La Direttiva UE sulla parità retributiva tra uomini e donne: una questione di trasparenza

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Bollettino ADAPT 22 maggio 2023, n. 19
 
Lo scorso 30 marzo 2023, secondo la procedura legislativa ordinaria di cui all’art. 294, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), è stata pubblicata la risoluzione legislativa del Parlamento europeo sulla proposta di direttiva presentata dal medesimo organo e dal Consiglio. Questo atto è volto a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.
 
L’obiettivo della direttiva è favorire la trasparenza dei trattamenti retributivi affinché il principio della parità di retribuzione tra uomini e donne, principio fondante dell’Unione europea, sancito dall’art. 157 e il divieto di discriminazione di cui all’art. 4 della direttiva 2006/54/CE, trovino una concreta e sostanziale attuazione all’interno degli ordinamenti di tutti gli Stati membri.
 
L’art. 157, TFUE, al par. 1, pone l’obbligo per ciascuno Stato membro di assicurare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore prevedendo, inoltre, al par. 3, l’adozione da parte dell’Unione di misure che assicurino l’applicazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, ivi compreso il principio della parità delle retribuzioni per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.
 
Ma non è solo questione di rendere giustizia a dei principi: l’intervento è stato reso necessario all’indomani degli esiti della valutazione svolta dalla Commissione europea nel 2020, la quale ha potuto constatare il persistere del divario retributivo di genere, attestatosi al 13% nel 2020, con variazioni significative tra gli Stati membri, e con una solo lieve riduzione negli ultimi dieci anni, riscontrando così una scarsa effettività della precedente direttiva 2006/54/CE.
 
Sono molti i casi in cui le discriminazioni retributive, sia dirette che indirette, sono basate sul genere. Queste hanno potuto trovare (e trovano ancora) un terreno fertile a causa della generale mancanza di trasparenza sui livelli retributivi all’interno delle imprese e delle organizzazioni e nella mancanza di certezza giuridica sul concetto di lavoro di pari valore.
 
Questo quadro ha pertanto generato nel tempo una situazione in cui la discriminazione retributiva e i pregiudizi basati sul genere rischiano di non essere individuati o, anche qualora si sospettino, siano poi difficili da dimostrare, a discapito delle vittime che incontrano difficoltà nel presentare richieste di risarcimento.
 
I quattro Capi in cui è suddivisa la proposta introducono delle prescrizioni definite minime, lasciando così gli Stati membri dell’UE liberi di introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli ai lavoratori, rispetto a quelle stabilite nella direttiva stessa.
 
Innanzitutto, la direttiva all’art. 3 detta alcune definizioni, tra le quali quelle di due concetti fondamentali, quello di retribuzione definito come «il salario o lo stipendio normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore (componenti complementari o variabili)»; e quello di lavoro di pari valore «il lavoro ritenuto di pari valore secondo i criteri non discriminatori, oggettivi e neutri sotto il profilo del genere».
 
La direttiva riconosce, quindi, come l’eliminazione della discriminazione retributiva vada di pari passo rispetto al rafforzamento dell’applicazione del principio della parità di retribuzione da assicurarsi attraverso l’implementazione della trasparenza retributiva sin dal momento precedente all’assunzione e da applicarsi a tutte le tipologie di lavoro. Pertanto, al principio di trasparenza retributiva si affianca quello di divieto di segreto salariale. In altre parole, essa richiede agli Stati membri di introdurre delle norme che garantiscano la possibilità per i candidati ad un impiego di ricevere informazioni, dal datore di lavoro stesso o attraverso un altro canale come, ad esempio, dalle parti sociali, sulla retribuzione iniziale in modo tale da garantire una trattativa informata e trasparente sulla retribuzione. Parallelamente, prevede inoltre il divieto per i datori di lavoro di chiedere o ottenere informazioni sulle retribuzioni percepite dal candidato attualmente o in precedenti impieghi.
 
Le nuove strutture retributive, per essere in linea con la direttiva, dovranno dunque consentire di confrontare il valore dei diversi posti di lavoro all’interno della stessa struttura organizzativa e prevedere un sistema per cui sia riconosciuto a tutti i lavoratori il diritto, su richiesta, di ottenere informazioni sul loro livello retributivo individuale e sui livelli retributivi medi ripartiti per sesso.
 
Ciò detto, d’altro canto, viene evidenziato che nulla impedisce ai datori di lavoro di retribuire in modo diverso i lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore sulla base di criteri oggettivi, neutri sotto il profilo del genere e privi di pregiudizi, come le competenze, l’impegno, le responsabilità e le condizioni di lavoro.
 
Inoltre, le misure da adottare devono limitare al contempo i costi e gli oneri amministrativi per i datori di lavoro, con particolare attenzione alle micro, piccole e medie imprese, ed essere adattate tenendo conto del numero di dipendenti e in funzione delle dimensioni dell’organizzazione.
 
Infatti, è previsto che siano tenuti a riferire periodicamente in merito alle retribuzioni i datori di lavoro con almeno cento lavoratori, i quali saranno tenuti a redigere delle valutazioni congiunte delle retribuzioni con i rappresentanti dei lavoratori la cui finalità è quella di innescare il riesame e la revisione delle strutture retributive allorquando presentino disparità retributive pari al 5%.
 
Nella parte finale la direttiva detta indicazioni più di carattere procedurale e sanzionatorio, con l’obiettivo è quello di facilitare l’esercizio del diritto di accesso alla giustizia per i lavoratori vittime di discriminazione retributiva.
 
In particolare, per quanto riguarda le questioni procedurali, è previsto che l’onere della prova sia a capo del datore di lavoro, al quale aspetterà dimostrare che non ci sia stata discriminazione, nei casi in cui quest’ultimo non abbia ottemperato agli obblighi di trasparenza retributiva e/o se si può ragionevolmente presumere in base ad elementi di fatto prodotti in giudizio dal lavoratore che vi sia stata discriminazione. Ulteriori accorgimenti devono poi essere adottati negli ordinamenti degli Stati membri rispetto ai termini di prescrizione in materia affinché l’esercizio dei diritti stessi non sia reso eccessivamente difficile.
 
Per quanto riguarda invece l’apparato sanzionatorio, oltre al risarcimento che deve coprire integralmente i danni subiti a causa della discriminazione retributiva basata sul genere, in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate a norma della direttiva, la proposta introduce l’obbligo per gli Stati membri di introdurre delle norme che prevedano delle sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive quali, ad esempio, ammende variabili in base al fatturato lordo annuo del datore di lavoro o sulla sua massa salariale totale.
 
Infine, è prevista la necessità di designare un organismo di monitoraggio in ciascuno Stato membro che assolva ai ruoli di promozione, controllo e raccordo con le Istituzioni europee.
 
A seguito dell’approvazione formale del Consiglio l’atto legislativo entrerà in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea e dovrà essere recepito in ciascun ordinamento dei paesi membri entro tre anni.

 
Agnese Casasso

ADAPT Junior Felllow

@AgneseCasasso

La Direttiva UE sulla parità retributiva tra uomini e donne: una questione di trasparenza
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