La maggiore rappresentatività comparata nel settore del commercio: si può ripartire da Campobasso

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Bollettino ADAPT 1° luglio 2024 n. 26
 
Una legge di una assoluta avanguardia. Questo il giudizio di Umberto Romagnoli, un indimenticato Maestro del diritto del lavoro, sulla riforma del processo del lavoro del 1973. A condizione, tuttavia, che il giudice del lavoro fosse messo in grado di conoscere le reali dinamiche delle relazioni industriali.
 
Anche per questo motivo Umberto Romagnoli suggerì di valorizzare l’art. 21, comma 4, della legge n. 533/1973, dove si affida al Ministro della giustizia di organizzare specifici corsi di preparazione per i magistrati che intendessero acquisire una particolare specializzazione in materia di lavoro e sindacato.
 
L’idea era quella di superare una certa autoreferenzialità del formalismo giuridico e integrare la classica formazione delle professioni legali con materie che ancora oggi non vengono prese in considerazione dai piani di studio delle facoltà giuridiche (U. Romagnoli, A cosa serve questa ricerca, in T. Treu (a cura di), Sindacato e magistratura nei conflitti di lavoro, vol. II, Il Mulino, 1975, pp. 197-212, spec. p. 205).
 
È in questa prospettiva che forse si può leggere il rebus interpretativo della maggiore rappresentatività comparata che potrebbe invero trovare facile soluzione partendo dai dati di realtà e anche nel buon senso visto che non è in discussione la rappresentatività di questo o quel sindacato, che oggi non si nega a nessuno o quasi, ma il criterio di selezione di un determinato contratto collettivo, a fini legali, in ragione della sua provenienza da un sistema di contrattazione collettiva che, comparato agli altri che insistono sullo stesso settore, risulta più rappresentativo.
 

Si pensi al caso in cui il datore di lavoro deve determinare la retribuzione imponibile ai fini previdenziali (art. 2, comma 25 della legge n. 549/1995), oppure quando lo stesso richiede il riconoscimento di particolari benefici economici e normativi (cfr. art. 1, comma 1175 della legge n. 296/2006); o, ancora, quando l’imprenditore vuole usufruire di particolari misure di flessibilità nell’impiego di tipologie contrattuali no-standard (cfr. art. 51 del d.lgs. n. 81/2015). Quale è il contratto collettivo di riferimento per il settore o, più precisamente, in caso di presenza di più contratti di settore quale è il contratto da applicare al caso concreto?
 
Sul punto compete indubbiamente al giudice il dovere di dirimere il dubbio su quale, tra più contratti, sia quello che è sottoscritto da organizzazioni sindacali (anche tra loro “coalizzate”) i cui indici di rappresentatività, messi in comparazione a quelli posseduti da altre organizzazioni sindacali sottoscriventi CCNL concorrenti, risultino superiori.
 
Di grande interesse, da questo punto di vista è la recente sentenza del Tribunale di Campobasso dello scorso 10 aprile 2024 che bene integra il ragionamento giuridico con una puntuale conoscenza dei dati di realtà del nostro sistema di relazioni industriali.

 
Esattamente come suggeriva Umberto Romagnoli e che, per questo motivo, potrebbe ora fornire un utile contributo per fare definitivamente chiarezza su una questione troppo a lungo gestita in modo distante dalla ratio legis e dalle dinamiche contrattuali in aderenza all’art. 39 della Costituzione che promuove il sindacato non in sé ma nella prospettiva della effettività della tutela dei lavoratori.
 
Il Tribunale di Campobasso, giustamente, sottolinea che “per stabilire la maggiore o minore rappresentatività non si deve considerare il CCNL bensì le parti sociali, sia dal lato datoriale sia dal lato lavoratori”.
 
Pertanto, al giudice del lavoro non può essere assolutamente indifferente se il contratto collettivo applicato dalla impresa sia sottoscritto da una organizzazione sindacale dei lavoratori o dei datori piuttosto che da un’altra.
 
Quando la legge lo richiede in modo specifico, la verifica della rappresentatività comparata deve riguardare pertanto sia la delegazione sindacale dei lavoratori che quella delle imprese considerando, quindi, non questa o quella organizzazione sindacale singolarmente intesa ma l’intera compagine sindacale (dei lavoratori e delle imprese) che partecipa alla gestione di un determinato sistema contrattuale.
 
In questo senso, il Tribunale di Campobasso ha puntualizzato che, ai fini dell’art. art. 2, comma 25 della legge n. 549/1995, il CCNL Commercio ANPIT-CISAL non può dirsi sottoscritto “dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria” poiché, seppure sia riscontrabile un certo grado di rappresentatività in capo alla CISAL attraverso l’esame di alcuni documenti istituzionali, non può dirsi lo stesso riguardo all’ANPIT, non citata nella documentazione acquisita agli atti del processo.
 
Per contro, il giudice osserva come dalla medesima documentazione allegata agli atti del processo emerga che il CCNL Terziario, Distribuzione e Servizi sottoscritto dall’associazione datoriale Confcommercio e dalle organizzazioni sindacali Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil sia il contratto collettivo comparativamente più rappresentativo rispetto agli altri CCNL di categoria, in quanto l’organizzazione datoriale sottoscrivente sarebbe “rappresentativa del 97,23% delle Aziende del Settore” mentre la coalizione delle organizzazioni sindacali dei lavoratori sarebbe rappresentativa “del 95,04% dei lavoratori del settore, pari a 396.858 Aziende e 2.396.370 lavoratori del settore”.
 
Dati questi facilmente verificabili attraverso il codice alfanumerico dei rispettivi CCNL e i flussi Uniemens come riportato nell’Archivio nazionale dei contratti e accordi collettivi di lavoro del CNEL.
 
Ripartire da questa sentenza del Tribunale di Campobasso può, a nostro avviso, essere utile per due motivi. Da un lato, si chiude in radice e con trasparenza un labirinto interpretativo fondato su un equivoco fattuale con una posizione che non è certo strumentale a favore di questo di quel sistema contrattuale ma, più semplicemente, ad una corretta applicazione della legge per quello che espressamente afferma e per quella che è la sua ratio. Dall’altro, si apre la strada alla verifica della rappresentatività che tenga conto, più che delle singole organizzazioni sindacali, dei sistemi contrattuali che tali organizzazioni sindacali (delle imprese e dei lavoratori) generano e la relativa capacità di copertura (nei termini di numero di lavoratori e numero di imprese ai quali il CCNL viene applicato).

 
Giovanni Piglialarmi

Ricercatore in diritto del lavoro

Università di Modena e Reggio Emilia

@Gio_Piglialarmi
 
Michele Tiraboschi
Professore Ordinario di diritto del lavoro
Università di Modena e Reggio Emilia

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La maggiore rappresentatività comparata nel settore del commercio: si può ripartire da Campobasso
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