Recentemente, in occasione dei 40 anni dalla morte di Pasolini, è riemersa una sua frase, risalente gli anni Sessanta, che recita: «È vero che per secoli la donna è stata tenuta esclusa dalla vita civile, dalle professioni, dalla politica. Ma al tempo stesso ha goduto tutti i privilegi che l’amore dell’uomo le dava: ha vissuto l’esperienza straordinaria di essere serva e regina, schiava ed angelo». (Prefazione di P.P. Pasolini alla terza edizione –1962– del libro Le italiane si confessano curato da Gabriella Parca).
Una frase, figlia del tempo storico in cui è stata scritta, dopo un conflitto che «aveva seppellito tra le macerie l’antica figura femminile», come si legge nel libro Santa Pazienza di Marta Boneschi.
Di fatti, soltanto dopo la seconda guerra mondiale, il principio di tutela della donna trova un riconoscimento nell’art. 37 della Costituzione che recita quanto segue: «La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore».
Con tale disposizione, si sancisce chiaramente l’uguaglianza tra uomo e donna in ambito lavorativo, sottolineandone pari diritti, una eguale retribuzione e pari opportunità professionali.
Nonostante dal 1948 ad oggi ci siano stati grandi miglioramenti, questi principi non sono ancora stati del tutto attuati nel mondo del lavoro, persistendo forti squilibri di genere riconducibili a diversi fattori.
A dirlo sono i numeri. Scarsa la presenza delle donne ai livelli alti dell’inquadramento e ai livelli di vertice. Su questo dato, un articolo de Il Sole 24 Ore di un anno fa ha descritto una situazione avvilente: nel settore privato, le donne occupano solo il 26% delle posizione dirigenziali e, nel settore pubblico, solo il 15%.
La disparità di genere è quindi ancora molto forte e lo è ancora di più se si confrontano i dati nazionali con quelli europei. Il nostro paese si trova al quint’ultimo posto per donne manager, vedendosi superato da paesi quali Ungheria (39%) e Lettonia (46% miglior tasso europeo).
Anche a livello istituzionale il gender gap – ovvero il divario di genere – è molto elevato.
A rivelarlo è proprio la composizione dell’istituzione parlamentare – modello concreto di dettati costituzionali per definizione – con il 72% di uomini e il 28% di donne.
Non solo. Un altro aspetto rilevante riguarda le diverse retribuzioni a parità di mansione svolta. È stato calcolato, infatti, che i lavoratori italiani percepiscono una retribuzione annua media del 7,3% in più rispetto alle lavoratrici. Se, però, si effettua un’analisi settoriale si osserva che tra i dirigenti e tra gli operai vi è un divario minimo: 8,5% per i primi, e 7% per i secondi. Il divario più grande, invece, nonostante le donne siano presenti in numero maggiore, si rileva tra gli impiegati, con un 10% annuo.
Questa disparità tra le retribuzioni sta aumentando, da un 4,9% nel 2008 ad un 6,7% nel 2014. Questo tasso è elevatissimo se si considera il cospicuo numero di donne laureate rispetto al numero di laureati maschi.
Un terzo elemento da considerare è il ruolo che le donne occupano all’interno della famiglia. In Italia, infatti, gli obblighi familiari riducono la possibilità per le donne di fare carriera e quindi di incrementare il loro stipendio. Per molte donne, infatti, la nascita di un figlio coincide con l’allontanamento dal mercato del lavoro, tanto che l’ISTAT stima che oltre il 30% delle donne perde il lavoro dopo la gravidanza.
Di fronte a questa situazione, assistiamo al ricorso di strumenti contrattuali che facilitano la conciliazione tra famiglia e lavoro, come ad esempio il contratto di lavoro a tempo parziale (part-time), ma ancora troppo esigui in relazione alla totalità della forza lavoro femminile.
Infine, il gender gap si riverbera anche sul piano pensionistico. Infatti, da un’analisi della DG Occupazione della Commissione europea, si osserva che le donne percepiscono una pensione del 40% inferiore rispetto agli uomini.
Si evidenzia, altresì, che le donne di età compresa tra i sessantacinque e i settantaquattro anni sono a rischio povertà fino al 4% in più rispetto agli uomini, differenza che arriva al 6% in più dopo i 75 anni.
Alla luce delle considerazioni svolte, possiamo affermare che il principio di uguaglianza non può nascondere né colmare le differenza che esiste tra gli uomini e le donne. Spesso questo principio non riesce a governare nemmeno le diversità che ci sono tra un uomo ed un altro, poiché l’identità porta con sé un tale numero di difformità che si traducono in distonie sostanziali.
Honoré de Balzac scriveva «L’égalité peut être un droit, mais aucune puissance humaine ne saurait la convertir en fait», mostrando chiaramente come gli uomini non siano mai riusciti a realizzare pienamente un diritto astratto, come quello dell’uguaglianza tra le persone.
Una democrazia ed un Paese civile non può e non deve rinunciare a predisporre le condizioni necessarie affinché il principio costituzionale di uguaglianza tra le donne e gli uomini possa realizzarsi con sempre maggior concretezza. Le differenze tra i sessi, e in generale tra le persone possono spingere le azioni e le politiche attive del lavoro a garantire pari opportunità di scelta e di realizzazione. È possibile, infatti, prevedere servizi (siano essi organizzativi, formativi), soluzioni (contrattuali, relativi al tempo e allo spazio del lavoro), supporti (di welfare aziendale e sociale) che consentano a persone diverse di costruire percorsi di vita di uguale valore, in grado di consentire la valorizzazione dei propri talenti.
È un difficile cammino, questo, ma possibile e percorribile. L’essere persona, prima ancora che donna o uomo, comporta essere portatori di azioni e di pensiero, utili sempre, se ben indirizzati e realizzati, al benessere individuale e collettivo.
La distanza tra un principio di rango costituzionale e la sua compiuta applicazione non deve risiedere negli ostacoli esterni o nell’impossibilità concreta di affermazione delle persone, ma al limite nelle scelte individuali, di libertà e consapevolezza.
Sara Giacobazzi @sara_giacobazzi
Sonia Orlandini @SoniaOrlandini
Studentesse #DirLav2015, II anno in Economia Aziendale,
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia