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Bollettino ADAPT 5 settembre 2022, n. 29
Il sistema dell’apprendistato tedesco è universalmente riconosciuto, sia dalla letteratura scientifica che dai decisori politici, come un modello virtuoso di costruzione delle professionalità e delle competenze, in grado garantire alti livelli di occupazione giovanile, rapide transizioni scuola-lavoro e permettere alle imprese di soddisfare i propri fabbisogni di professionalità e competenze. L’efficacia del modello è confermata anche dai dati riguardanti la diffusione dell’apprendistato in Germania, che storicamente si attestano su valori molto più elevati che negli altri Paesi europei (e non solo), e che dimostrano il grande interesse per questo istituto da parte delle imprese. Si tratta di un modello che gode di grande stabilità, costruito sulla concertazione tra enti formativi, imprese e rappresentanze sindacali in ottica migliorativa, soprattutto se confrontato ad altri casi, come quello italiano, in cui l’apprendistato fatica ad affermarsi quale metodo formativo, seppur goda di un interesse via via crescente (in primis da parte tecnici e studiosi, mentre è ancora ampiamente sottovalutato dalle imprese e dalle rappresentanze).
È possibile riscontrare alcune ragioni alla base dell’efficacia dell’apprendistato tedesco attraverso la ricostruzione storica della sua evoluzione, operazione svolta dall’autrice K. Thelen nel testo How Institutions Evolve: The Political Economy of Skills in Germany, Britain, the United States and Japan, del 2004.
Il punto di partenza della ricostruzione va ricercato alla fine diciannovesimo secolo, periodo di forte industrializzazione dell’impero tedesco che comporta rilevanti evoluzioni da un punto di vista economico, sociale, culturale. Una delle particolarità dell’industria tedesca è la sopravvivenza di un forte settore dell’artigianato, organizzato in corporazioni volontarie (Innungen) che godevano di specifiche prerogative e responsabilità nella formazione dei lavoratori. In modo particolare, le imprese del settore artigiano erano per tradizione responsabili della gestione del sistema dell’apprendistato: accoglievano al loro interno giovani che, in seguito ad un periodo di apprendimento e affiancamento nelle attività al maestro artigiano, potevano ottenere la qualifica professionale di operaio specializzato. Il governo del periodo considerato adottò misure a protezione del settore dell’artigianato, individuando in esso una sorta di collante economico-sociale della società tedesca, da contrapporre alle istanze democratiche dei liberali, rappresentati dalla borghesia industriale, e al riformismo radicale dei movimenti dei lavoratori che assumevano sempre più forza.
La legge imperiale del 1897 sulla tutela dell’artigianato certifica tale prerogativa del settore, costruendo un sistema basato sulle Camere per l’Artigianato (Handwerkskammern o HWK) che avevano a livello territoriale la titolarità del potere di regolamentazione e gestione del sistema dell’apprendistato, mentre le imprese artigiane erano le uniche deputate ad accogliere giovani apprendisti. Le HWK erano responsabili di definire i termini dei contratti di apprendistato, compresa la durata del periodo formativo, i diritti e i doveri dell’apprendista, il numero di apprendisti che un’impresa poteva assumere, e regolavano la “produzione” di figure professionali, limitando l’accesso a determinati mestieri e la possibilità di sovrapproduzione di operai specializzati nello stesso settore.
Ma il grande potere attribuito alle camere dell’artigianato risiedeva soprattutto nella titolarità di assegnare, al termine del periodo di apprendistato e previo superamento di un esame da svolgersi nelle HWK, la qualifica di operaio specializzato (journeyman) e il riconoscimento delle competenze acquisite durante il periodo formativo. Si tratta di un passaggio fondamentale per lo sviluppo del sistema di formazione professionale tedesco: veniva così attestata la presenza di un sistema riconosciuto a livello nazionale, obbligatorio, di certificazione delle qualifiche e delle competenze, che aveva la sua origine nella legge ma era costruito per mezzo delle rappresentanze di soggetti privati (le Camere dell’Artigianato o HWK) che svolgevano una funzione ad interesse pubblico, e garantiva che i lavoratori venissero formati all’interno delle piccole imprese artigiane. Di tale sistema di formazione beneficiava la grande industria, in rapida evoluzione tecnologica, per soddisfare i propri fabbisogni di lavoratori qualificati e portatori di un bagaglio di competenze certificate.
Dopo un iniziale scetticismo delle rappresentanze nei confronti del sistema dell’apprendistato, l’ingresso di lavoratori formatisi proprio nelle imprese artigiane contribuì all’assimilazione da parte del sindacato di questo sistema di costruzione delle competenze. Come evidenzia l’autrice, nel 1913 all’interno del sindacato dei metalmeccanici (Deutscher Metallarbeiterverband o DMV), il più numeroso della Germania del tempo, circa l’80% dei lavoratori iscritti era composto da lavoratori qualificati del settore industriale che avevano acquisito le loro competenze all’interno del sistema dell’apprendistato.
L’industria tedesca, complice anche la rapida evoluzione tecnologica del settore industriale nel periodo considerato, iniziò a manifestare il proprio dissenso per la gestione “chiusa” del sistema dell’apprendistato tedesco da parte del settore dell’artigianato, avanzando due principali critiche. Da una parte, le imprese artigiane non producevano un numero sufficiente di apprendisti in grado di soddisfare i fabbisogni di lavoratori del settore; tale problematica veniva accentuata dal controllo che le HWK imponevano nell’accesso a determinate professioni per volontà delle imprese nel settore dell’artigianato. In secondo luogo, gli apprendisti che fuoriuscivano da percorsi di apprendistato non erano pienamente formati alle nuove tecnologie, che venivano introdotte e innovate ad un ritmo elevato; le piccole e piccolissime imprese artigiane non potevano competere dal punto di vista delle tecnologie con la grande industria tedesca.
Fu così che le grandi imprese del settore industriale intrapresero singole strategie per internalizzare i sistemi di formazione delle competenze all’interno delle imprese; nacquero così le prime Werkschulen, delle vere e proprie scuole all’interno degli stabilimenti produttivi responsabili della formazione teorica e tecnica. L’approccio “razionalizzante” delle grandi imprese verso la formazione era nettamente differente dalla tradizionale formazione Meisterlehre delle imprese artigiane, che si basava sull’apprendimento on-the-job dell’apprendista in affiancamento al maestro artigiano. Il modello industriale prevedeva invece una formazione separata dal processo produttivo, dove l’apprendista non offriva il proprio contributo in termini lavorativi come parziale contropartita ai costi della formazione, che invece venivano sostenuti interamente dall’azienda; tale formazione era altresì rivolta ad un ampio numero di apprendisti e priva della dinamica “maestro-allievo” che si ritrovava nelle imprese artigiane dove ogni maestro era responsabile dell’apprendimento di pochi apprendisti o spesso di uno solo. La formazione impartita era molto specifica e legata alle esigenze produttive dell’azienda, e finalizzata ad impartire non solo competenze tecniche ma anche trasferire i valori aziendali aumentando la lealtà e la devozione dei lavoratori nei confronti delle imprese. Nonostante tale iniziativa, il problema principale restava quello della certificazione delle professionalità e delle competenze, che era una prerogativa specifica delle HWK.
La crescente importanza dell’apprendistato venne recepita anche dai sindacati: dall’osservazione di circa tremila contratti collettivi emerge come, tra il 1922 e il 1923, il 30% degli apprendisti nel settore metalmeccanico e dell’industria meccanica fosse coperto da accordi collettivi regionali o locali. Il sindacato DMV rileva come nel 1920 il 2,6% dei contratti collettivi regolava l’apprendistato, mentre nel 1930 la percentuale aumenta fino al 45,7%. La regolamentazione per mezzo dei contratti collettivi portò ad un lungo conflitto tra le parti sociali e le rappresentanze del settore dell’artigianato, che consideravano l’ingerenza dei sindacati coma una violazione di legge, in riferimento ai poteri ad esse attribuiti dalla legge del 1897 in tema di gestione autonoma ed esclusiva dell’apprendistato.
In questo contesto, due furono i principali soggetti che rappresentarono la spinta riformatrice del settore dell’industria nei riguardi dell’apprendistato.
Nel 1908 nasce il Deutscher Ausschuß für Technisches Schulwesen o DATSCH, un comitato che raccoglieva le imprese metalmeccaniche, chimiche ed elettroniche tecnologicamente più avanzate che avevano avviato progetti di formazione indipendenti per i giovani lavoratori. Le proposte della DATSCH per la riforma dell’apprendistato erano di tipo conciliativo e prevedevano un’apertura e un dialogo sia con il settore dell’artigianato che nei confronti dei sindacati. In questo senso, risulta fondamentale l’attività della DATSCH nel corso degli anni Venti, che elabora e diffonde un inventario standardizzato delle professioni industriali, con le specifiche competenze richieste per ciascun profilo, insieme a materiali e corsi per la formazione molto dettagliati (Lehrgänge) per i mestieri più comuni: costruttori, montatori, attrezzisti, modellisti, stampatori, fabbri e meccanici di precisione. Il lavoro della DATSCH fungerà da base nell’ottica della standardizzazione e sistematizzazione delle competenze, e si diffonderà rapidamente anche nel settore dell’artigianato. I principali obiettivi perseguiti dal comitato nel corso degli anni si possono così riassumere:
– accrescere la centralità e l’importanza della formazione di tipo industriale;
– affrontare il problema dello skills gap tra le competenze che gli apprendisti acquisivano tramite l’apprendistato tradizionale nel settore artigiano, ritenute non più idonee, e quelle necessarie ad un settore industriale sempre in evoluzione;
– coinvolgere il governo nello sviluppo della formazione di tipo industriale, i cui costi ricadevano esclusivamente sulle imprese;
– attirare un maggior numero di giovani per colmare i fabbisogni professionali delle imprese;
– Fare in modo che anche la formazione di tipo industriale potesse essere riconosciuta ufficialmente dalle HWK. Il alcuni casi, le imprese che si occupavano di formazione stilavano degli accordi con le HWK territoriali per la certificazione dei propri apprendisti, che si rivelavano spesso infruttuose per l’ostilità delle Camere nel concedere le certificazioni o i riconoscimenti agli apprendisti provenienti dall’industria;
– Risolvere la problematica della “fuga” degli apprendisti che spesso, una volta terminato il periodo formativo, si spostavano in imprese che, non svolgendo attività formativa al proprio interno, erano in grado di garantirgli retribuzioni più alte; questo meccanismo disincentivava le imprese a costruire professionalità internamente, sostenendone i costi, col rischio di perdere l’investimento fatto in formazione.
L’altro soggetto sarà costituito nel 1925 dalle imprese dell’industria pesante siderurgica (tecnologicamente meno avanzate) che manifestano i propri interessi nell’ambito della formazione industriale attraverso la Deutsches Institut für Technische Arbeitsschulung o DINTA. La proposta di DINTA si caratterizza da subito come fortemente autarchica e antisindacale, in opposizione alla visione inclusiva della DATSCH: la formazione dei lavoratori è strettamente collegata alle necessità e ai bisogni dell’impresa, e oltre al trasferimento di competenze tecniche e professionali, mira a fidelizzare l’apprendista anche dal punto di vista ideologico e valoriale. L’approccio paternalistico ideato dalla DINTA allargava il raggio d’azione dell’impresa anche all’organizzazione della vita sociale dei lavoratori e delle loro famiglie; in questo senso, era fortemente contrastato il controllo pubblico sull’attività formativa delle imprese, le quali proponevano anche di sostituirsi all’istruzione pubblica obbligatoria per mezzo delle Werkschulen aziendali.
Le posizioni antisindacali di DINTA e la chiusura del settore dell’artigianato impedirono, durante gli anni Trenta, una possibile riforma dell’apprendistato allargando la partecipazione anche alle rappresentanze sindacali e datoriali.
Alcune conclusioni che è possibile trarre dalla ricostruzione dell’autrice:
– La formazione ha rappresentato, sin dall’epoca moderna, un tema fondamentale per il sistema produttivo tedesco, che ha coinvolto dal principio anche le rappresentanze sindacali.
– In ragione dell’interesse delle imprese, l’apprendistato tedesco si afferma da subito come un modello di formazione work-based funzionale alla costruzione della professionalità e delle competenze; questo elemento differenzia ancora oggi il modello di istruzione e formazione professionale tedesco dai sistemi school-based come quello italiano.
– L’evoluzione tecnologica delle imprese tedesche ha costituito, sin dal principio, un fattore di accelerazione per l’implementazione dell’apprendistato; allo stesso tempo, la formazione e l’acquisizione di competenze tecniche specifiche hanno rappresentato un punto di forza del sistema produttivo tedesco sin dal diciannovesimo secolo, favorendo la sua evoluzione tecnologica.
Marco Delle Chiaie
ADAPT Junior Fellow