Ripensare il lavoro: è questo il leitmotive del recente rapporto From looking digital to being digital. Al centro del ragionamento la sfida che aziende e organizzazioni sono chiamate ad accettare per sopravvivere. Alcune ci stanno provando, ma sono ancora troppi i fallimenti e le rivoluzioni rimaste a metà del guado. Il mercato del lavoro mostra una gran voglia di voltare pagina e le tecnologie digitali possono essere un prezioso alleato. Ciò che sembra mancare, però, è una visione chiara da parte dei business leader, coloro che dovrebbero indicare la strada da percorrere. Le idee sembrano ancora confuse: troppo spesso la moda del momento prende sopravvento sulla ragione, con il risultato di utilizzare nuovi strumenti con la vecchia mentalità.
La sola tecnologia non può bastare a trasformare di colpo un’azienda del secolo scorso, di impronta fordista, in una fresca e frizzante “company” del ventunesimo secolo. Serve ben altro. Un cambiamento culturale, manageriale e organizzativo, capace di sfruttare le potenzialità di ciascun talento, sia esso interno o esterno all’organizzazione. Qui sta la differenza tra chi vorrebbe innovare e chi lo fa per davvero. L’avvento del digitale facilita questa trasformazione, ma lo sforzo da compiere è grande, e per nulla semplice.
Strumenti come i social media e le tecnologie mobile – le c.d. social technologies – permettono oggi di costruire un ambiente di lavoro interconnesso, nel quale tutti sono chiamati a collaborare, siano essi datori di lavoro o dipendenti. Tutti condividono un obiettivo comune. Il guadagno che ne deriva è ciò che gli esperti chiamano social business.
Nella pratica si tratta di piattaforme di collaborazione interna ed esterna, social networks, forum online, strumenti di project management o video chat/conferenze. E così molti altri strumenti utilizzati fino a oggi dalle aziende per ridurre i costi di gestione o migliorare i processi di lavoro. Si pensi alla possibilità di lavorare in remoto e ai risparmi sugli spostamenti. Oppure all’uso di strumenti social per una selezione del personale mirata e su larga scala. O ancora a canali di comunicazione più efficaci per comunicare con i propri dipendenti. Tutto questo non sembra però sufficiente. Secondo Accenture, le organizzazioni più virtuose, se vorranno mantenere uno spirito innovativo, saranno obbligate a sfruttare l’intero potenziale delle nuove tecnologie digitali per creare – o, meglio, fare emergere – nuovo valore produttivo.
Attraverso un uso sistematico di questi strumenti, infatti, è possibile riscrivere la struttura organizzativa del lavoro. Accenture suggerisce quattro fattori chiave.
Decentramento delle decisioni. Innanzitutto le organizzazioni vedranno cambiare il ruolo dell’autorità centralizzata. Verranno meno gli uffici con il compito di prendere tutte le decisioni, ma utilizzando i giusti strumenti, ogni unità dell’organizzazione sarà in grado di reperire autonomamente le informazioni di cui ha bisogno e prendere decisioni. In questo modo i tempi di attesa per un eventuale benestare da parte della direzione centrale spariscono e sarà possibile formulare delle soluzioni ad hoc per ogni nuova situazione. Gli orari di apertura di un negozio, ad esempio, possono variare a seconda se il negozio è posizionato nel centro o nella di una città, e i gestori delle singoli filiali sanno meglio di chiunque altro quali sono le esigenze dei propri clienti. Un’autonomia decisionale decentrata è in grado quindi di «aumentare la responsabilità di ciascun dipendente e consente alle imprese di rispondere in modo più preciso alle mutevoli condizioni del mercato, con la conseguente maggiore soddisfazione del cliente e un aumento delle vendite».
Interazione uomo-macchina. La tecnologia sarà sempre più pervasiva e già altre volte si è scritto di come i robot saranno capaci di apprendere dagli umani e le azioni di routine saranno destinate a scomparire. Per questo motivo un’azienda che voglia avere un’impronta digitale dovrà essere in grado di sviluppare tutte quelle skills che le macchine non sono in grado di sviluppare. Ad esempio la capacità di giudizio, il buon senso, l’abilità nel problem solving e di interazione con il cliente.
Adattamento in tempo reale. Attraverso la connessione digitale tra sistemi, persone e luoghi, l’organizzazione sarà in grado di gestire un flusso dinamico delle informazioni grazie al quale ogni lavoratore sarà, in qualunque momento, potenzialmente al corrente di ciò che l’organizzazione sta facendo. L’accesso libero ai dati servirà a condividere mission e obiettivi, e reperire la giusta informazione servirà a risolvere nuove criticità eliminando i tempi di attesa e portando così flessibilità operativa, dinamismo e produttività.
Sperimentazione continua. La tecnologia permette infine qualcosa di veramente impensabile fino a pochi anni fa: strutturare processi di produzione in base a simulazioni grafiche digitali. Testare un prodotto a computer permetterà di risparmiare costi e, soprattutto, di anticipare le esigenze del cliente. Si pensi alla stampa 3D ma non solo. La ricerca Accenture, ad esempio, ricorda il caso Audi dove gli ingegneri comunicano giornalmente tramite piattaforma online con la propria comunità di appassionati, cercando di testare e assemblare tutte le loro richieste e costruire così un prodotto su misura una volta recuperate tutte le informazioni necessarie. Sperimentare non vuol dire esclusivamente pensare alla produzione dopo aver testato dei prodotti al computer, ma diventa la vera e propria filosofia organizzativa dell’azienda: sperimentare significa anche procedere per tentativi, fare esperienza e imparare dai propri errori.
Ripensare al futuro del lavoro significa quindi ripensare a chi (tutti), quando (in tempo reale), dove (da remoto) e come (collaborando e sperimentando) il lavoro dovrà essere svolto. Il tutto nella convinzione che il cambiamento delle organizzazioni consisterà nel passaggio da un mercato basato su regole competitive a uno di tipo collaborativo, che faciliti l’incontro di più persone e discipline diverse, ma che soprattutto sappia valorizzare le capacità di ogni singolo individuo.
Gli intelligent digital process utilizzano le nuova tecnologie per sviluppare e distribuire il talento e aiutano i dipendenti a riconoscere le opportunità che il mercato è in grado di offrire. Pensiamo alle nuove piattaforme di collaborazione aziendali come Moodle, Yammer, socialtext, workmate, che consentono ai propri dipendenti di portare la propria esperienza in modo che diventi conoscenza di tutti. Molti sono gli effetti positivi: si mette per iscritto un sapere che potrà tornare utile in futuro – ad esempio se un dipendente informa di come è riuscito a risolvere uno specifico problema – oppure raccogliere suggerimenti da colleghi più esperti.
Tutto ciò porterà all’inevitabile fine di ciò che viene chiamata one best way. Sarà la morte delle procedure standardizzate e con esse della nozione giuridica della subordinazione su cui si regge il nostro quadro regolatorio del lavoro. Questa è la grande trasformazione del lavoro che ci aspetta, rispetto alla quale bene sappiamo cosa sarà cancellato e demolito dal nuovo che avanza mentre ancora non emerge un modello alternativo. E questa sarebbe la vera sfida italiana del Jobs Act che vede invece ancora una volta il nostro Paese affrontare problemi nuovi con schemi vecchi e soluzioni del passato. Il punto infatti oggi non è solo demolire o rottamare il vecchio, ma costruire il futuro e questo potrà avvenire solo se sapremo interpretare il cambiamento in atto.
In un blog come questo, che affronta le nuove sfide che l’evoluzione tecnologica e del mercato del lavoro lancia al mondo, il tema sopra affrontato è, seppur all’apparenza lontano, invece molto importante. Il mondo del web e il mercato che esso crea è uno degli esempi principali della centralità e dei frutti che un modello partecipativo comporta e offre a tutti. E se fosse proprio la buona pratica “virtuale” uno sprone al cambiamento del modello “reale”?
Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro
ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo
* Il presente articolo è pubblicato anche in Il Sole 24 Ore, Nòva (Il blog di ADAPT) il 13 settembre 2014.