Le interrelazioni tra progresso tecnologico e lavoro si configurano come quel “soffio moderno della vita pratica” (Barassi 1901) cui non si può prescindere dal dare attenzione nel momento in cui si ci si rappresenta o si ripensa il trattamento, non solo giuridico, dei rapporti di lavoro.
Il report Technology at work: the future of innovation and employment (Oxford Martin School e Citi GPS, a cura dei proff. Frey e Osborne) offre un’interessante panoramica, che a partire dallo studio del cambiamento della natura dell’innovazione, analizza i fenomeni in corso ed enuclea le sfide del futuro.
Nella sezione 4, dal titolo The World of Work in the 21st Century, l’attenzione si concentra sul quadro macro del futuro mondo del lavoro, articolando la riflessione in quattro sotto-sezioni, rispettivamente dedicate a: automazione e sostituzione, tecnologia e creazione di nuovi posti di lavoro, ambito geografico di diffusione dei lavori e lavoro autonomo.
Già la scelta delle sezioni e il loro ordine offre alcuni spunti di riflessione: in essi si può leggere la storia dei rapporti tra tecnologia e mondo del lavoro.Gli effetti sull’occupazione, sulla sua diffusione geografica e sulle forme in cui si esprime sembrano essere le dinamiche macro di fondo del travagliato rapporto tra lavoro e innovazione tecnologica.
La centralità assoluta nel dibattito, sia pubblico sia dottrinale, acquisita dai fenomeni di sostituzione della forza lavoro, è conseguenza dei suoi effetti in termini di disoccupazione tecnologica, che periodicamente turba i sonni di governanti e governati. In connessione a questo tema si è sviluppato lo studio dell’effetto di contrasto, che spiega il non avverarsi delle profezie di fine del lavoro: è l’effetto di capitalisation, per cui alla diminuzione dei prezzi dovuta alla migliore efficienza produttiva si accompagna l’aumento della domanda di beni e servizi e la nascita di nuovi mestieri.
Quanto ai luoghi e alle forme dell’occupazione una prospettiva storica offre la spiegazione della loro rilevanza all’interno dei fenomeni in esame: si pensi ai fenomeni di urbanizzazione e alla nascita dell’operaio caratteristici dell’industrializzazione.
Seguendo questa linea di ragionamento è possibile valutare i profondi cambiamenti e le linee di sviluppo prospettate dal report per il mondo del lavoro.
Le prime due tematiche sono sintetizzabili nel binomio occupazione/disoccupazione: secondo gli autori la dinamica di bilanciamento assicurata dal contrapporsi di effetto sostitutivo ed effetto di capitalizzazione, potrebbe essere fortemente incisa dall’espansione della portata dei processi di automazione. Il presupposto della loro analisi è che l’innovazione tecnologica comporti la possibilità di automazione di alcune delle mansioni non routinarie, tradizionalmente escluse in quanto fondate su attività la cui codificazione era preclusa: ci sarebbe, quindi, un cambiamento qualitativo nella natura di questi processi, con conseguente difficoltà per le dinamiche di creazione dei nuovi posti di lavoro di tenere il ritmo dell’eliminazione degli altri. Si tratta, in particolare, dei lavori che prevedono mobilità e destrezza, caratteristiche che l’evoluzione della robotica sembra poter assicurare alle macchine di domani: l’erosione si espanderebbe in questo modo dall’area dei lavori a media specializzazione a quella dei lavori a bassa specializzazione (trasporto, logistica); bassi rischi corrono, invece, le prestazioni che richiedono competenze di tipo sociale e creativo, afferenti tanto all’area high skill quanto a quella low skill (dal management, all’arte, all’educazione, all’assistenza delle persone).
Seppur questa lettura debba essere stemperata in ragione delle difficoltà che la tecnologia riscontra nel tentativo di inserirsi nell’ambito di quelle mansioni che richiedono abilità di cui abbiamo solamente una conoscenza implicita (è quello che Autor definiscePolanyi’s Paradox), la preoccupazione rispetto al tasso di sostituzione tra capitale e lavoro riscontra una grande attualità.
Dal momento, poi, che la creazione di nuovi mestieri e lavori, oltre a non essere abbondante, è per lo più riferita a mansioni appannaggio di lavoratori ad alta specializzazione, di grandissima importanza risulterà l’up-skilling della forza lavoro, fondamentale per assicurare le necessarie competenze al sistema produttivo, ma anche e soprattutto per evitare fenomeni di segregazione e disoccupazione permanente.
Rispetto al tema della localizzazione geografica dei lavori, gli autori pongono un rilievo di controtendenza rispetto alle aspettative dettate da un mondo iperconnesso: se, infatti, ci si aspettava l’irrilevanza del luogo fisico rispetto al lavoro, ciò non sembra essersi ancora verificato, in virtù della nascita dei clusters. Le città che sono state in grado di offrire competenze adeguate al nuovo mercato del lavoro sono state avvantaggiate dal progresso tecnologico. All’aumentare dell’attrattiva dovuta a concentrazione di lavori e competenze si è accompagnato l’aumento dei costi di vita, rendendo impraticabile l’accesso a questi centri alle fasce più deboli della popolazione con risultanti effetti di ineguaglianza.
D’altro canto, si segnala, la trasformazione tecnologica del lavoro ha facilitato l’accesso al mercato: da un lato ne ha permesso la globalizzazione (attraverso le piattaforme online i lavoratori possono offrire i propri prodotti e le proprie competenze ad acquirenti in tutto il mondo: in questo senso l’irrilevanza geografica ha mostrato i suoi effetti), dall’altro ha ridotto i costi di ingresso grazie alle forme di e-entrepreunership…
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Emanuele Dagnino
Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
@EmanueleDagnino