La disciplina legislativa del lavoro tramite piattaforma

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Bollettino ADAPT 9 settembre 2019, n. 31

 

È, infine, stata emanata una normativa legislativa relativa al lavoro tramite piattaforma digitale e ai riders, stralciata dal d.d.l. A.S. 658 sul salario minimo ed inserita nel pesante d.l. n. 101 del 2019 che reca “Disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione delle crisi aziendali”.

 

La tecnica seguita è la modifica della tormentata norma di cui all’art. 2 del d.lgvo n. 81 del 2015, con l’aggiunta, al 1° co., della proposizione per la quale “Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme digitali”. Un’aggiunta che, di per sé, nulla sposta circa il contenuto precettivo dello stesso art. 2, ma che potrebbe aprirsi alla suggestione che il lavoro mediante piattaforme digitali sia di per sé lavoro cd. eterorganizzato, con tutti i problemi che la figura comporta e divenuti evidenti con la sentenza della Corte d’appello di Torino del 4 febbraio 2019.

Tuttavia, con la tecnica dell’aggiunta, al Capo V del d.lgvo n. 81 del 2015, di un Capo V bis, si introduce anche una specifica disciplina per i “prestatori occupati con rapporti di lavoro non subordinato” nell’attività di consegna dei beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore di cui all’art. 47, co. 2, lett. a), del d.lgvo n. 285 del 1992 attraverso piattaforme digitali. Una disciplina che, però, entrerà in vigore solo decorsi centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.

 

La definizione di “piattaforma digitale” rilevante ai fini dell’applicazione di questa specifica normativa ricorda, pur non essendo identica, quella contenuta nel diritto francese a seguito della cd. Loi travail del 2016. Dispone la norma che “si considerano piattaforme digitali i programmi e le procedure informatiche delle imprese che, indipendentemente dal luogo di stabilimento, organizzano le attività di consegna di beni, fissandone il prezzo e determinando le modalità di esecuzione della prestazione”. Il nucleo di disciplina è minimale: in primo luogo, è obbligatoria la copertura assicurativa contro infortuni e malattie professionali; inoltre, l’impresa è tenuta al rispetto del d.lgvo n. 81 del 2008 (obblighi in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro). Infine, quanto al corrispettivo, esso può essere commisurato alle consegne effettuate, seppur in misura non prevalente.

 

La disposizione riecheggia la figura del cottimo misto, anche se grande spazio è demandato ai “contratti collettivi”, i quali “possono definire schemi retributivi modulari e incentivanti che tengano conto delle modalità di esecuzione della prestazione e dei diversi modelli organizzativi”.

Come si vede, lo statuto protettivo è limitato, concernendo essenzialmente (non l’entità ma) le modalità di calcolo del corrispettivo e la tutela della salute e sicurezza, nonché la copertura assicurativa contro infortuni sul lavoro e malattie professionali.

Per contro, là dove le modalità di esecuzione della prestazione sono organizzate dal committente si applica lo statuto del lavoratore subordinato (o, stando ad un orientamento apparentemente fatto proprio dalla citata Corte d’appello di Torino del 2019, almeno parte significativa di esso).

 

La regolamentazione legislativa pare così lasciare ancora al giudice il compito di selezionare la disciplina applicabile a seconda che qualifichi la prestazione come organizzata dal committente “anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro” oppure no: proprio il punto più controverso del contenzioso giudiziario sui riders. Infatti, secondo la decisione del Tribunale di Torino del 7 maggio 2018, non basta la eterodeterminazione dei tempi e del luogo di lavoro, ma occorre anche eterodirezione (nel caso giudicata inesistente), mentre, secondo la Corte d’appello di Torino, l’eterodeterminazione di tempo e luogo è sufficiente ad integrare l’ambigua figura del lavoro eterorganizzato, con tutte le conseguenze del caso; diversamente, secondo la decisione del Tribunale di Milano del 10 settembre 2018, difetta, in fattispecie in concreto sostanzialmente simile, l’“organizzazione dei tempi di lavoro”. Questo contrastante argomentare dipende dall’enigma che si annida nell’art. 2, 1° co., del d.lgvo n. 81 del 2015, non essendo stato sciolto il quale non si può dire che sia stata data una soluzione legislativa efficace, quanto meno al lavoro dei “riders”. Si aggiunga che, a differenza di testi prima circolanti, nella nozione di piattaforma digitale, che dà ingresso alla tutela dei riders operanti in regime di autonomia, si prevede che essa si ha quando le imprese, avvalendosi di procedure informatiche, organizzano la consegna dei beni “fissandone il prezzo e determinando le modalità di esecuzione della prestazione”. Un criterio che evoca, molto da vicino, la eterodirezione, in cui classicamente si ritiene risolversi la subordinazione.

 

Avevo già avuto occasione di osservare (v. il mio “I nuovi lavori della gig economy: riders & co., In Sintesi, 2019, n. 7, p. 27 ss.) che là dove non fosse intervenuta l’autonomia collettiva tutto sarebbe rimasto nelle mani dei giudici, col rischio di condurre a soluzioni creative o comunque fortemente controvertibili. Di qui l’opportunità di un intervento legislativo “leggero”, non a favore di tutto il lavoro tramite piattaforma, ma solo a favore dei riders non subordinati che prevedesse tutele minimali quali obblighi di sicurezza, assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e un compenso minimo.

Qui, invece, il legislatore facendo ancora appello al controverso art. 2, 1°co., d.lgvo n. 81 del 2015 e, d’altra parte, richiamando quale condizione per la tutela dei riders non subordinati anche la eterodeterminazione delle modalità di esecuzione della prestazione, ha finito, non solo col perpetuare le incertezze, ma addirittura col complicare il quadro.

 

Mariella Magnani

Professore ordinario di Diritto del lavoro

Università di Pavia

 

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