Tra i contenuti del ddl delega sul Jobs Act pare vi sarà anche una modifica alla disciplina dell’art. 18 della l. n. 300/1970, il c.d. Statuto dei lavoratori, norma che stabilisce le tutele per i licenziamenti illegittimi effettuati dai datori di lavoro con più di 15 dipendenti (5 se agricoli) in ciascuna sede o nello stesso comune e in ogni caso con più di 60 dipendenti. Tale modifica è motivata dal fatto che il procedimento giudiziario che riguarda l’impugnazione dei licenziamenti c.d. economici, effettuati dai predetti datori e motivati da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa, è stato ritenuto incerto e discrezionale.
La disciplina attuale richiede al giudice di verificare se vi sia manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o se invece, più semplicemente, non ricorrano gli estremi del giustificato motivo oggettivo. Nel primo caso il licenziamento sarà nullo ed al lavoratore spetterà la reintegrazione nel posto di lavoro – salvo che lo stesso non richieda un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto – ed il datore sarà condannato al pagamento di un’indennità risarcitoria, che in ogni caso non potrà essere superiore a 12 mensilità, ed al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione. Nella seconda fattispecie invece il rapporto di lavoro si considererà risolto dalla data del licenziamento, ma il datore sarà condannato al pagamento di un’indennità risarcitoria determinata tra un minimo di 12 ed un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Ciò che emerge dalle ipotesi di riforma delle tutele spettanti in caso di illegittimità dei licenziamenti economici è la volontà di abolire la possibilità della reintegrazione nel posto di lavoro sostituendola con la condanna del datore al pagamento di un’indennità risarcitoria da determinarsi in relazione all’anzianità del lavoratore. Tale misura si applicherebbe quindi sia ove è manifesta l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sia ove lo stesso è insussistente, ma in modo “non manifesto”. Sarebbe così limitata la discrezionalità del giudice nella determinazione della tutela da applicare in caso di illegittimità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Pertanto le imprese dovrebbero acquisire la certezza che ove il licenziamento dipenda da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa, la eventuale insussistenza delle stesse non condurrebbe alla reintegrazione del lavoratore licenziato. In tal maniera sarebbe pertanto astrattamente determinabile il costo a cui il datore di lavoro dovrebbe far fronte ove un licenziamento economico venisse dichiarato illegittimo. Tale certezza potrebbe tuttavia venir meno nel caso in cui il giudice volesse ritenere che il licenziamento in questione rientri in una delle fattispecie per cui viene mantenuto il diritto al reintegro.
Infatti, nonostante le ipotesi di riforma, la reintegrazione nel posto di lavoro continuerebbe comunque ad essere garantita, indipendentemente al numero dei lavoratori occupati dal datore di lavoro, ove il giudice stabilisca che le ragioni del licenziamento dipendono dal credo politico o dalla fede religiosa; dall’appartenenza o no ad un sindacato; dalla partecipazione ad attività sindacali o ad uno sciopero; da questioni razziali, di lingua o di sesso, di handicap, di età, di orientamento sessuale o di convinzioni personali.
Si ipotizza inoltre il diritto alla reintregrazione anche nel caso di illegittimità dei licenziamenti motivati da una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto o da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro. Tuttavia parrebbe che in tali circostanze la reintegrazione potrà avvenire solo se la causa che motiva il licenziamento rientri all’interno di una casistica precedentemente stabilita (es. falsità di un’accusa di furto).
Gabriele Gamberini
ADAPT Research Fellow
@G_Gamberini