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Bollettino ADAPT 9 gennaio 2023, n. 1
Il tema delle pensioni, come era inevitabile, è stato al centro della recente campagna elettorale, con proposte che spaziavano dall’adeguamento delle pensioni minime al superamento della tanto discussa riforma del 2011, che ha introdotto i principali meccanismi oggi in vigore per avere accesso ai trattamenti previdenziali. Diverse parole d’ordine, che abbiamo ormai imparato a conoscere – da “flessibilità in uscita” a “ricambio generazionale” – e, in generale, uno scarso grado di dettaglio sulle proposte effettive da portare avanti una volta instaurato il nuovo governo, se si fa eccezione per qualche cifra e quota volta principalmente ad accendere il dibattito tra le parti. La Legge di Bilancio 2023, tuttavia, se si guarda al capitolo “previdenza”, sembra sgonfiare le diverse attese su questo primo passaggio importante del nuovo governo, stretto tra i vincoli di bilancio e il poco tempo a disposizione. Ripercorrerne i principali passaggi aiuta quindi a capire perché, per una vera riforma strutturale, c’è ancora da aspettare.
Indicizzazione delle pensioni e rivalutazione straordinaria
Il primo passaggio importante, che va a innovare ulteriormente la disciplina dopo le modifiche già introdotte negli scorsi anni, riguarda i meccanismi di rivalutazione delle pensioni introdotti negli anni al fine di favorire indicizzazione piena solo per le pensioni più basse e la rivalutazione parziale per quelle più elevate. Sotto questo aspetto, la Legge di Bilancio 2023 va a sostituire lo schema di rivalutazione finora in vigore, basato su 3 diverse fasce di reddito, con un nuovo meccanismo biennale a sei fasce, che comporta una stretta progressiva sugli importi superiori a 4 volte il trattamento minimo INPS (ossia superiori a 2.101,52 euro lordi al mese). Parallelamente a questa “penalizzazione” per i pensionati che ricevono trattamenti più elevati, il governo rafforza, in via transitoria, le pensioni minime, introducendo una rivalutazione straordinaria per il 2023 dell’1,5% rivolta a coloro che percepiscono una pensione non superiore al trattamento minimo mensile INPS, oggi pari a 525,38 euro. Per i pensionati con almeno 75 anni l’aumento sarà del 6,4%, in maniera tale che l’assegno minimo possa raggiungere la soglia “psicologica” dei 600 euro mensili
Flessibilità in uscita
Il capitolo più corposo della legge in materia di pensioni, tuttavia, ha riguardato il tema della flessibilità in uscita. Da questo punto di vista, 3 sono gli strumenti individuati dal governo, in linea di continuità con quanto già previsto nella manovra 2022, seppur con alcune rilevanti modifiche.
In primo luogo è stato posticipato al 31 dicembre 2023 il termine di scadenza del periodo di sperimentazione del c.d. APE Sociale, la forma anticipata di pensionamento che prevede l’erogazione di un’indennità da parte dell’INPS a specifiche tipologie di lavoratori con particolari esigenze di tutela (disoccupati, invalidi civili, caregivers, addetti a mansioni gravose) fino al raggiungimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia. Nell’ambito dello stesso intervento, sono state confermate le principali novità introdotte con la Legge di Bilancio 2022, che hanno ampliato il campo dei destinatari della misura e reso l’accesso più agevole ad alcune categorie di lavoratori (operai edili e ceramisti).
Una conferma è giunta anche per Opzione Donna, estesa alle lavoratrici che abbiano perfezionato i requisiti richiesti entro il 31 dicembre 2022, anche se in questo caso si osservano alcune importanti novità, che restringono notevolmente il campo di applicazione della misura. Innanzitutto, l’età anagrafica richiesta per l’accesso, da combinarsi con il requisito contributivo di 35 anni, si alza a 60 anni (rispetto al precedente regime, in cui si parlava di 58 anni per le lavoratrici dipendenti e 59 per le autonome), pur con la possibilità di abbassare tale requisito di un anno per ogni figlio, nel limite massimo di 2 anni. Il vero fattore di cambiamento della misura, tuttavia, consiste nell’introduzione di una condizione soggettiva che la lavoratrice dovrà possedere al momento della domanda. A partire dal 2023, infatti, potranno accedere a Opzione donna solo le lavoratrici con una riduzione della capacità lavorativa pari o uguale al 74%, le lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese in crisi (in questo caso, con un requisito anagrafico “fisso” di 58 anni, a prescindere dal numero di figli) nonché le c.d. caregivers. Per quanto riguarda la decorrenza del trattamento rimane invece in vigore la finestra mobile, che fa slittare l’erogazione della pensione dalla data di maturazione dei requisiti, per un periodo pari a 12 mesi per le lavoratrici dipendenti e 18 mesi per le lavoratrici autonome.
La terza misura sperimentale volta a promuovere una maggiore flessibilità uscita consiste infine nell’introduzione della c.d. Quota 103, che sostituisce la misura annuale di Quota 102, introdotta con la scorsa legge di bilancio per favorire con una misura transitoria un ritorno graduale e generalizzato ai requisiti ordinari previsti con la riforma del 2011, dopo la sperimentazione triennale. Anche per il 2023, dunque, il legislatore decide di garantire una “via d’uscita” ai lavoratori in possesso di una specifica combinazione di requisiti, che in quest’anno corrispondono a un’età anagrafica non inferiore a 62 anni; e un’anzianità contributiva di almeno 41 anni. Al di là della diversa “quota” rispetto alle due sperimentazioni precedenti, quest’anno si aggiungono due meccanismi, volti in un certo senso a disincentivare l’accesso alla misura. Da una parte, infatti, viene stabilito che l’importo della pensione con Quota 103 non potrà essere superiore a 5 volte il trattamento minimo INPS, per tutte le mensilità di anticipo del pensionamento rispetto al raggiungimento dei requisiti anagrafici ordinari per la pensione di vecchiaia. Dall’altra parte, con la nuova legge di bilancio viene introdotto un meccanismo (le cui modalità di attuazione saranno definite con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali) secondo il quale i lavoratori che, nonostante il raggiungimento dei requisiti per Quota 103, rimangano in servizio, potranno chiedere al proprio datore di lavoro la corresponsione in busta paga della quota di contribuzione previdenziale a proprio carico, in alternativa rispetto all’accredito della stessa alla gestione pensionistica.
In conclusione
Guardando con uno sguardo complessivo alle misure adottate sul fronte pensionistico, la manovra 2023 pare porsi in linea di continuità con gli ultimi passaggi in campo previdenziale del governo Draghi, da una parte con le misure transitorie per garantire il potere d’acquisto delle pensioni più basse a fronte delle tensioni inflazionistiche, dall’altra riconfermando (seppur con le novità presentate) l’impianto delle forme sperimentali di flessibilità in uscita inserite con la manovra 2022. Uno schema, quest’ultimo, che scontenta i sindacati (qui ad esempio la dura analisi della Cgil-Fdv, in cui sono compiute alcune stime sull’accesso a Quota 103, Opzione Donna e Ape Sociale) e rinvia ancora una volta la riforma strutturale del nostro sistema previdenziale. Si tratta di un obiettivo che a parole quasi tutti paiono inseguire, dalla politica alle parti sociali, e nella pratica si scontra con la carenza di risorse e la difficoltà di ricomprendere, nella stessa partita, sfide tanto ambiziose quanto difficili da conciliare (dalla pensione di garanzia per i giovani a forme generalizzate di flessibilità in uscita, passando per un aumento delle pensioni minime).
La ministra Calderone ha già convocato, per il 19 gennaio, il primo tavolo con le parti sociali per discutere sin da subito il pacchetto di interventi strutturali da rendere gradualmente operativi a partire dal 2024. Si (ri)apre quindi un percorso non facile, stretto tra obiettivi di ampia portata, i punti fermi della piattaforma sindacale (che rimangono i medesimi del periodo pre-pandemico) e le difficoltà di operare un pieno monitoraggio e una seria riflessione sull’efficacia delle misure sperimentali periodicamente riproposte. Un anno di lavoro per scongiurare il “rischio” di ritrovarsi tra un anno allo stesso nastro di partenza, con vecchie risposte e nuovi tavoli.
Michele Dalla Sega
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena