Il tema del lavoro resta al centro della agenda politica italiana. È radicata la consapevolezza che il percorso con cui il governo Renzi punta a risolvere la drammatica emergenza occupazionale del Paese sia soltanto all’inizio. Con il pacchetto approvato la scorsa settimana dal Consiglio dei Ministri è partito l’iter di semplificazione di un quadro regolatorio che ha smesso di funzionare da tempo e che, paradossalmente, non soddisfa più nessuna delle due parti del rapporto di lavoro. Non i lavoratori che si sentono oggi più insicuri e precari. Non gli imprenditori che sono chiamati ad affrontare la sfida competitiva imposta dalla globalizzazione e dai nuovi mercati con una pesante zavorra di precetti legali e vincoli formalistici che nulla hanno a che vedere con la tutela del lavoro.
Contratti a termine per trentasei mesi, uno snellimento per l’apprendistato, cambiamenti subito operativi perché varati con decreto: due misure che vanno incontro all’esigenza di flessibilità sempre richiesta dal mondo delle imprese per creare maggiore occupazione. E che di fatto svuotano gran parte dell’impatto dell’articolo 18 sui licenziamenti.
Tra le misure immediate, con l’entrata in vigore della legge, le imprese potranno sempre siglare contratti a tempo determinato senza indicare la causale nel limite di trentasei mesi, che è il tetto massimo di durata dei rapporti a termine, oltre ad aumentare fino ad un massimo di otto le proroghe previste nell’ambito dello stesso contratto. Questi interventi permetteranno, si spera, alle azienda di assumere con maggiore tranquillità, offriranno ai lavoratori maggiori possibilità di ottenere tre anni continuativi di lavoro, contribuirà al contenimento del contenzioso giudiziario, che è praticamente tutto incentrato sulle causali e sul rispetto degli intervalli di “fermo tecnico” e finalmente toglierà ogni “alibi” alle aziende per non assumere.
La bozza del decreto introduce (una novità assoluta) un limite massimo all’utilizzo del contratto a termine: non si potrà eccedere il 20% dell’organico complessivo. Si tratta di un tetto che non sembra tener conto delle realtà aziendali più piccole, che avranno quindi difficoltà ad assumere dipendenti a tempo. Ma che penalizza anche la stagionalità delle assunzioni e quelle imprese che ricorrono alle sostituzioni. Inoltre, non è previsto alcun coordinamento con l’art. 10 del d.lgs. n. 368/2001 che consente interventi derogatori da parte della contrattazione collettiva.
Positive per le imprese le nuove misure di semplificazione sull’apprendistato, che dopo la legge Fornero è stato irrigidito, rendendolo di fatto poco utilizzato (quando invece l’intenzione del legislatore era farlo diventare il canale di accesso privilegiato dei giovani nel mondo dell’occupazione): ricorso alla forma scritta solo per il contratto e per il patto di prova e non anche, come attualmente previsto per il piano formativo individuale (anche se si rischierebbe di snaturare il rapporto); eliminazione del vincolo, introdotto dalla riforma Fornero della conferma in servizio, alla fine del periodo formativo, di almeno il 30% degli apprendisti già impiegati; eliminazione dell’obbligo di integrare la formazione di tipo professionalizzante e di mestiere con l’offerta formativa pubblica, che diventa un elemento discrezionale. Una novità quest’ultima che rischierebbe di creare problemi con l’Unione europea, che potrebbe tagliare dagli aiuti di Stato i cospicui sgravi contributivi di cui gode l’apprendistato.
Positivo inoltre l’annuncio del governo secondo cui nelle buste paga di 10 milioni di lavoratori dipendenti e “assimilati” andranno i dieci miliardi ricavati dal taglio al cuneo fiscale. L’abbassamento delle tasse sul lavoro dipendente è certamente una vittoria di cui la nostra sigla sindacale, presente ad ogni appuntamento con le piazze, è certamente fiera. Sicuramente si poteva fare molto di più per i pensionati e per combattere il precariato delle false partite iva e delle collaborazioni a progetto.
Nessuna riforma a colpi di decreto, ma un passaggio parlamentare nel quale sarà richiesta una delega per cambiare gli ammortizzatori sociali introducendo l’assegno di disoccupazione, il reddito minimo e la tutela delle donne in maternità. È giusto che si agisca con rapidità nella realizzazione di cambiamenti significativi, è giusto anche che il governo decida in una democrazia parlamentare, ma è altrettanto giusto dare un segnale di misurata apertura alle parti sociali i cui obiettivi sono lontani dalla realizzazione di una paralisi istituzionale e di un blocco allo sviluppo del Paese.
Analizzando nel complesso l’intervento sul mercato del lavoro, non si può che esprimere un primo giudizio positivo, considerandolo un passo decisivo per ricreare un clima di fiducia e dare uno stimolo agli investimenti, anche in vista dell’EXPO 2015. Chi investe in Italia lo fa compiendo una preliminare analisi sui vincoli imposti dal Paese, per questo è necessario intervenire con decisione attraverso una riforma definitiva che faccia chiarezza una volta per tutte, dando un quadro di regole certe, imprescindibile per la crescita.
Giancarlo Bergamo
Segretario Generale UGL Terziario
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“La (S)volta Buona”…verso la vera riforma del mercato del lavoro?