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Bollettino ADAPT 13 maggio 2019, n. 18
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10726 del 17 aprile 2019, torna a pronunciarsi in merito ai limiti del sindacato del giudice con riferimento alle valutazioni organizzative dell’utilizzatore sotto il profilo della scelta di ricorrere alla somministrazione di lavoro in presenza di picchi produttivi in azienda. Più in particolare, la Suprema Corte ha fornito importanti chiarimenti in ordine al rapporto tra la durata dell’esigenza produttiva e del ricorso al lavoro somministrato, nell’ottica di stabilire se debba necessariamente sussistere una esatta coincidenza tra detti due periodi ai fini della legittimità dei contratti di lavoro somministrato succedutesi nel tempo con il medesimo lavoratore.
Prima di procedere alla compiuta analisi dell’oggetto di causa, giova innanzitutto anticipare come, seppur la vicenda riguardi una normativa oggi abrogata, il tema in esame sia da ritenersi tuttora attuale, alla luce della reintroduzione delle causali nell’ambito della somministrazione, a seguito della novella legislativa di cui al c.d. Decreto Dignità.
Lo svolgimento del giudizio e la normativa di riferimento
La pronuncia della Suprema Corte oggetto di esame trae origine dall’impugnazione della sentenza della Corte d’appello di Roma che, confermando la sentenza del Tribunale del medesimo foro, aveva accertato l’illegittimità dei contratti di lavoro somministrato stipulati con l’agenzia per il lavoro e, così, la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato tra il lavoratore somministrato e la società utilizzatrice.
La decisione di merito si fondava sul rilievo secondo cui, seppur fosse stata provata dall’utilizzatore la sussistenza di esigenze produttive particolarmente intense (e, perciò, in astratto idonee a legittimare il ricorso alla somministrazione di lavoro), le stesse avevano avuto una durata non perfettamente coincidente con i contratti di lavoro somministrato stipulati.
A tal proposito è bene chiarire che detta mancanza di coincidenza, ritenuta rilevante ai fini del decidere, non era da ricondursi ad una durata dell’esigenza produttiva inferiore rispetto alla complessiva durata del contratto di somministrazione, bensì, al contrario, era determinata dall’utilizzo del lavoro interinale per un periodo più contenuto rispetto all’arco temporale interessato dall’esigenza produttiva.
Nella fattispecie in esame, infatti, i giudici di merito sono giunti alle predette conclusioni considerando che, in taluni casi, il lavoratore era stato “utilizzato” anche per un sol giorno, nonostante la più ampia durata dei picchi produttivi.
La Corte di Cassazione, adita dalla società utilizzatrice, ha riformato la sentenza della Corte d’appello sopra richiamata, assumendo, quale motivo assorbente, la violazione dell’art. 27, comma 3, d.lgs. n. 276/2003 che, ai fini della valutazione giudiziale in ordine al legittimo ricorso alla somministrazione, così dispone: «il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell’ordinamento, all’accertamento della esistenza delle ragioni che la giustificano e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano all’utilizzatore».
Il giudice di legittimità, nel solco della richiamata norma, ha dunque affermato come rientri tra le scelte imprenditoriali insindacabili in sede giudiziale stabilire, nell’ambito di un legittimo contratto di somministrazione di lavoro ed in presenza di una causale legittima, per quanto tempo e per quanti giorni avvalersi della prestazione lavorativa somministrata.
Sotto tale profilo, volendo immaginare un esempio di estrinsecazione pratica detto principio, l’imprenditore, per far fronte a picchi di attività, ben potrebbe decidere, per un certo lasso di tempo, di richiedere ai propri dipendenti di svolgere prestazioni di lavoro straordinario e, in altro momento, di ricorrere a lavoratori somministrati, senza, solo per tale motivo, incorrere nell’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato con questi ultimi.
Spunti di riflessione: sulla possibile rilevanza della sentenza alla luce del mutato quadro normativo in tema di somministrazione.
Come anticipato in premessa, la sentenza in commento prende in esame la normativa in tema di somministrazione di cui al Titolo III, Capo I, del d.lgs. n. 276/2003, abrogata dal d.lgs. 81/2015.
Orbene, nonostante il mutato contesto normativo, la reintroduzione delle causali operata dal c.d. Decreto Dignità (i.e. decreto legge n. 87/2018, convertito, con modificazioni dalla L. n. 96/2018, come poi modificata dalla L. n. 145/2018) rende rilevante la pronuncia non solo per le ipotesi di somministrazione riconducibili all’abrogato impianto normativo, ma altresì, a parere di chi scrive, per i contratti di somministrazione “causali” stipulati nell’ambito dell’attuale contesto normativo.
Infatti, se è vero, da una parte, che la normativa vigente (i.e. Capo IV del d.lgs. n. 81/2015 come modificato dal c.d. Decreto Dignità) non contempla una norma sovrapponibile al citato art. 27 abrogato, dall’altra non si può trascurare come quest’ultima previsione poggi sui principi generali dell’ordinamento in tema di scelte imprenditoriali.
Tale considerazione è desumibile non solo dal tenore letterale della norma (che opera esplicito richiamo a detti principi), ma altresì da copiosa giurisprudenza, che, ancorché con riferimento a istituti diversi (quali, a mero titolo esemplificativo, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo), è costante nel ritenere che il controllo del giudice non possa estendersi sino alla valutazione di opportunità delle scelte imprenditoriali, che sono espressione, per loro natura, della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 della Costituzione.
Trattasi, dunque, di una importante pronuncia, idonea ad orientare in futuro il probabile contenzioso in tema di causali nei contratti a termine e nelle somministrazioni a tempo determinato, argomento ormai da tempo trascurato dalla giurisprudenza di merito e dalla dottrina.
Sara Tiraboschi
Avvocato del Foro di Milano