercatore o un tecnico laureato in università, il 39,0% svolge una professione intellettuale, scientifica e di elevata specializzazione, mentre la restante parte è suddivisa tra un 9,4% di chi svolge attività sostenuta da borsa di studio o di ricerca e altre professioni (5,8%). Di particolare interesse risulta quanto emerge dall’indagine in tema di retribuzione mensile netta: essa è pari, in media, a 1.784€ ad un anno dal titolo, e cioè il 26,8% in più rispetto ai laureati di secondo livello ad un anno dalla laurea (1.407€) e il 9,1% in più sui laureati magistrali a cinque anni dal titolo (1.635€). Nelle aree disciplinari, tuttavia, si registrano significative differenze: se i dottori in ingegneria, scienze di base e scienze economiche, giuridiche e sociali hanno una retribuzione vicina al dato medio, spiccano i 1.966€ netti mensili per i dottori in scienze della vita e i 1.482€ per i dottori in scienze umane. Altri dati interessanti riguardano la differenza retributiva tra chi prosegue l’attività lavorativa iniziata prima del conseguimento del titolo (2.060€) e chi si è inserito nel mercato del lavoro al termine degli studi (1687€), nonché i differenziali retributivi tra gli occupati in Italia e all’estero, i quali rappresentano il 13,6% del totale dei dottori di ricerca e hanno una retribuzione mensile netta che ammonta in media a 2324€. Per quanto riguarda le differenze retributive e il genere, il report evidenzia come gli uomini ricevano una retribuzione del 7,6% più elevata rispetto alle donne (1849€ contro 1719€). L’indagine si occupa anche di modalità di svolgimento della prestazione lavorativa: a un anno dal titolo, il 45,6% dei dottori di ricerca svolge lavoro da remoto: pur registrando un calo di 4,2 punti percentuali rispetto all’indagine 2021 (strettamente legata all’emergenza Covid-19), la percentuale risulta nettamente più elevata rispetto al dato 2019, fermo al 5,2%, e superiore al 32,2% di laureati magistrali a un anno dal titolo che svolgono lavoro da remoto.
Infine, Almalaurea offre una serie di dati più legati alla valutazione del proprio percorso di dottorato: il 71,9% dei dottori di ricerca ritiene che il titolo sia efficace o molto efficace nell’attività lavorativa, il 19,5% invece ha dichiarato “abbastanza efficace”, mentre l’8,7% considera il titolo “poco o per nulla efficace” (rispetto al 2019, si è registrato un calo di quest’ultima voce di 5,9%). Guardando alle aree disciplinari, emerge come i dottori di ricerca nell’ambito delle scienze di base, scienze della vita ed ingegneria facciano registrare un tasso di soddisfazione più elevato rispetto ai dottori di ricerca in materie più umanistiche; i dati suddivisi per genere, invece, segnano un 75% di efficacia del titolo per gli uomini e un 68,9% per le donne. Anche i dati sulle competenze risultano essere positivi: il 70,4% dei dottori di ricerca occupati dichiara di utilizzare in misura elevata le competenze acquisite durante il percorso di studi, a cui si somma un 24,1% di dottori che hanno dichiarato un utilizzo contenuto delle competenze acquisite. In particolare, quasi due terzi dei dottori di ricerca occupati a un anno dal titolo svolge ricerca in misura elevata (63%), il 24,3% in misura ridotta e soltanto il 12,6% non svolgerebbe attività di ricerca. I dati sulla soddisfazione per l’attività lavorativa svolta e la valutazione del dottorato di ricerca confermano un trend positivo: 8,1 su 10, in media, è un ottimo punteggio che ricalca anche i dati sulla coerenza tra professione e studi svolti (8,3 su 10), l’acquisizione di professionalità e competenza sul lavoro (8,1 su 10) nonché i rapporti con i colleghi (8,2 su 10); migliorabili, invece, risultano le valutazioni sul tempo libero a disposizione (6,5 su 10), l’opportunità di contatti con l’estero (6,6 su 10) e la stabilità e sicurezza del lavoro (6,8 su 10). Positivi, inoltre, risultano essere i dati registrati sulle ipotesi di reiscrizione al dottorato: in media, il 76,2% dei dottori di ricerca si iscriverebbe nuovamente allo stesso dottorato nello stesso ateneo e soltanto il 5,8& non si iscriverebbe più ad un altro dottorato.
In conclusione, il Report Almalaurea 2022 sui dottori di ricerca rappresenta un segnale positivo per il nostro Paese poiché i dati in esso contenuti registrano lievi miglioramenti in pressoché tutti i parametri analizzati. Tuttavia, in questa sede è bene soffermarsi su almeno due aspetti emersi dall’indagine sui quali è necessario investire per i prossimi anni. Anzitutto, appare necessario aumentare la competitività dei percorsi di dottorato di ricerca attraverso una piena valorizzazione – anche economica – di giovani talenti sul quale il nostro Paese investe per poi constatare – troppo spesso – che l’emigrazione dei dottori di ricerca presenta tassi elevati, e legati prevalentemente alle migliori opportunità di carriera. Inoltre, i dati evidenziano un rapporto ancora troppo debole tra dottorati di ricerca e industria: sarà centrale – per i prossimi anni – scommettere su un aumento consistente di ricercatori industriali per favorire ricerca e sviluppo nelle imprese, e quindi innovazione e sviluppo economico.
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena