La tassazione agevolata del premio di risultato alla luce dell’interpello n. 205/2019 dell’Agenzia delle Entrate

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Bollettino ADAPT 29 luglio 2019, n. 29

 

L’Agenzia delle Entrate con la risposta n. 205 del 25 giugno 2019 ha ulteriormente ristretto l’ambito di applicabilità del regime di tassazione agevolata dei premi di risultato, contribuendo a scoraggiare le parti sociali (M. Sacconi, Il mio canto libero – Agenzia delle Entrate (e norma) scoraggia accordi aziendali, Bollettino ADAPT 8 luglio 2019, n. 26) ormai costrette a destreggiarsi all’interno di limiti posti da una regolamentazione rigida e dagli esiti interpretativi variabili, anche a causa del susseguirsi di chiarimenti e interventi dei Ministeri e della stessa Agenzia. Ma andiamo per ordine.

 

L’articolo 1, commi da 182 a 189, della Legge 28 dicembre 2015, n. 208 (modificato dall’articolo 1, commi da 160 a 162, della Legge 11 dicembre 2016, n. 232, dall’articolo 55 del DL 24 aprile 2017, n. 50, convertito nella l. 21 giugno 2017, n. 96, e dall’articolo 1, commi 28 e 161, della legge 27 dicembre 2017, n. 205) ha previsto, tra le altre, misure fiscali agevolative per le retribuzioni premiali, rimandando a un successivo decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, per la regolamentazione delle modalità attuative.

 

La Legge di Bilancio 2016 ha istituito pertanto lo strumento della tassazione agevolata per i premi di risultato, delimitandone l’applicazione ai premi convenuti con contratti aziendali o territoriali di cui all’articolo 51 del Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81, di ammontare variabile, nonché legati a incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione. Questi ultimi misurabili e verificabili sulla base di criteri definiti.

 

In esecuzione della delega legislativa, in data 16 maggio 2016 (avviso in Gazzetta Ufficiale n. 112 del 14 maggio 2016) il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha pubblicato il Decreto 25 marzo 2016, disciplinando le modalità applicative delle predette disposizioni.

 

Il Decreto ha chiarito che, oltre a quanto già previsto dalla Legge di Bilancio 2016, i contratti collettivi “devono prevedere criteri di misurazione e verifica degli incrementi di produttività, reddittività qualità, efficienza e innovazione (…) rispetto a un periodo congruo definito nell’accordo, il cui raggiungimento sia verificabile in modo obiettivo attraverso il riscontro di indicatori numerici o di altro genere appositamente individuati”.

 

Gli accordi, inoltre, devono essere depositati entro trenta giorni dalla sottoscrizione, contestualmente alla dichiarazione di conformità, a mezzo di un modello – allegato al decreto – da compilare e inviare telematicamente.

 

Il Decreto ha rappresentato anche l’occasione per diffondere un primo elenco di indicatori idonei a svolgere il compito di misurazione demandato dal nuovo impianto normativo, contenuti all’interno del modello per il deposito dei contratti.

 

Tutto qui? Non proprio, in quanto con le Circolari nr. 28/E del 15 giugno 2016 e 5/E del 29 marzo 2018, redatte d’intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, l’Agenzia delle Entrate ha fornito ulteriori chiarimenti in merito alla disciplina dell’agevolazione in argomento, che iniziava a palesare le prime difficoltà applicative.

 

A titolo di esemplificativo e non esaustivo della tematica, si potrebbero citare le problematiche connesse con la nozione di risultato incrementale, il quale se misurato anno su anno sottenderebbe un processo di crescita continua di difficile realizzazione nella realtà. Tant’è vero che la stessa Agenzia delle Entrate, con la circolare del 2018, ha aperto alla possibilità di confrontare il risultato del periodo di riferimento con la media di un periodo mobile antecedente (es. triennio). Intervento che è risultato non sufficiente, in quanto, come osservabile dalla lettura di numerosi contratti di secondo livello, le parti sociali hanno tentato di divincolarsi dalle maglie irrealistiche della normativa introducendo indicatori trasversali, da affiancare ai classici indici economici (es. fatturato, EBITDA, etc.) soggetti alle variabilità di mercato.

 

Simili difficoltà sono state riscontrate nell’applicazione pratica della normativa anche con riferimento alla definizione del periodo congruo durante il quale misurare il risultato incrementale (es. semestrale, annuale o pluriennale), e all’individuazione di indicatori atti alla misurazione dei benefici derivanti da modifiche organizzative e dei processi di lavoro, ovvero dall’introduzione del lavoro agile. Ad esempio: come si misura l’incremento di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione dei lavoratori agili? (M. Menegotto e A. Rasafalco, Lavoro agile, competitività e ruolo della contrattazione, Bollettino ADAPT 8 aprile 2019, n. 14). Anche in questo caso, le circolari dell’Agenzia delle Entrate hanno tentato fare chiarezza, con alterni risultati.

 

Terminata questa indispensabile ricostruzione della normativa atta a descrivere in sintesi lo scenario di riferimento, veniamo all’interpello oggetto del presente commento. L’Agenzia delle Entrate, a quasi quattro anni dalla Legge di Bilancio 2016, ha pubblicato l’interpello n. 205 del 25 giugno 2019, intitolato “Detassazione dei premi di risultato – Periodo congruo e definizione degli obiettivi incrementali –articolo 1, commi 182-189, della legge 28 dicembre 2015, n. 208. Interpello articolo 11, comma 1, lettera a), legge 27 luglio 2000, n. 212”, rispondendo a uno specifico quesito posto da una società operante nel settore dei giochi, e delle scommesse.

 

Sorvolando in questa sede sul contesto sindacale in cui si è venuta a generare la vicenda, l’azienda, in breve, ha interpellato l’Agenzia al fine di individuare il corretto regime fiscale da applicare al premio di risultato convenuto con le organizzazioni sindacali tramite un apposito accordo stipulato il 26 novembre 2018, a valle di una complessa e lunga negoziazione.

 

L’azienda riporta che l’istituto premiale viene calcolato sulla base del risultato EBITDA dell’anno solare – nel caso di specie del 2018 – ed è soggetto a riproporzionamento per i lavoratori assunti in corso d’anno, nonché per i lavoratori con contratto di lavoro a tempo parziale, e a riduzione in virtù del tasso di assenteismo individuale.

 

Sintetizzati per sommi capi gli elementi salienti della fattispecie, la società sostiene che il premio così strutturato possa essere assoggettato alla tassazione agevolata in quanto sono presenti tutti i requisiti richiesti dalla normativa vigente: contratto collettivo ex all’articolo 51 del Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81 regolarmente depositato, premio di ammontare variabile, e risultato incrementale dell’indicatore.

 

L’Agenzia delle Entrate è stata però di diverso avviso. L’Ente, invero, non contesta quanto sostenuto dalla società in merito alla presenza dei requisiti previsti dalla regolamentazione vigente, ma aggiunge che “la funzione incentivante delle norme in esame (…) può ritenersi assolta in quanto la maturazione del premio, e non solo la relativa erogazione, avvenga successivamente alla stipula del contratto, sulla base del raggiungimento degli obiettivi incrementali ivi previamente definiti e misurati nel periodo congruo anch’esso stabilito su base contrattuale”.

 

In virtù di tale orientamento interpretativo, secondo l’Agenzia i criteri di misurazione del risultato incrementale devono essere individuati e definiti con “ragionevole anticipo rispetto ad una eventuale produttività futura non ancora realizzatasi”.

 

Tale condizione “non risulta (…) soddisfatta nel caso di specie tenuto conto che i premi di risultato sono erogati sulla base di criteri individuati in un contratto la cui stipula è intervenuta in prossimità della scadenza del termine del periodo rilevante per la misurazione del raggiungimento dell’incremento (2018) (…) Non appare ammissibile una determinazione ‘postuma’ o, come nel caso di specie, a ridosso del termine del periodo di maturazione del premio, in quanto i criteri di misurazione devono essere determinati con ragionevole anticipo rispetto ad una eventuale produttività futura non ancora realizzatasi”.

 

Queste le motivazioni dell’Agenzia delle Entrate, che, a parere di scrive, lungi da chiarire i contorni della norma, ingenerano nuovi dubbi applicativi.

 

Come abbiamo osservato leggendo la normativa riportata in apertura di commento, il Legislatore non ha modificato la natura giuridica dei premi di risultato, ma ha introdotto la possibilità di una tassazione agevolata limitata agli accordi in possesso di determinate caratteristiche, tra i quali gli indici incrementali. L’intento sotteso all’intervento normativo è quello di – stante i vincoli del bilancio statale – selezionare gli istituti premiali ai quali applicare il beneficio fiscale, agevolando esclusivamente quelli convenuti dalle aziende che avendo realizzato incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione hanno contribuito allo sviluppo del sistema paese.

 

Premesso quanto sopra, risulta pertanto almeno distonica la decisione dell’Agenzia in risposta a un’azienda che ha realizzato un incremento di reddittività, il tutto basato su l’assenza di una generica “funzione incentivante” e sull’altrettanto generale criterio temporale del “ragionevole anticipo”, entrambi requisiti non presenti all’interno della L. 208/2015 e del Decreto del 25 marzo 2016. Soprattutto se si considera che in un caso analogo – contratto collettivo per l’anno solare 2017, firmato il 27 novembre 2017 – l’Agenzia delle Entrate con risposta 130/2018, pur addivenendo alla medesima conclusione, non ha evidenziato la carenza dei suddetti requisiti, ma ulteriore vizi per l’analisi dei quali si rimanda alla lettura del citato interpello.

 

Come se ciò non bastasse, l’orientamento introdotto con la risposta 205/2019 da la stura a ulteriori quesiti che mettono a dura prova la tenuta del sistema.

 

A cosa bisogna riferirsi per calcolare il “ragionevole anticipo”? In caso di periodo di riferimento annuale, sono sufficienti sei mesi prima della scadenza del periodo di misurazione? E se il periodo congruo per la maturazione del premio è inferiore a dodici mesi (Circolare 5/E del 29 marzo 2018)?

 

O ancora, la “funzione incentivante” è garantita quando le parti sociali si limitano a formalizzare all’interno del contratto collettivo – anche se a ridosso della scadenza del periodo di maturazione – obiettivi aziendali comunicati all’organizzazione con “ragionevole anticipo”? Quando, inoltre, si può ritenere che le parti siano già venute a conoscenza dei risultati ottenuti dall’azienda? È necessario attendere l’ufficialità dei dati di bilancio, o è sufficiente una previsione?

 

Questi dubbi si aggiungono a quelli già sorti in questi anni, e con essi creano un ginepraio all’interno del quale è difficile districarsi. Le aziende, di conseguenza, non possono far altro che muoversi con cautela, anche al fine di tutelare e i dipendenti da eventuali conseguenze derivanti da una tassazione errata in difetto.

 

In conclusione, a prescindere da ulteriori chiarimenti dei Ministeri competenti e della stessa Agenzia delle Entrate, allo staso si auspica un nuovo intervento del legislatore che rinnovi il reticolato normativo riconducendolo a maggiore semplicità, nonché recuperando in modo chiaro il collegamento tra premialità e produttività, al fine di contribuire al miglioramento degli indici aziendali e nazionali in materia (M. Sacconi, Il mio canto libero – Agenzia delle Entrate (e norma) scoraggia accordi aziendali, Bollettino ADAPT 8 luglio 2019, n. 26).

 

Davide Pugliese

HR Manager (*)

 

(*) Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere impegnativo per l’Amministrazione alla quale appartiene.

 

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