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Bollettino ADAPT 5 ottobre 2020, n. 36
Sin dall’inizio dell’emergenza coronavirus si è assistito ad uno “snaturamento” della funzione originaria della modalità di esecuzione della prestazione lavorativa agile così come disciplinata dall’art. 18 della legge 81/2017. L’originale impianto normativo regolava l’istituto con lo scopo di “incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro” pur rimanendo all’interno di una cornice giuridica subordinata, ma organizzando la modalità di esecuzione per fasi cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario e luogo di lavoro. Veniva inoltre fatto salvo il principio di alternanza tra interno dei locali aziendali ed esterno senza una postazione fissa pur rimanendo entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
L’originario impianto partiva pertanto con un’impostazione regolativa piuttosto “leggera” basata su un accordo individuale stipulato per iscritto che non escludeva però interventi integrativi da parte della contrattazione collettiva sia di carattere nazionale che, soprattutto, di carattere aziendale. È proprio nel tessuto aziendale e di prossimità che sono sorte le prime pionieristiche iniziative volte a disciplinare nuove particolari modalità alternative di esecuzione della prestazione lavorativa al di fuori dei locali aziendali e sempre più incentrate sull’autonomia e sui risultati finanche in assenza di una normativa di carattere nazionale (per una rassegna si rimanda a “Guida Pratica al lavoro agile dopo la legge 81/2017”, E.Dagnino, M.Menegotto, L.M. Pelusi, M.Tiraboschi; ADAPT University Press, 2017; “Il lavoro agile” nella contrattazione collettiva oggi. Analisi sui contenuti di 915 contratti della banca dati www.farecontrattazione.it”, Emanuele Dagnino, Paolo Tomassetti, Clara Tourres, Michele Tiraboschi, Working Paper n. 2/2016, ADAPT University Press).
La normativa emergenziale, tramite i D.P.C.M. e decreti legge emanati sin dall’inizio del gennaio 2020 ha contribuito a mutare non solo la natura dello strumento, ma anche la disciplina normativa di riferimento. Il primo decreto emanato per rispondere all’emergenza, il n. 6/2020 convertito in legge n.13/2020 ha previsto che la modalità lavorativa agile potesse essere applicabile in via automatica ad ogni rapporto di lavoro subordinato anche in assenza di accordi individuali nell’ambito delle aree considerate a rischio, fermo restando l’obbligo di informativa di cui all’art 23 della legge 81/2017. Il successivo decreto legge 19 del 25 marzo 2020, con la finalità di contenere e contrastare il rischio sanitario derivante dalla diffusione del virus, ha predisposto l’adozione di diverse misure tra cui anche il lavoro agile in deroga alla disciplina vigente. Il successivo decreto c.d. “Rilancio” convertito in legge n.77 il 17 luglio 2020 ha previsto che fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica, i genitori lavoratori dipendenti del settore privato che hanno almeno un figlio minore di anni 14 abbiano diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile anche in assenza degli accordi individuali, rispettando però gli obblighi informativi andando a configurare una sorta di “diritto al lavoro agile”.
Alla luce dell’apparente snaturamento del controverso istituto del lavoro agile tra parti sociali, giuslavoristi, ministero del lavoro, rappresentanti dei lavoratori e delle imprese e finanche sindaci (vedasi E. Dagnino, Lo smart working oltre la dimensione contrattuale. Brevi riflessioni sul caso Milano, Bollettino ADAPT 31 agosto 2020, n. 31) è sorto un confronto circa la necessità di una nuova regolamentazione dell’istituto nonostante la normativa sia piuttosto recente. Forte impulso a questa impostazione è stato dato dal Ministero del lavoro dove si è deciso di convocare un apposito tavolo di confronto con le parti sociali: secondo il dicastero del lavoro infatti, la normativa, seppur non risalente nel tempo, avrebbe la necessità di essere rafforzata e aggiornata alla luce della diffusione che ha avuto lo strumento. L’impostazione ministeriale sembrerebbe contemplare il ruolo della contrattazione collettiva quale strumento indispensabile per modulare gli interventi alle singole realtà specifiche, vorrebbe rimettere al centro il già disciplinato diritto alla disconnessione, e sembrerebbe voler superare il meccanismo dell’accordo individuale su cui si è basato sino ad oggi tutta la disciplina dell’istituto (escluso ovviamente il periodo emergenziale durante il quale si è permesso di ai datori di lavoro di ricorrere al lavoro agile con decisione unilaterale tramite un meccanismo semplificato valido per tutta la durata dello stato di emergenza, attualmente in scadenza al 15 ottobre).
Con la finalità di tutelare l’originario istituto del lavoro agile, i suoi principi ispiratori di semplicità e adattabilità applicative è stato promosso da una serie di giuslavoristi, rappresentanti, sindacalisti, esperti in ambito di lavoro, consulenti aziendali un Appello al Governo per rilanciare il lavoro agile, no iper regolazione, più spazio alla contrattazione. Finalità dell’appello è quello di ispirarsi alla originaria filosofia dello smart working definita dall’ Osservatorio Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano come “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”. (In tal proposito M. Corso, “Sfide e prospettive della rivoluzione digitale: lo smart working”, DRI n.4/2017). Parere dei sottoscrittori dell’appello è che la legislazione attuale consenta già di demandare al livello organizzativo aziendale la definizione del suo funzionamento sia in merito alle categorie, al numero di beneficiari che ad ogni altro aspetto organizzativo.
Medesima impostazione sembrerebbero (sia concesso utilizzare il condizionale poiché la situazione è in fieri) aver assunto le parti sociali sia sindacali che datoriali in materia. Consultando documenti, rapporti o audizioni parlamentari svolte in materia (per una rassegna si rimanda a Bollettino ADAPT 3 giugno 2020, n. 22, sezione “Studi, ricerche, documenti istituzionali”) si evince come vi sia una uniformità di intenti da parte delle principali Confederazioni nel demandare allo strumento della contrattazione collettiva o della regolamentazione aziendale la disciplina specifica dell’istituto (e quindi le fasce orarie, i tempi di riposo e di disconnessione, i giusti carichi di lavoro, la strumentazione, il coordinamento con gli attori territoriali e gli enti di prossimità). Unanime sembrerebbe essere anche l’opinione sindacale e delle imprese su ciò che dovrebbe essere in realtà lo smart working per mettere in evidenza come quello svolto sinora sia piuttosto una remotizzazione delle attività, un mero spostamento del luogo di lavoro, un home working indotto dalla situazione emergenziale e non un vero e proprio mutamento di filosofia dal momento in cui viene solo parzialmente aperta una breccia nel muro paradigma subordinato.
Nonostante l’assenza di una posizione unitaria di CGIL CISL e UIL in materia di lavoro agile tutte le confederazioni in sede di audizione parlamentare sul decreto Legge n.34/2020 (l’ultima normativa che ha operato in modo incisivo sull’istituto) hanno espresso la propria opinione. La CGIL ha sottolineato come, a differenza di quanto accaduto per la sottoscrizione dei Protocolli sulla sicurezza che hanno consentito gradualmente la riapertura concordata delle attività economiche, nel caso dello smart working si sia scelta la strada dell’unilateralità. Infatti introducendo una deroga alla legge giustificata dalla situazione emergenziale non è stato previsto alcun ruolo alla contrattazione e alle parti sociali. Ulteriore focus messo in luce dal sindacato è la conseguenziale problematica sociale della cura dei figli, totalmente scaricata sulle spalle dei genitori, in particolare delle lavoratrici madri. Per agire in una prospettiva più ampia e coordinata, anche con altri attori sociali territoriali il sindacato di Corso D’Italia propone di uscire dalla fase emergenziale dando piena applicazione al dettato normativo originario e alla contrattazione collettiva.
Stessa impostazione ha assunto la CISL, che, nel rimarcare il ruolo dell’autonomia collettiva e della contrattazione propone di recuperare la ratio originaria dell’istituto ripristinando l’accordo individuale e avanzando l’idea di incentivi mirati per aziende che regolamentino l’istituto con accordo aziendale. Centrale anche in tal caso è il ruolo dello strumento della contrattazione per sfruttare le potenzialità e ridurre le criticità dell’istituto che sono emerse durante la fase di utilizzo obbligato ed estemporaneo.
La UIL ha espresso forte perplessità sui rischi connessi al ricorso della modalità lavorativa agile, in particolare delle donne lavoratrici, il cui cumulo di lavoro presso la propria abitazione si somma al lavoro di cura e proprio per questo necessiti di una approfondita contrattazione tra le parti. Anche a parere del neosegretario Bombardieri il lavoro agile deve divenire una costante ma necessita alla sua base di una forte contrattazione sull’organizzazione del lavoro, sul diritto alla disconnessione, sui costi connessi all’infrastruttura tecnologica.
Il fronte datoriale non si è espresso con notazioni rilevanti sulle prospettive di riforma poiché molte associazioni per loro tradizione sono meno propense alla promozione dello strumento (si pensi al settore commercio o artigianato). Alcune associazioni rappresentanti il settore digitale, (strutturalmente più propenso all’utilizzo di nuove forme organizzative del lavoro) si sono spinte in richieste di semplificazione o proroghe per le procedure attualmente in uso.
Volendo trarre una conclusione, che inevitabilmente è in totale evoluzione dal momento in cui la discussione sulle prospettive di riforma è appena iniziata, possiamo dire che il focus messo in evidenza dalle parti sociali sia quello di ricondurre gran parte della materia nel solco della contrattazione collettiva. Ed è forse proprio questa una delle sfide che attende il moderno sindacato e le parti sociali: quella di cercare un equilibrio tra erosione della dimensione collettiva del lavoro (specialmente in certe tipologie di moderni lavori e il fenomeno del lavoro agile ne è un esempio calzante) e continua tensione all’individualizzazione del rapporto di lavoro.
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
Università degli Studi di Siena