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Bollettino ADAPT 20 febbraio 2023, n. 7
La reperibilità può essere definita come l’obbligo per il lavoratore coinvolto di essere contattabile al di fuori del proprio orario di lavoro per raggiungere la sede di lavoro in un tempo utile per eseguire la prestazione lavorativa richiesta: essa rappresenta un istituto regolato quasi esclusivamente dalla contrattazione collettiva nazionale e aziendale, dal momento che le disposizioni normative si limitano ad un richiamo all’articolo 7 del D.lgs. n. 66/2003 nella parte in cui si ammette – con regimi di reperibilità – la derogabilità al riposo giornaliero di 11 ore consecutive. Tale aspetto, che connota l’originalità di un istituto comunque centrale per moltissimi enti ed aziende di diversi settori, consente di affrontare il tema da un punto di vista di diritto delle relazioni industriali, senza dimenticare il punto di partenza rappresentato dalla definizione di orario di lavoro contenuta nella Direttiva UE 2003/88 e dalla relativa interpretazione da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulla distinzione tra reperibilità e, appunto, l’orario di lavoro. Se la Direttiva in questione definisce l’orario di lavoro come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni […]”, la CGUE è intervenuta più volte per definire la reperibilità e, in particolare, con la sentenza C-580/2019 essa si configurerebbe «quando i vincoli imposti al lavoratore nel corso di un periodo di guardia determinato non raggiungono un tale grado di intensità e gli consentono di gestire il suo tempo e di dedicarsi ai propri interessi senza grossi vincoli» In questo caso «soltanto il tempo connesso alla prestazione di lavoro che, eventualmente, sia effettivamente realizzata durante un periodo del genere costituisce orario di lavoro». A partire da un quadro normativo e giurisprudenziale definitorio piuttosto scarno, le Parti sociali hanno regolamentato la reperibilità attraverso la contrattazione collettiva ed è soltanto attraverso un’analisi del materiale contrattuale che è possibile ricostruire la disciplina dell’istituto e, al tempo stesso, riflettere sulle scelte messe in atto nei sistemi di relazioni industriali.
Per quanto riguarda la prima prospettiva delineata, la sua utilità consiste nel poter offrire una sintesi di quegli aspetti che debbono essere considerati qualora si renda necessario regolamentare la reperibilità in un contesto aziendale, pur senza tralasciare che in alcuni casi la relativa disciplina è già delineata a livello nazionale. Anzitutto, un accordo collettivo deve rispondere ad un’esigenza concreta e deve stabilire un ambito di applicazione che, d’accordo con le rappresentanze sindacali, non lasci spazi dubbi rispetto ai lavoratori coinvolti e vincolati dall’intesa raggiunta: in particolare, non si può che partire dai giorni e dalle fasce orarie in cui la reperibilità dovrà essere garantita per poi individuare le figure professionali coinvolte nelle rispettive aree interessate. Oltre a conferire certezza all’accordo, questo passaggio risulta fondamentale anche per le future assunzioni, rispetto alle quali l’area recruitment dovrà essere puntualmente informata sulla disciplina dell’istituto e sull’inclusione della nuova risorsa nell’ambito di applicazione, dato l’impegno gravoso che comporta la reperibilità e la sua rilevanza già in fase di colloqui di selezione. In più, sarà importante stabilire se il ricorso alla reperibilità sia volontario, obbligato oppure – come in alcuni casi – vincolare i lavoratori pur valorizzando la volontarietà e la spontaneità di adesione al servizio: il ruolo dei responsabili di area, in questi casi, è centrale per individuare le competenze necessarie per garantire gli interventi, e un buon accordo dovrà considerare una responsabilità manageriale rispetto alla vincolatività della reperibilità (ad esempio, una figura junior difficilmente potrà svolgere turni di reperibilità che comportano possibili interventi su impianti complessi) nonché individuare puntuali esclusioni e, al tempo stesso, aprire alla possibilità di corsi di formazione appositi.
Strettamente connesso a tale aspetto, un punto centrale riguarda l’individuazione dei presupposti di intervento, che è strategica perché connessa, da una parte, alle professionalità richieste per garantire il servizio, e dall’altra per delimitare le casistiche in cui i lavoratori coinvolti sono obbligati ad intervenire. Quest’ultimo tema trova grande interesse in fase di trattativa sindacale, poiché ampia o delimita l’ambito di responsabilità dei reperibili, le competenze necessarie e il corrispettivo economico; inoltre, la regolamentazione dei presupposti di intervento si confronta con il personale di vigilanza – spesso esternalizzato – e richiede pertanto attenzione dal punto di vista organizzativo. Le Parti, anche a seconda del contesto aziendale di riferimento, possono limitarsi a fissare una clausola generale per l’intervento (ad esempio, “in casi urgenti e indifferibili”) lasciando più direttamente alle figure professionali individuate l’ambito di responsabilità, oppure – anche in aggiunta alle clausole generali – tipizzare i casi di intervento suddivisi per aree professionali e aggiornarsi costantemente rispetto a nuove esigenze anche coordinandosi con eventuali esternalizzazioni della vigilanza o della manutenzione.
Un ulteriore aspetto nevralgico della disciplina della reperibilità riguarda l’organizzazione dei turni e del servizio, che rappresenta un importante elemento di confronto nei tavoli sindacali per via delle concrete implicazioni sui lavoratori coinvolti. Nello specifico, l’accordo dovrà fissare prima di tutto le fasce orarie all’interno delle quali i reperibili saranno coinvolti, nonché la durata dei turni, siano essi giornalieri o settimanali; per quanto riguarda l’organizzazione del servizio, invece, l’intesa stabilirà il numero di lavoratori reperibili per ogni turno e le rispettive competenze, prevedendo talvolta figure che assumono il ruolo di responsabile o coordinatore della reperibilità. Tali elementi confluiscono in un calendario del servizio di reperibilità, per il quale l’accordo solitamente fissa le tempistiche di preavviso e le modalità organizzative dello stesso, affidandone ai rispettivi manager la relativa gestione e specificando le possibili deroghe, nonché le tempistiche di preavviso qualora dovessero rendersi necessarie delle sostituzioni durante il turno e i possibili limiti allo svolgimento del servizio (ad esempio, un limite di ore o di settimane annuali di reperibilità). Inoltre, un punto importante relativo all’organizzazione del servizio riguarda l’attivazione dei reperibili, e cioè le modalità mediante la quale i lavoratori sono contattati al di fuori del proprio orario di lavoro e le tempistiche da garantire affinché l’intervento presso la sede di lavoro sia tempestivo; anche in questo caso, le Parti sono solite definire possibili impedimenti per l’intervento di un reperibile (ad es. cause di forza maggiore) per le quali si rende necessaria una giustificazione da parte del lavoratore. Anche la durata dell’accordo non è un aspetto secondario: considerata la possibile complessità della regolamentazione, spesso le Parti avviano sperimentazioni prima di confermare la vigenza in un triennio per confermare il regolare funzionamento degli aspetti organizzativi delineati nell’intesa.
Dal punto di vista del corrispettivo economico, l’accordo di secondo livello – se non già diversamente disposto dal contratto collettivo nazionale – può configurare i compensi secondo diversi modelli che si sono affermati nella prassi: a fronte di un’indennità di reperibilità generalmente corrisposta rispetto ai turni svolti, è possibile che essa sia onnicomprensiva oppure connessa al rimborso per le spese di viaggio. In taluni casi sono previsti gettoni di intervento o di chiamata che integrano o forfettizzano le maggiorazioni contrattuali in caso di svolgimento della prestazione lavorativa, piuttosto che riposi compensativi alternativi alla maggiorazione contrattuale. In ogni caso, le modalità di calcolo dell’indennità di reperibilità possono avvenire su base giornaliera, settimanale o anche su base oraria, prevedendo importi differenziati a seconda che si tratti di giorni feriali o festivi e di orari diurni o notturni ed escludendo la corresponsione degli stessi in caso di mancato svolgimento del servizio per qualsiasi assenza. La natura occasionale dei compensi per reperibilità, infine, può comportare, su esplicita previsione delle Parti, l’esclusione dalla base di computo per il trattamento di fine rapporto, ai sensi del secondo comma dell’articolo 2120 del Codice Civile, nonché l’inserimento di clausole che esplicitano l’onnicomprensività dei trattamenti rispetto ai possibili riflessi sugli istituti di retribuzione diretta e indiretta di origine legale o contrattuale.
Guardando alle scelte effettuate dalle Parti nei diversi sistemi di relazioni industriali, invece, è importante riflettere sulle differenze che possono emergere tra una disciplina della reperibilità a livello di contrattazione collettiva nazionale, piuttosto che una delega del CCNL alla contrattazione aziendale, o ancora ad una disciplina incentrata su intese individuali. Se l’ultima possibilità non riguarda propriamente la contrattazione collettiva e può comunque essere utile per configurare la reperibilità di figure professionali specifiche e per limitati periodi di tempo, un esempio concreto – quale potrebbe essere la differenza della disciplina dell’istituto tra il CCNL Metalmeccanici o il CCNL Elettrico e il CCNL Chimico-Farmaceutico – aiuta a comprendere differenti profili strategici per le Parti sociali coinvolte.
I primi due contratti collettivi nazionali menzionati offrono un modello in cui la disciplina dell’istituto è centralizzata e si configura un generale obbligo di reperibilità per i lavoratori a cui si applica il CCNL, prevedendone il relativo compenso economico e modalità organizzative e ulteriori elementi sui quali comunque può intervenire la contrattazione aziendale soltanto in un secondo momento, o rispetto ai quali le rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto ad essere informate. Una simile disciplina trova un punto di partenza in una solida rappresentanza di interessi a livello nazionale da entrambi i lati del tavolo sindacale: una previsione dettagliata della reperibilità in un CCNL, infatti, denota l’interesse comune delle Parti a rendere l’istituto di semplice applicazione nei diversi contesti aziendali, fissando anche dei corrispettivi che rappresentano – per così dire – un minimo garantito e aggiornato in sede di rinnovo del contratto nazionale. Nel caso del CCNL Chimico Farmaceutico, invece, l’ultimo rinnovo è intervenuto specificando che «Nessun lavoratore può esimersi dall’effettuare, nei limiti previsti dalla Legge e dal presente Contratto, prestazioni eccedenti o straordinarie nonché lavoro notturno, e festivo e in regime di reperibilità per le attività e con le modalità concordate a livello aziendale, salvo giustificati motivi di impedimento» (Art. 8, punto 7). Una simile previsione rappresenta una conferma di un modello differente rispetto al settore elettrico o metalmeccanico: in questo caso, infatti, il CCNL delega espressamente la contrattazione di secondo livello alla regolamentazione della reperibilità e ne rafforza la validità vincolando i lavoratori a quanto concordato a livello aziendale. Se da una parte questo modello può comportare maggiori difficoltà nell’introduzione di regimi di reperibilità a livello aziendale poiché occorrerà affrontare una trattativa con le rappresentanze sindacali e non si potrà contare su una regolamentazione a livello nazionale, dall’altra essa rispecchia il sistema di relazioni industriali partecipativo del settore chimico-farmaceutico in cui, nella regolamentazione di un simile istituto, le Parti a livello aziendale hanno l’opportunità di modulare la reperibilità alle esigenze di uno specifico contesto. Per di più, l’assenza della previsione di compensi stabiliti a livello nazionale porta la discussione sui corrispettivi economici ai tavoli aziendali, valorizzando il potere contrattuale di RSU ed RSA e non limitandosi alle previsioni del CCNL. È evidente, in questo caso, che la scelta di affidare o meno la regolazione dell’istituto della reperibilità al secondo livello sia legata a dinamiche di settore che sono oggetto di valutazione delle Parti nei tavoli sindacali e che incidono sugli spazi negoziali lasciati ai diversi livelli.
In conclusione, l’istituto della reperibilità può davvero essere definito come un prodotto del diritto delle relazioni industriali, la cui analisi approfondita può offrire elementi interessanti per comparare sistemi di relazioni industriali, valutare i rapporti tra gli assetti contrattuali e studiare le soluzioni originali che le Parti nei diversi accordi – siano essi nazionali o aziendali – hanno adottato. La reperibilità comporta anche notevoli sforzi organizzativi affinché l’obiettivo di rispondere con prontezza ad eventi imprevisti e indifferibili sia assicurato: se la regolamentazione dell’istituto avviene a livello nazionale, tali aspetti risultano in qualche modo già disciplinati e spesso diventano un tema organizzativo e gestionale a livello aziendale, sfuggendo alle relazioni sindacali in azienda. Se, invece, la contrattazione nazionale affida alla contrattazione aziendale l’intesa sulla reperibilità, allora spetterà alle RSU o alle RSA incidere sui contenuti dell’accordo perché sarà il tavolo aziendale a configurare l’obbligo di essere reperibili, le relative modalità organizzative e i compensi economici.
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena