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Bollettino ADAPT 6 marzo 2023, n. 9
Lo scorso 21 febbraio è stato pubblicato il rapporto ufficiale contenente i risultati tratti all’esito dell’esperimento di riduzione della settimana lavorativa da cinque a quattro giorni condotto nel Regno Unito e che ha coinvolto 61 aziende e organizzazioni no profit, operative in vari settori e aventi diverse dimensioni, e circa 2.900 lavoratori.
L’esperimento, diretto congiuntamente da parte dei team di ricerca del Boston College, della University of Cambridge, dell’Autonomy (Organizzazione di ricerca britannica incentrata sul futuro del lavoro) e con la collaborazione della 4 Day Week Global (Organizzazione no profit fondata con la scopo di fornire una comunità per le persone interessate a sostenere l’idea della settimana di quattro giorni come parte del futuro del lavoro), si pone in linea con quelle politiche adottate negli ultimi anni da molte organizzazioni che, a parità di retribuzione, hanno adottato una riduzione dell’orario di lavoro e/o introdotto forme di lavoro flessibili. Pertanto, il progetto ha messo in dubbio l’idea per cui lavorare di più significa lavorare meglio e promosso la settimana lavorativa breve come un approccio di buon senso.
L’obiettivo del progetto pilota, durato per sei mesi da giugno a dicembre 2022, è stato quello di misurare gli effetti derivanti dall’adozione della settimana lavorativa ridotta sulla vita delle imprese e dei dipendenti.
Il campione di aziende che ha preso parte al progetto pilota ha una composizione eterogenea: delle 61 aziende che hanno partecipato, il gruppo più numeroso proviene dal settore marketing/pubblicità, con 8 aziende (18%); il secondo sottoinsieme più numeroso è quello dei servizi professionali, con 7 aziende (16%), mentre gli enti di beneficenza/no profit sono il terzo gruppo più numeroso (11%).
Altresì, esse si differenziano sotto l’aspetto delle dimensioni e dei settori in cui operano, tra cui vi sono sanità, arte e intrattenimento, vendita al dettaglio, edilizia e produzione.
I due mesi iniziali sono stati dedicati ad un periodo di progettazione, ricerca, consulenza e preparazione dei partecipanti prendendo anche a modello di rifermento l’esperienza di aziende che adottano da tempo una settimana lavorativa breve. Questa pianificazione è stata necessaria per comprendere la politica più ottimale da adottare in base al settore di attività e alle esigenze organizzative dalle diverse realtà lavorative, a partire dalla convinzione che la settimana corta non possa realizzarsi in modo uniforme in tutte le organizzazioni aziendali. L’unica richiesta perentoria da parte del team di ricerca è stata la necessità di mantenere la retribuzione a stipendio pieno a fronte della riduzione dell’orario di lavoro.
I punti di misurazione si sono svolti in tre momenti: all’inizio, a metà e alla fine della sperimentazione e i risultati sono stati elaborati tramite la comparazione dei rilievi iniziali e quelli conclusivi. Essi si sono basati sui dati amministrativi trasmessi dalle aziende, sui dati dei sondaggi condotti tra i dipendenti e, infine, su alcune interviste eseguite durante il periodo pilota.
I rilievi finali hanno dimostrato un successo notevole della sperimentazione e mostrato un impatto benefico della settimana lavorativa di quattro giorni sia sulla vita delle imprese sia su quella dei dipendenti.
Delle 61 aziende che hanno partecipato, 56 (92%) stanno continuando con la settimana di quattro giorni nonostante si sia concluso il programma pilota e 18 di esse hanno già confermato che la politica adottata rimarrà un cambiamento permanente. Per quanto riguarda le restanti 5, 2 hanno scelto di prolungare la sperimentazione mentre solo 3 hanno sospeso per il momento questa politica lavorativa nella loro organizzazione.
Su una scala da 0 a 10, dove 0 è molto negativo e 10 è molto positivo, le aziende partecipanti hanno valutato la propria esperienza complessiva con un punteggio medio di 8.3 ritenendosi per la maggioranza soddisfatte dal mantenimento delle prestazioni aziendali e della produttività.
Del resto, i dati e le metriche aziendali hanno mostrato effetti positivi derivanti dalla riduzione dell’orario di lavoro: le entrate aziendali sono rimaste sostanzialmente invariate dall’inizio alla fine della sperimentazione, con un aumento medio dell’1,4% ponderato in base alle dimensioni dell’azienda intervistata; rispetto a un periodo simile degli anni precedenti, le organizzazioni hanno segnalato un aumento medio delle entrate del 35% nonostante la riduzione dell’orario di lavoro.
Parallelamente i dati hanno mostrato una diminuzione significativa dei dipendenti che hanno lasciato le aziende con una diminuzione di appena l’1,3% (media ponderata) (con un calo del 57% durante il periodo di prova), un abbassamento delle nuove assunzioni e dell’assenteismo per malattia e per riposo.
Dall’altro lato, è stata registrata la soddisfazione generale dei dipendenti, con un notevole aumento di coloro che si sentono gratificati dal proprio lavoro, del benessere fisico e psichico grazie alla possibilità di conciliare più facilmente la vita lavorativa con quella personale e una conseguente diminuzione sostanziale dello stress lavorativo, del burnout, delle emozioni negative, dell’ansia e dei problemi di insonnia.
In particolare, il 96% dei partecipanti alla domanda se volesse continuare con la settimana di quattro giorni ha risposto positivamente, lo 0,43% ha dichiarato di non volere e il restante 3,5% ha selezionato la risposta “altro” o “nessuna preferenza”.
Alla fine della sperimentazione, dal confronto con i dati inziali, è stato possibile rilevare che: il 39% dei dipendenti erano meno stressati, il 71% hanno ridotto i livelli di burnout, il 54% hanno conciliato più facilmente il lavoro con le mansioni domestiche, il 62% con le responsabilità di assistenza ai famigliari, il 55% ha riferito un aumento delle proprie capacità lavorative e, infine, il 15%, ha dichiarato che nessuna somma di denaro li avrebbe indotti a tornare alla settimana lavorativa di cinque giorni.
Alla luce dei risultati emersi all’esito della sperimentazione britannica il team di ricerca, quanto meno con riferimento a 56 organizzazioni su 61 del gruppo campione, ha falsificato la teoria per cui lavorare di più significa lavorare meglio e scoccato una freccia a favore della settimana lavorativa breve senza riduzione della retribuzione.
Nella parte conclusiva del report i ricercatori hanno promosso i benefici dell’orario lavorativo ridotto: «i dipendenti sono più felici e più sani e le organizzazioni per cui lavorano sono spesso più produttive, più efficienti e trattengono più facilmente il personale» e sostenuto che la settimana di quattro giorni sia pronta a fare il passo successivo dalla sperimentazione all’implementazione.
In Italia, il dibattito politico e sindacale sulle politiche del tempo di lavoro è vivo e si è iniziato a mettere in discussione l’idea per cui il valore della prestazione lavorativa vada misurata solo in base all’orario di lavoro. In merito, da tempo la contrattazione collettiva aziendale negozia clausole originali che intervengono sul tempo di lavoro e tra le iniziative recenti in questa direzione si può ricordare il c.d. Fondo nuove competenze che prevede il rimborso del totale del costo dei lavoratori in formazione solo per le aziende che si impegnano a sperimentare forme di riduzione dell’orario di lavoro.
Tuttavia, lo sbaglio che non deve essere commesso è quello di correre dietro a queste tendenze in atto in modo affrettato scordandosi di viverle come una forma di evoluzione dei rapporti di lavoro e di produzione che necessitano una regolazione attenta e precisa che coinvolga le imprese, i lavoratori, gli attori sociali e istituzionali. Invero, nonostante l’idea della settimana lavorativa breve, a parità di retribuzione, possa sembrare allettante la sua implementazione non è immediata e le cautele richieste non sono indifferenti poiché, se la sua introduzione non coincide contestualmente con un riassetto dell’organizzazione, degli obiettivi del lavoro e su una relazione di lavoro maggiormente fiduciaria, tra i rischi più evidenti vi è quello che la diminuzione dell’orario coincida con l’aumento del carico lavorativo e del conseguente stress da esso derivante.
Agnese Casasso
ADAPT Junior Felllow